Flaked e Love: l’ascesa delle serie dramedy su Netflix

Di Luca Tognocchi per Social Up!

E’ ormai un fatto accertato che la classica distinzione in drama e comedy non sia più sufficiente a categorizzare l’intero panorama televisivo, in continua ed inarrestabile espansione negli ultimi dieci anni in particolare. In parte sono i due generi stessi ad essersi progressivamente allontanati dai loro canoni, estendendo il minutaggio o inserendo sostanziali variazioni narrative, ma ciò che più conta è che sembra ormai riduttivo poter esprimere la vita umana in termini binari, come un dramma o una commedia.

All’interno di narrazioni che si concentrano sulla vita quotidiana del personaggi è stato necessario uno sfumarsi dei confini per restituire tutti gli aspetti possibili delle vicende che le riguardino. L’apertura è arrivata dal fronte delle comedy che in alcuni casi ha esteso il proprio minutaggio fino ai 30-35 minuti accogliendo tematiche più profonde e serie, e dando maggiore spazio al racconto orizzontale. Per le serie di questo tipo è stato necessario coniare il termine genere dramedy, dall’unione delle due parole. Quello delle dramedy è un genere estremamente controverso. Nonostante la sua novità, il genere rischia subito di cadere nel manierismo dettato dall’eccessiva mimesi con la vita quotidiana, spesso priva di eventi realmente degni di essere raccontati, o in assurdità, per cercare l’eccezionale nel normale. La serie che probabilmente ha spinto al bisogno della nuova parola è “Girls”, la creatura di Lena Dunham, che ha lanciato il bravissimo Adam Driver (Kylo Ren nel nuovo Star Wars), e per la quale nessuna categoria sembrava abbastanza. Si apre in chiave prevalentemente comica, ma con una narrazione eccessivamente tesa per una vera comedy, dando il tempo di conoscere i personaggi per poi condurre all’interno di una storia dall’aspetto drammatico, ma che non sfocia mai nel dramma comunemente inteso, lasciando sempre spazio a ritorni comici, che assumono caratteri quasi grotteschi. Questo particolare percorso si è imposto come il “canone” del nuovo genere, che ancora non ha molti esponenti ma è in rapida crescita. Ciò che più affascina è la possibilità di poter associare una narrazione ed una messa in scena seria e complessa a temi solo apparentemente semplici, ma che in realtà rivelano un grande bisogno di essere affrontati e trattati.

L’argomento genere dramedy sembra di notevole attualità proprio in questi mesi nei quali l’emittente Netflix ha rilasciato ben due serie che possono rientrare nel genere; parliamo di “Love” e “Flaked”. Il fatto che Netflix punti tanto su questo genere sicuramenteavrà le sue ripercussioni sul panorama generale, ormai sempre più dipendente dai movimenti del colosso dello streaming, leader non tanto nel modo di “guardare” la tv quanto nel modo di “farla”. Già la punta di diamante di Netflix, “Orange is The New Black”, poteva rientrare nei nuovi canoni del genere, nonostante molte particolarità individuali, ma con altre due serie dimostrano serio impegno nell’ambito.

“Love”, creata da Judd Apatow, con Gillian Jacobs e Paul Rust, racconta la complessa e difficile relazione tra Mickey e Gus, due ragazzi di Los Angeles, appena usciti da relative difficile relazioni. La storia affronta soprattutto il tema del sentirsi inappropriato nei confronti della propria ed altrui intimità con notevole e delicata sensibilità.

“Flaked”, creata e interpretata da Will Arnett (già voce in un’altra serie Netflix, “BoJack Horseman”), racconta la storia di Chip, proprietario di un negozio di arredamento a Venice, con alle spalle un difficile passato di alcolismo e sensi di colpa. Intorno a lui orbitano il suo migliore amico ed una ragazza, London, che si metterà in mezzo ai due. Con “Flaked” ci si interroga su se stessi, sulle bugie che ci si dice e si racconta agli altri per far aderire il mondo esterno alle nostre speranze. Si toccano temi molto intensi come l’alcolismo, i gruppi di aiuto ed i sensi di colpa che legheranno Chip e London in maniera inaspettata.

La seconda è probabilmente una serie che risponde con maggiore intensità e cura tecnica (ottime la fotografia e le musiche) alla forse eccessiva delicatezza della prima, ma nonostante ciò entrambe segnano e confermano un percorso che sicuramente verrà seguito e attirerà, speriamo, autori sempre migliori, alle prese con i temi più difficili di tutti: quelli della vita quotidiana, né edulcorata e nemmeno resa hollywoodiana.

redazione