Facebook e la lotta (impari) alla disinformazione

“Non siamo un’agenzia di media”: discorso difficile da sostenere quando la piattaforma da te creata rappresenta oggi una della maggiori forze di ridistribuzione del traffico web in siti di informazione, eppure sono state queste le parole di Zuckerberg, in occasione di un recente incontro tenutosi proprio in Italia. Difficile sostenerlo quando da anni ormai, sulla piattaforma social più famosa al mondo, si rincorrono, incessanti, notizie dalle dubbie fonti e dalla ancor più dubbia natura “oggettiva” dei dati che riportano. “Impossibile”, per molti, se queste notizie vengono poi gestite e ripresentate secondo il loro grado di gradimento e condivisione che, però, non tiene minimamente conto della veridicità, o in generale del contenuto, in esso proposto.

Quella della qualità delle notizie, del loro grado di approfondimento, è solo l’ennesima gatta da pelare che capita in casa Facebook, e della quale il giovane imprenditore dovrà, secondo molti, presto occuparsi. Come accade oggi per molte piattaforme (talvolta anche quelle che si spacciano per essere realtà di informazione) l’approfondimento della notizia che si riporta, può rappresentare un fattore di difficile gestione in un ambiente, come quello del web, nel quale la velocità sembra spesso contare più della verità. Se una news, uno studio, un’analisi, si dimostreranno infondate, approssimative o inesatte, si procederà a smentirli, magari con un articolo successivo, e magari provocando uno scontro tra fazioni che per l’occasione innescheranno una guerra in nome della corretta informazione e del rispetto di chi sceglie di informarsi tramite la rete.

Rispetto che si deve, tanto quanto ai possibili lettori, al mezzo e alla sua natura estremamente flessibile e dalla gestione non immediata. La rete non è altro che una stanza. Una stanza (piuttosto grande, bisogna ammetterlo) nella quale tutti parlano contemporaneamente; in cui ognuno ha, giustamente, la possibilità di esprimersi; in cui alcuni parlano per sentito dire, altri pur non avendo niente da dire, e dove più si vedono gli altri parlare e più si ha la volontà di dire la propria.

In un ambiente già difficile quindi risulta ancora più assurda, per molti, la volontà di Facebook di lasciare il ruolo di “garante della correttezza dell’informazione” proposta sulla piattaforma, ad un semplice algoritmo, che a sua volta si basa sui possibili feedback delle persone. Contare sul fatto che queste siano sempre e comunque in grado di distinguere una notizia vera da una falsa e procedere quindi a segnalare il tutto al sistema che, solo a quel punto, potrà decidere di prendere provvedimenti bloccando, almeno in parte, l’esposizione data a notizie di quel tipo o provenienti da una fonte poco attendibile (come quelle più volte segnalate dagli utenti), sembra quasi un’utopia.

Un processo di per sé macchinoso e inconcludente, vista la mole di notizie che ogni giorno circolano in rete e per le quali Facebook rappresenta una vetrina perfetta. Per assurdo si fa molta più fatica a preparare ad arte una notizia falsa che a ricercare le fonti per riportarne una vera, ma la verità è che l’informazione oggi viaggia su binari diversi dal passato. Ci si informa di corsa, nelle poche occasioni e nei pochi minuti che si hanno a disposizione durante la giornata. Facile a questo punto incorrere in notizie false, prendendole per buone, se non si ha la possibilità di approfondire ciò che si legge.

Ma gli aspetti più assurdi della disinformazione legata ai social e in particolare a Facebook sta nel fatto che i siti di disinformazione (e in Italia come altrove ne esistono parecchi) sappiano bene come far leva sull’interesse del lettore: partono da un sentimento sociale “condiviso”, andando a colpire proprio lì dove l’utente può essere più sensibile. La curiosità, la paura, la rabbia, il bisogno. Puntando su un problema personale, sfruttando una tesi (per quanto inesatta) già ampiamente diffusa, utilizzando titoli sensazionalistici, il gioco è presto fatto. E il risultato è ancora più eclatante se si riesce a convincere una personalità importante, sia questo un personaggio di spettacolo, un politico, un blogger, della veridicità della notizia. Quando è un “vip” del web a far circolare la notizia, si assiste ad un aumento smisurato della sua diffusione e della successiva condivisione.

Questo perché si da erroneamente per scontato che un personaggio pubblico, la pagina di un’istituzione, la pagina pubblica di un’azienda o di un’agenzia, non possano cadere in errore e pubblicare notizie inesatte o vere e proprie bufale. Purtroppo non è così. Si assiste molto spesso alla condivisione di notizie del tutto inventate semplicemente per far in modo di attrarre persone sul proprio portale. È il fattore economico a far girare le notizie. Fattore economico che, per assurdo, è lo stesso che sembra muoversi indisturbato dietro le quinte del famosissimo social nato ormai 12 anni fa. Ma non solo in questo contesto. Facendo un semplice passo indietro si ritrova su Facebook, uno specchio di un qualcosa che esiste nella rete, ma che esiste prima di tutto nella mente dei lettori. La necessità di credere in un qualcosa, la necessità di ritrovare, nelle parole di qualcun altro, una verità che invece è nostra.

La disinformazione, su Facebook, come altrove, è figlia di una società schiava del tempo, divisa tra chi tempo non ne ha mai (nemmeno per informarsi correttamente), e chi forse ne ha troppo. Dove ogni modo è giusto per ottenere ciò che si vuole, dove ogni tattica è consentita perché la propria voce venga ascoltata, dove una paura condivisa ci fa sentire più forti e meno isolati. È comprensibile che, con queste premesse, sia veramente difficile trovare una soluzione ad un problema come la disinformazione, della quale la manifestazione sui social non è altro che una mera rappresentazione. E in questo senso la possibile soluzione offerta da Facebook, non fa che chiederci di essere più attivi, non solo nel criticare chi “dovrebbe garantirci qualcosa”, ma più che altro nei confronti di noi stessi e di quello che vogliamo che la rete sia e rappresenti per tutti. Perché la rete è solo una stanza, le voci e le parole sono le nostre.