Ettore Scola, il regista dal tratto umano e 50 anni di cinema italiano

“Amo ambientare le mie storie in ambienti angusti, in piccoli spazi. Non faccio film d’azione e stare in un luogo chiuso mi permette di stare più addosso ai miei personaggi e a quello che pensano”.

Il cinema di Ettore Scola è intimistico, sobrio e pacato come lui, un tipo schivo ma al contempo molto comunicativo, un uomo curioso e vivace sagacemente riflessivo che ama trastullarsi raccontando tra il serio e il faceto storie di tutti i giorni: vicende umane che rimangono appiccicate nella memoria dei sentimenti più vari intessute come sono dai travagli del vivere quotidiano. Nel tratteggiare i suoi personaggi con schizzi precisi, il regista campano con opportuni primi piani, fa in modo che alla fine esca fuori tutta la loro vera e contrastante personalità. Essi appaiono vestiti d’inquietanti connotati che colorano di scuro comportamenti cattivi, situazioni grottesche,  eventi tragici e pensieri malinconici; oppure si presentano caratterizzati dal ghigno dei furbi o dei bisognosi; o si atteggiano a quelli che non sono astutamente agghindati a tutta festa degli amorevoli abiti dell’ironia leggera che a volte nasconde di proposito nobili intenti. Inquadrature che attraverso lo spazio scandiscono il tempo in tal modo che dal tenue bianco e nero del passato si accendano poco a poco i vivaci colori della realtà che passa. Sullo schermo compaiono  film semplici, diretti, apparentemente normali che diventano particolari, intensi e di grande respiro che colpiscono il cuore e allertano la mente. Alcuni dei quali nascono, crescono, s’intrecciano e si sviluppano in un luogo ben preciso, altri scorrazzano nel tempo alla ricerca di nuovi mondi e altri ancora si fermano a osservare la difficoltà di comunicare. Si parla di donne, famiglia, signori e signore, passioni, vizi e virtù, giovani poveri, eroi metaforici, avventure mefistofeliche, amori e tradimenti, amicizie particolari, mostri e baraccati, città e paesi, sale da ballo, viaggi e alla fine di persone speciali che hanno fatto grande il cinema italiano con un sentito omaggio al grande Federico Fellini.

Irresistibilmente attratto dal mondo dello spettacolo, il giovane Ettore Scola, proveniente da Trevico, provincia di Avellino, dove era nato nel 1931 s’iscrive a Giurisprudenza una volta trasferitosi a Roma con tutta la famiglia. Qui conservando intatte le peculiarità delle sue origini si arricchisce di studi, incontri e diverse esperienze anche radiofoniche alla fine degli anni quaranta.

A metà degli anni cinquanta impugna la matita per esprimere la sua creatività assecondando quell’inclinazione che si portava appresso innata per disegnare bozzetti e vignette caricaturali sul giornale satirico Marc ’Aurelio. Su quelle pagine intrise di pungente sarcasmo, sottile umorismo e allegra ironia a quei tempi spiccano anche le firme di Age&Scarpelli, Ruggero Maccari, Giovanni Mosca, Vittorio Metz nonché Federico Fellini.

Poi passa alla penna per scrivere sceneggiature cinematografiche, specialmente all’inizio con i primi due, e non abbandona completamente questa passione anche quando seguendo la logica trafila da aiuto diviene regista a tutti gli effetti. Risalgono a quel periodo i divertenti dialoghi di film come” Un americano a Roma” del 1954; quelli realistici e nostalgici de “La grande guerra” del 1959 e quelli fintamente leggeri di” Crimen” del 1960.

Con altre prestigiose collaborazioni di gente del calibro di Ruggero Maccari, Nanni Loy, Steno e Luciano Salce, tanto per citarne alcuni, affina il mestiere  metabolizzando la visione di sé stesso, dell’Italia e del cinema. Nella continua ricerca di personaggi veri che rappresentassero soprattutto la capacità, attraverso la lente deformante del paradosso, di cercare nella vita un senso di adattamento che conduca al riscatto sociale.

Assieme ad alcuni di questi eccellenti sceneggiatori firma i copioni di capolavori come “Il sorpasso”; “I mostri “ e in collaborazione con Antonio Pietrangeli:” Io la conoscevo bene”, Nastro d’Argento del 1965 per la miglior sceneggiatura, in cui debutta una splendida Stefania Sandrelli.

L’approdo finale del suo percorso professionale si completa dietro la macchina da presa che avviene nel 1964 con la regia di” Se permettete parliamo di donne” interpretato dal suo alter ego Vittorio Gassman, protagonista due anni dopo nei panni rinascimentali di un diabolico ribaldo in “L’arcidiavolo”, colonna sonora dell’eclettico Armando Trovajoli.

Risale al 1968 il suo primo vero successo con il film “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” dove Alberto Sordi in versione di commendatore agiato piccolo borghese tenta di ritrovare il cognato Nino Manfredi per riportarlo sulla retta via, ma si accorge di quanto siano venali i falsi valori di una società in apparenza opulenta basata su uno sfrenato consumismo e conseguente noia del vivere.

Si avvale poi della sofisticata presenza scenica e del garbo recitativo del sottile Ugo Tognazzi per girare “Il commissario Pepe” un poliziotto particolare alle prese con i vizi privati e pubbliche virtù di una cittadina di provincia e miscela sapientemente l’apparente superficialità di Giancarlo Giannini, il soffuso scetticismo di Marcello Mastroianni e la sgangherata comicità di una Monica Vitti spumeggiante più che mai, nel film “Dramma della gelosia- Tutti particolari di cronaca “, acuta riflessione sul sentimento più devastante dell’animo umano visto in una chiave artatamente buffonesca.

Nel 1974 dirige” C’eravamo tanto amati”, il suo successo più popolare: una parabola amara di una forte amicizia che viene soffocata dal tempo che passa, attraverso le alternanti vicende di tre amici Gianni (Vittorio Gassman) l’opportunista avvocato arricchito; Antonio, (Nino Manfredi) l’irriducibile portantino comunista e Nicola (Stefano Satta Flores) l’idealista intellettuale fallito. Tutti e tre per un verso o l’altro provano attrazione per Luciana (Stefania Sandrelli), che disillusa sceglie infine l’apparente quiete di una vita domestica accanto ad Antonio.

“Brutti, sporchi e cattivi” è un film grottesco e aspro con sprazzi di amara comicità e squarci di vera umanità. Girato tra le baracche della periferia romana, racconta le gesta di una famiglia di miserabili straccioni che vivono d’ espedienti oltre la legalità, per tirare avanti e spesso ricorrono alla violenza fisica e anche morale. L’eccellente Nino Manfredi è Giacinto un uomo gretto e manesco capostipite di questa innumerevole tribù.

Scola viaggia indietro nel tempo, per descrivere “Una giornata particolare “un film d’intensa poesia e di rara sensibilità, delicato e leggero come il vetro soffiato, in cui si narra dell’incontro casuale tra due anime perse nella rutilante apoteosi di quella che sarebbe poi diventata un’immane tragedia. Gabriele, uno strepitoso Marcello Mastroianni prossimo al confino per manifesta omosessualità e Antonietta, una sublime Sofia Loren, nei panni di una sciatta casalinga preda di un rozzo marito, vivranno una loro speciale complicità che sfocerà nell’intimità.

Ettore Scola alla proiezione di Ridendo e Scherzando al festival del cinema di Roma, 18 ottobre 2015.
(AP Photo/Riccardo De Luca)

A suo agio tra le mura domestiche nel 1980 ormai regista particolare, Ettore Scola s’intrufola tra gli ospiti de “La terrazza”, per spiare ciò che succede in un luogo abituale d’incontro tra varie persone ognuna con stampigliato addosso il suo stato d’animo. In quel punto cardine, una specie di snodo in cui emergono interessi a volte comuni, si sviluppano insopprimibili egoismi e piccole meschinerie che rivelano modi quasi sempre opposti di rapportarsi: il tutto concentrato solo e sempre nella routine che non prescinde dal presenzialismo più superficiale.

E dopo nel pieno della sua attività come se fosse quasi un punto di arrivo, nel 1987, il cineasta avellinese ma ormai romano d’adozione, con rara maestria, realizza uno splendido affresco temporale con la regia de “La famiglia”, dove con sguardo attento accarezza i delicati sentimenti e gli intricati turbamenti che convivono assieme alle contrastanti diversità emergenti al suo interno. L’occhio magico della sua macchina da presa indugia fra i molteplici stati d’animo che talvolta cambiano le persone al succedersi di naturali avvenimenti e imponderabili situazioni. Sul set di questi due film si conferma o avvicenda il meglio del cinema italiano del tempo a suggellare l’invidiabile professionalità e bravura di attori come Mastroianni, Gassman e Tognazzi assieme a Manfredi i suoi preferiti, abilissimi a interpretare con rara maestria il costume degli italiani raccontandone con impareggiabile talento, i loro pregi e difetti.

La sua difficoltà di adagiarsi nella moderna dimensione si riflette nell’ormai difficile confronto generazionale come quello tra Mastroianni e Troisi nei film Splendor, e Che ora è? girati alla fine degli anni ottanta. Dopo aver fantasticato con “Il viaggio di Capitan Fracassa”, Scola firma ancora qualche altro film di notevole spessore, quali” La cena” e “Concorrenza sleale”, prima di consegnarsi all’elegante malinconia del suo crepuscolo nel 2013 con “Che strano chiamarsi Federico”, il suo ultimo film.
Il suo grande amico, collega e mentore che nel dispiacere di tantissimi, forse non si dispiacque tanto di rivederlo quando nel gennaio del 2016 il buon Ettore lo raggiunse lassù nel cielo: chissà cosa aveva fretta di comunicargli considerato che dall’alto più in alto le riprese hanno sicuramente un altro effetto.

Qui sulla terra rimane l’indelebile ricordo di un regista che ha comunicato, divulgato e raccontato attraverso accurate ricostruzioni cinematografiche le pulsioni di più di cinquanta anni della vita e del costume italiano con classe, garbo, leggerezza e obiettività nonostante l’impegno politico dichiarato.

Vincenzo Filippo Bumbica