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Elsa Schiaparelli e Salvador Dalí: l’iconico Abito Aragosta del 1937

Articolo a cura di Benito Dell’Aquila e Valentina Brini

Dopo Mondrian e Yves Saint Laurent, un nuovo appuntamento in cui l’arte si sposa con la moda. E’ il caso di Elsa Schiaparelli e Salvador Dalí. Nel 1934 i due artisti del proprio settore, si incontrarono e nacque una collaborazione che ha prodotto uno degli abiti più iconici di tutta la storia della moda internazionale.

Era il 1932 quando il famoso giornale americano The New Yorker scriveva «Un abito Schiaparelli equivale a un’opera d’arte». Di certo non si sbagliava! Elsa Schiaparelli, meglio nota come l’eterna rivale di Coco Chanel, è stata una delle più grandi couturier che la moda abbia mai contemplato.

Nata nel 1890 da genitori aristocratici piemontesi e napoletani, Elsa da sempre stupì tutti con il suo carattere ribelle, anticonformista e sensuale. Sebbene la sua famiglia fosse di nobili origini, l’inventrice del rosa shocking dovette affrontare diverse peripezie prima di approdare nella Parigi della Haute Couture e diventare una delle figure più influenti che il settore moda abbia mai conosciuto. Durante la sua vita si dedicò all’arte, alla poesia e… si trasferì nella capitale londinese dove sposò un nobile come lei. Ma il matrimonio fu veleno per la sua mente creativa: infatti dopo un breve soggiorno nel newyorkese, la “Schiap”, divenuta ormai madre single, si trasferì a Parigi.

E’ proprio nella città dell’amore che la famosa stilista incontrò il suo: la moda.

 

Grazie alle sue amicizie, in particolar modo grazie all’amica Gaby, moglie di Paul Picabia, Elsa entrò nel giro dei creativi quasi subito. Fu proprio grazie ad una visita all’atelier del famoso Paul Poiret che per Elsa scattò il colpo di fulmine. Aprì così il suo atelier in casa e grazie all’aiuto e alla collaborazione di una sarta, iniziò a creare i suoi abiti sportivi, da sera (con zip!), le prime gonne pantalone e i profumi Schiaparelli.

Nel 1934 ci fu un amore a prima vista: quello tra Salvador Dalí e Elsa Schiaparelli.

Salvador Dalí è tra gli artisti più talentuosi di tutto il ‘900. Abilissimo disegnatore e dalle idee visionare, non stupisce si sia avvicinato alla corrente surrealista. Un movimento d’avanguardia, secondo il quale, l’inconscio che trova libero sfogo nella mente quando si dorme, nei sogni, dovesse emergere anche da svegli. Con parole, pensieri e immagini senza filtri, senza barriere può nascere una nuova visione di arte e creatività. Nulla è impossibile e Dalí lo intuì ben presto. Tutte le sue creazioni sono suggestive e bizzarre, fuori da ogni canone prestabilito. La sua visione dell’arte si sposava con la sua personalità, stravagante ed eccentrica.

Le sue idee gli permisero di contaminare ogni settore della produzione umana. Dalí sapeva vendere non solo le sue visioni e creazioni, ma anche se stesso, diventando egli stesso un vero e proprio brand, che tutti amavano. L’incontro con Elsa Schiaparelli sfociò in un sodalizio di creatività.

Elsa aveva già rielaborato il suo stile fantasioso, caratterizzato da ispirazioni cubiste, maglioni-tatuaggio, golf trompe-l’oeil in stile optical e ricami dorati. E fu proprio così che i due, nel 1937, unirono i loro geni artistici in una delle composizioni più famose e iconiche del settore moda: l‘Abito Aragosta.

L’idea dell’aragosta nella mente di Dalí aveva trovato già riscontro l’anno precedente, quando decise di utilizzare il crostaceo come cornetta telefonica. Prese forma Telefono aragosta. Una combinazione che per l’artista trovava motivo di esistere. Secondo Dalí le aragoste e i telefoni avevano entrambi una forte connotazione sessuale ed egli individuò una stretta analogia tra il cibo e il sesso. Non stupisce che il marchio del surrealista diventasse sinonimo di eleganza e sinuosità femminile.

L’aragosta era un “objet du jour” per Dalí, che divenne nell’incontro con Elsa Schiaparelli un abito lungo da sera di seta bianca con un crostaceo rosso posto all’altezza del bacino. E fu Wallis Simpson a indossare per prima l’Abito Aragosta in un servizio fotografico del grande Cecil Beaton, poco prima del suo matrimonio con il Duca di Windsor!

Si ricorda, inoltre, che per la maestra Schiaparelli (al contrario di Coco Chanel), un abito non era semplicemente un abito, inteso come tessuto di ornamento: “Un abito non è solo stoffa. Un abito è un pensiero”.

E, forse, è proprio per questo che la couturier cercò di spingersi sempre oltre ogni confine fino ad allora esplorato, cercando risposte nel Surrealismo e nelle nuove Neoavanguardie di inizio ‘900. E se la moda è arte, Elsa Schiaparelli ci aveva proprio visto lungo.