Covid e cultura: che prezzo dobbiamo pagare?

Covid e cultura, ovvero teatri, musica e cinema: quanto abbiamo perso economicamente e culturalmente parlando in un anno di pandemia di Covid-19? Secondo Federturismo, le perdite nel mese di febbraio si aggirerebbero intorno ai 5 miliardi.

Covid e cultura: un binomio antipatico

La cultura, insieme al turismo, è stato uno dei settori che ha sofferto di più durante la pandemia ancora in corso: il Covid-19 è un virus che inibisce la vita sociale e le attività di gruppo. Opera, concerti, cinema e anche scuola e musei sono tutte attività che hanno il loro fascino solo se il pubblico e il palco sono in continua relazione uno con l’altro: è un elemento fondamentale per il successo di un’impresa. Mancano gli applausi (e a volte anche i fischi), manca la partecipazione e il coinvolgimento davanti all’esibizione canora, manca lo sguardo attento del discepolo sulla maestra o dell’osservatore sul pennello. Per provvedere a questa grossa perdita, sono state promosse le dirette in televisione, streaming o differite.

Ma diciamolo: non è la stessa cosa. Persino le prime delle stagioni di opera e balletto dei più importanti teatri italiani (la Scala e la Fenice, per esempio) hanno dovuto ripensare a come non rinunciare alle loro prime per la stagione 2021. Non molto tempo fa, circolavano foto di platee deserte, senza sedie, nuovo pulpito per l’orchestra, mentre il pubblico assisteva dai palchi o dal palcoscenico, rispettando le distanze di sicurezza. Un segno: un segno di ripresa, quanto di rivoluzione. Un cambio di prospettive. Una “rivoluzione copernicana“: questo è quello che serve. Ma andiamo con ordine…

Italia e UE

Non 2020 i consumi culturali sono calati del 47%, passando da una spesa media a famiglia di € 113 nel dicembre 2019 a poco più di € 60 nel dicembre 2020 (Osservatorio di Impresa Cultura-Confcommercio). Al di là del trito e ritrito mottetto “l’Italia è il paese della cultura”, la gravità della situazione non è solo economica, ma anche sociale, per non dire culturale in senso lato.

L’Italia forse era (non “è”: usiamo i tempi corretti…) il paese della cultura: rispetto ai nostri amici del Nord, l’Italia spende molto meno in cultura e istruzione. Negli ultimi 12 anni, la spesa per l’istruzione si è ridotta di 5 miliardi. Circa l’8% del PIL è destinato all’istruzione, mentre solo l’1,4% è destinato alla cultura, rispetto al 10,2% e al 2,1% della media europea. Ma c’è di più: anche le gite scolastiche e le fiere sono sospese. Dettaglio forse insignificante, ma comunque da tenere in considerazione.

Se già quindi la situazione pre-Covid non era meravigliosa, ora è sicuramente drammatica: l’unica attività che ha resistito è stata la lettura di libri e quotidiani. Non che prima fossimo eccellenti, intendiamoci: l’Italia è anche all’ultimo posto in Europa per lettori e prima per difficoltà di apprendimento di un testo scritto. Nel buio delle nostre case, sbarrate per colpa del coprifuoco, la lettura dei libri è cresciuta del 9%.

Covid e cultura: quali possono essere le soluzioni?

Ma ovviamente il teatro e il cinema non sono questo e basta: teatro e cinema sono anche gli operatori, “quelli delle quinte”, che non si vedono, ma rischiano anche loro il posto di lavoro. C’è un mondo dietro all’organizzazione di uno spettacolo che è compartecipe, forse all’insaputa dello spettatore, della realizzazione della performance. E i costumisti e i parrucchieri? Anche loro: dimenticati…

Un spiraglio, dopo un anno sembra aprirsi: teatri e cinema potranno riaprire da fine marzo solo se la regione rientra nella zona gialla. Ai musei, invece, questa possibilità è stata già data nell’ultimo DPCM a firma Conte. Riaprire: ma come? E per quanto? Una stagione operistica è impensabile.

Il teatro potrà essere il luogo più sicuro del mondo (e non si pontifichi su questo, che è inutile), ma l’organizzazione degli spettacoli sarà difficoltosa in un primo momento, in un periodo di camaleontiche regioni. Si annulleranno gli spettacoli già prenotati? Oppure si esauriranno i biglietti settimana per settimana? E non ultimo: varrà la pena tenere aperti se la spesa sarà maggiore dell’entrata? Quale sarà il destino delle realtà più piccole?

Un organismo così piccolo ha messo in crisi la più grande (e potenziale) risorsa dell’economia italiana. Sarà tempo di ripensare anche a come far sopravvivere la cultura e la formazione umana. È dalla peste che è nato il “Decameron”, è dall’olocausto che è nato “Se questo è un uomo”, è da un incendio che è risorto il Teatro la Fenice (dal nome, diciamocelo, decisamente provvidenziale). Cosa nascerà dopo il Covid-19?

Questa è la domanda che dobbiamo porci. Questa è la domanda da cui deve partire una rivoluzione sociale, antropologica e culturale. Una “rivoluzione copernicana” che ci permetta di cambiare prospettiva perché quella che abbiamo adottato fino ad oggi è insufficiente a combattere i problemi di questi nuovi e terribili anni ’20.