Coronavirus ed ordinanze: come reagiranno le economie locali?

A cura di Benito Dell’Aquila & Paride Rossi

L’emergenza Coronavirus in Italia è palpabile ed è diventata realmente nazionale. All’emergenza sanitaria, senza dubbio da tenere al primo posto nelle priorità del Governo, si sta estendendo a macchia d’olio l’emergenza economica.

La drasticità dei provvedimenti presi nelle scorse settimane dal Governo era stata percepita solamente da commercianti ed imprese del Nord Italia, direttamente interessate sin dalla prima ora. Con l’allargamento della zona rossa all’intero territorio nazionale, la gravità dell’emergenza è stata percepita da tutto il Paese.

In poche ore dall’azione del Governo si sono registrate diverse emanazioni di ordinanze restrittive da parte di Regioni e Comuni. Ora le economie locali sono davvero in allarme e sentono il fiato sul collo.

Nei giorni scorsi erano stati obbligati alla chiusura altre tipologie di esercizi, come: palestre, centri sportivi, piscine e tutti i luoghi di assembramento.

Alle precedenti misure di chiusura, si integrano i seguenti interventi degli  degli amministratori locali, altamente  a livello economico-sociale.

Regione Campania

Il Governatore Vincenzo De Luca ha attuato, sin da subito, misure severe e drastiche, per ridurre al minimo le possibilità di contagio in Campania.

La Regione, infatti, risulta essere la prima del Mezzogiorno per contagi (sopra i 160 fino a ieri) e la preoccupazione è alta nei confronti del Sistema Sanitario Regionale, a rischio collasso.

De Luca, ieri, ha vietato l’apertura di saloni di bellezza, estetisti, barbieri e parrucchieri. Tali attività sono state individuate come luoghi in cui il mancato contatto con il cliente è quasi impossibile e non sono considerati servizi essenziali.

E’ una misura preventiva importante, tenendo conto del fatto che, in una situazione di quarantena, in cui c’è l’obbligo di rimanere in casa, l’ultimo pensiero sia quello di farsi belli.

Ma il Governatore non si è fermato qui. E’ entrato in vigore in giornata, infatti, un aggiornamento del decreto dell’8 marzo scorso della regione Campania a firma di De Luca.

Con tale aggiornamento, il governatore ha vietato a tutte le attività di ristorazione e bar l’apertura dopo le ore 18, abolendo anche la possibilità di effettuare consegne a domicilio dopo questo orario.

Le consegne a domicilio erano state individuate da molti ristoratori, costretti a chiudere dopo le 18, come il mezzo per continuare la propria attività, anche in modo ridotto. Con il divieto è stato reso praticamente impossibile il normale svolgimento delle attività lavorative.

Cosa fare in questo momento buio? Sperare che tutto passi il prima possibile, ma anche reinventarsi, provando a convincere la propria clientela a consumare a cibo a domicilio anche a pranzo, soprattutto nelle realtà cittadine più contenute.

Siena & Messina

Il comune toscano ha emesso un’ordinanza aggiuntiva ieri, vietando lo svolgimento di alcuni mercati, l’apertura di attività del settore cura e bellezza, l’apertura dei tatuatori.

Una misura in linea con la prima decisione di De Luca, in una delle regioni che teme di diventare una “nuova Lombardia” in termini di contagi. Sicuramente l’impatto economico sarà duro, ma forse meno rispetto a quello che si apprestano a vivere i campani.

Provvedimenti simili sono al vaglio del sindaco di Messina, pronto a lasciare aperti solamente i supermercati nel capoluogo siciliano. Il sindaco siciliano, infatti, è preoccupato per un’eventuale epidemia nell’isola che, a suo dire, “sarebbe una tragedia”.

Regione Lazio

La regione, guidata dal governatore Zingaretti positivo al COVID-19, ha annunciato anche la chiusura dei centri termali, insieme a centri estetici e centri tatuaggi. Obbligo in bar e ristoranti dell’utilizzo di mascherine e guanti per gli operatori, una misura forte nella prima città italiana per numero di turisti.

Misure forti: quale effetto nel lungo periodo?

La chiusura totale o parziale delle attività commerciali pone numerosi interrogative e ansie nel comparto imprenditoriale. L’abbassamento delle serrande è prettamente collegata ad un calo e nei casi più restrittivi ad una totale mancanza di fatturato.

Una situazione che pone affanni e interrogativi sul futuro di imprese e dipendenti ad esse associate. Al momento sono poco chiare le direttive del Governo sul futuro delle attività costrette alla chiusura e su come queste possano far fronte alle normali spese di settore e di amministrazione. È il caso degli stipendi dei dipendenti, mutui, affitti, contributi previdenziali, Iva a debito e non ultime utenze e bollette. Senza considerare il danno di merci acquistate rimaste invendute.

Tali misure restrittive adottate da comuni e regioni sono strettamente collegate alla volontà di indurre un rapido calo dei contagi,  tornando dunque ad una normale ripresa del commercio. Se ciò non dovesse verificarsi non è esclusa la totale chiusura di tutti gli esercizi commerciali fatta esclusione per farmacie e beni di prima necessità, con un danno enorme per l’economia reale del Paese.

Siamo in presenza di misure forti, che colpiscono per lo più commercianti ed imprese addetti alla produzione e somministrazione di beni/servizi di consumo. Terminata l’emergenza, nel caso in cui questo declino non venisse supportato attraverso gli appositi strumenti, si potrebbe innescare una spirale pericolosa portata dal calo dei consumi. Meno consumi equivale a chiusure di attività.

Un calo dei consumi da parte dei cittadini non farà che accentuare la difficile posizione in cui l’Italia è già in questo momento. Questa crisi ha lasciato e lascierà sul campo molte vite umane, ma prepariamoci al peggio. In mancanza del supporto convinto e deciso dello Stato, andremo incontro ad una crisi economica unica nel suo genere, con un mix di conseguenze sociali durissime.