Chissà dove è finito il tempo tra le case diroccate e le stradine dei paesini che vediamo sullo sfondo delle cartoline, quelli che somigliano agli scenari dei racconti dei nonni, che odorano di profumi lontani e si rintanano nel cuore della terra. Rovistando, cercando una voce per quella piccola porzione di mondo in bilico tra la vita che si offre spontanea nei gesti della gente, nel richiamo al nido delle tradizioni e il disarmo del silenzio che inchioda le cose perdute, nasce il Guilmi Art Project.
“GAP nasce nel 2007 come una festa tra una ventina di amici e con l’invito a un artista-ospite a immergersi nella realtà di Guilmi, un paesino dell’ Abruzzo di circa 300 anime”.
Artista e popolo diventano l’alfa e l’omega di un’idea, i braccianti dello stesso terreno fruttuoso dell’arte contemporanea.
Così, la gente da la mano all’artista, si presenta, si racconta, si incontra e, anno dopo anno, nascono progetti diversi, focalizzati sulla rinascita sociale, sull’interpretazione di un luogo specifico e sulle sonorità diverse di più voci che si armonizzano. In questo intreccio di mani, di storie e di parole c’è il rischio di perdere la singolarità, ma è proprio in questo che entra in gioco il sesto senso del creativo, nell’avere i riflessi pronti a cogliere le differenze, le inchiostrature diverse in una porzione di mondo che sembra così coeso, così uguale a se stesso al punto da confondersi con una sola materia senza innervature, un cielo senza diversi punti luce.
Federico Bacci e Lucia Giardino, da sempre curatori del Guilmi Art Project, ogni anno aprono le porte ad un artista nuovo, che sappia lanciare l’occhio oltre il sentito e il detto per vedere l’invisibile, osservando il visibile.
Per il traguardo della decima edizione, passando attraverso flashbacks di esperienze e volti di artisti nazionali ed internazionali, il Guilmi Art Project ha deciso di stringersi intorno all’ arte assieme a Cosimo Veneziano, giovane artista torinese che pone davanti ai nostri sguardi una concatenazione di ricerche artistiche, con l’intenzione di riflettere sul rapporto tra territorio urbano e cambiamenti sociali.
“Siamo andati casa per casa a visitare le varie cellule museali, cioè le case della gente o luoghi pubblici che nel tempo hanno accumulato opere d’arte” spiega Lucia Giardino. Infatti, alla radice dell’ intero progetto chiamato mORALE, proprio per evidenziare la centralità del racconto orale, della parola tramandata dei guilmesi, c’è la volontà di creare un museo che chiami a raccolta le varie abitazioni della gente. Così, superando i gradi di separazione tra intimo e pubblico, in ogni focolare si è riusciti a riportare alla luce un’opera d’arte, strappandola dal dimenticatoio.
Un lavoro di riscoperta, coronato da uno spazio espositivo, “il luogo con l’insegna accesa” situato al centro del paese, che, come uno scrigno, ha accolto dieci serigrafie delle stanze in cui sono conservate queste opere, spesso oggetti privati o diventati invisibili proprio per il fatto di averli spesso sotto gli occhi, quotidianamente visibili.
“Tutti noi appendiamo cose all’ interno delle nostre case, solitamente per il semplice fatto che per noi hanno un valore e, quindi, l’obiettivo è stato anche quello di capire se avessero valore e che valore avessero per gli abitanti” racconta Cosimo Veneziano.
Non resta altro che chiedersi ancora una volta dove sia finito il tempo in questi posti che fanno da eco alla memoria, al passato, a ciò che si sgretola senza consumarsi mai e accorgersi che, forse, il tempo che finisce dentro le nostre case, dentro gli oggetti che conserviamo, dentro i nostri racconti è l’opera d’arte che stavamo cercando.