Chema Madoz: l’erede del surrealismo di Magritte in un click

Il mondo che cambia sotto la nuova luce donata dall’artista all’osservatore; è il surrealismo, un’arte figurativa con l’obiettivo di trasfigurare la realtà senza rinnegarla.

L’approccio al surrealismo è stato diverso da artista ad artista, a seconda delle diverse personalità di chi lo ha interpretato. Max Ernst, Juan Mirò, René Magritte e Salvador Dalì sono alcuni dei più grandi esponenti che vi aderirono, regalandoci capolavori conservati nei più importanti musei dl mondo.

Possiamo suddividere la tecnica surrealista in due macro categorie: quella degli accostamenti inconsueti e quella delle deformazioni irreali.Gli accostamenti inconsueti sono stati spiegati da Max Ernst, pittore e scultore surrealista, seguendo la definizione di bellezza del poeta Comte de Lautréamont come «l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio», un bizzarro accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili.La bellezza surrealista nasce, allora, dal trovare due oggetti reali, veri, esistenti che non hanno nulla in comune, uniti per libera associazione di idee al fine di ricavare una realtà nuova.Tale situazione genera una inattesa visione che sorprende per la sua assurdità e perché contraddice le nostre certezze.La metamorfosi è invece la trasformazione di un oggetto in un altro, come, ad esempio, le donne di Delvaux che si trasformano in alberi o le foglie di Magritte che spiccano in volo come uccelli.Entrambi questi procedimenti hanno come obiettivo il voler trasmettere l’idea di un diverso ordine della realtà.

Ma cosa succede quando il surrealismo incontra la fotografia?

Il fotografo spagnolo José María Rodriguez Madoz, meglio conosciuto come Chema Madoz, è nato nel 1958 a Madrid ed è uno dei più originali artisti contemporanei. ha studiato Storia dell’arte all’Universidad Complutense de Madrid per poi rimanere affascinato dall’arte surrealista tanto da aver trovato nella fotografia il suo mezzo per dare una sua versione dell’arte dei maestri del primo Novecento. La sua prima esposizione ha avuto luogo nel 1983 alla Royal Photographic Society di Madrid, e la sua carriera è poi proseguita ottenendo diversi importanti riconoscimenti e le sue opere sono state esposte in diversi musei internazionali come il Museo de Bellas Artes de Buenos Aires, il Museo Marugame in Giappone o il Museum of Fine Arts di Houston, fino a vincere  il primo premio nazionale spagnolo di fotografia nel 2000.Madoz, come il maestro Magritte, usa la sua immaginazione non tanto far emergere l’inconscio dell’uomo, bensì per valorizzare oggetti usuali i quali, se decontestualizzati, appaiono inusuali, estranei all’esperienza, quasi ‘sbagliati’ perché in grado di cambiare la rappresentazione della realtà stessa.

“A un tratto iniziai a trovare le figure umane che fotografavo poco interessanti. Ebbi la sensazione di stare scattando centinaia di foto uguali e questo mi fece perdere l’attrazione verso la figura del corpo. Gli oggetti hanno lo stesso carattere delle parole, si contaminano l’un l’altro generando significati sempre nuovi”.

Le sue immagini riflettono un mondo dove gli oggetti che ci circondano non sono mai quello che sembrano essere..

Madoz traduce in immagine l’insanabile distanza che separa la realtà dalla sua rappresentazione; egli riesce a catturare gli elementi della quotidianità ridando loro nuovi significati ed esplorando nuove possibilità attraverso suggestive illusioni ottiche.In tal modo, quella che viene a determinarsi è una contiguità visiva tra forma e contenuto.

Come Magritte definì la sua arte come un modo per “sentire il silenzio del mondo”,così le foto dell’artista spagnolo crea immagini che sembrano essere sospese nel vuoto,racchiuse nel silenzio,immobili ed esenti dallo scorrere del tempo; lo scatto fotografico raggiunge così la vera essenza della fotografia,ritagliando un momento che è destinato a durare per sempre.

Negli anni, Madoz è andato verso una semplificazione estrema della fotografia: ha eliminato il colore e lo sfondo, che secondo lui può distrarre l’osservatore dall’Idea,per arrivare all’immagine pura, nuda.Le sue opere non hanno nome, proprio perché non vuole inquinare o influenzare la mente dell’osservatore. Ed è proprio per questo che si distacca dal tradizionale concetto di natura morta: le sue immagini necessitano della partecipazione attiva dell’osservatore. Il gap irrazionale tra ciò che l’occhio vede e ciò che la mente legge rende l’osservatore essenziale per il lavoro di Madoz.

La vittoria dell’artista è raggiungere la nostra comprensione, prima che la nostra interiorità. Sorprende molto il fatto che queste fotografie non siano frutto della manipolazione digitale. Infatti, per realizzare i suoi paradossi visivi Madoz diventa di volta in volta il regista delle sue fotografie, apportando agli oggetti delle semplici modifiche come uno scultore con le sue opere, Rifiuta l’uso della tecnologia perché “lavorare in analogico ti fa stabilire un vincolo con la realtà che non raggiunge la fotografia digitale, che è qualcosa di facilmente modificabile; a me interessa rendere le modifiche realtà”.

Chema Madoz vuole dimostrare con i suoi scatti che la realtà non è una soltanto, ma può avere molteplici interpretazioni

  “La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”

Paul Watzlavick

Lucrezia Vardanega