Anne Bancroft: Mrs Robinson e le altre

Non poteva essere che lei la prescelta per interpretare Mrs. Robinson. In primis per il suo modo così particolare di essere donna, poi per la sua voce secca, bassa e afona, non meno sexy del corpo che esprimeva femminilità a tutto tondo e infine per quel certo non so che di diverso che la rendeva irresistibilmente unica.

“Anne aveva una combinazione di intelligenza, humor, sincerità e sensibilità come nessun’altra”, ha ricordato in occasione della sua scomparsa il regista Mike Nichols che la diresse proprio in quel film “Era un’attrice esperta che sapeva cambiare radicalmente per ogni parte”.

Quello che ci voleva per portare sullo schermo la figura della signora inquieta, malinconica e annoiata mollemente adagiata nella sua condizione di ricca borghese americana del tempo, a cui ha dovuto pagare tanto dazio.

Come in uno specchio, questa vicenda riflette la condizione sociale femminile in un contesto, quello degli anni 60, dove una certa problematica cominciava a insinuarsi anche negli ambienti più benestanti e conservatori confermando che il vento del cambiamento stava per ribaltare l’ordine costituito delle cose.

Siamo nel 1967 e per Anne Bancroft, arriva il ruolo della protagonista femminile di un film, “Il laureato”, che suscitando scalpore farà epoca procurandole la nomination all’Oscar e una notorietà inossidabile. Per la verità un tale premio lei lo aveva già vinto, cinque anni prima, per la totale immedesimazione propedeutica alla sublime interpretazione di Annie, la maestra particolare di un’alunna cieca e sordomuta nel film “Anna dei miracoli” di Arthur Penn. E per dirla con le parole di quest’ultimo: «Era un’attrice magnifica e una donna dalla gamma emozionale ricchissima».

Originaria del Bronx essendo nata a New York il 17 settembre del 1931 è figlia della prima generazione di immigrati italiani, in realtà si chiamava Anna Maria Louisa Italiano: nella vita moglie di Mel Brooks e il matrimonio con il regista di “Frankenstein Junior” rimane uno dei sodalizi più riusciti nel mondo del cinema.  Ma per gli spettatori di tutto il mondo resterà a lungo ancora la sensuale e insoddisfatta signora semialcolizzata cantata da Simon & Garfunkel nel capolavoro del suddetto regista americano in cui interpreta la donna matura sexy e spregiudicata che seduce un imberbe e serioso Dustin Hoffman: «Brindiamo a te, signora Robinson/ Gesù ti ama più di quel che sai».

Ma questo film la inseguirà per sempre. Tanto da irritarla. «Con tutto quello che ho fatto si parla solo di Mrs. Robinson. La gente non sa guardare più in là del proprio naso. Anzi di quello di Dustin Hoffman». E giù una risata.

La pungente ironia si saldava dunque benissimo con l’assoluta consapevolezza di possedere una tale spiccata personalità da contraddistinguere una donna da cui nacque un’attrice troppo brava, intensa e capace d’interpretare i ruoli più impegnativi passando con disinvoltura tra le sottili sfumature generazionali, elaborando con paziente attenzione i particolari di figure umane di grande rilievo.

Intraprese la carriera artistica a diciassette anni quando, dopo aver preso lezioni di danza e di recitazione, entrò alla American Academy of Dramatic Arts di New York assumendo momentaneamente il nome d’arte di Anne Marno. Ventunenne, esordì a Hollywood nel film La tua bocca brucia (1952) con Richard Widmark. Lei bruna e mediterranea, opportuno contraltare della burrosa e già biondissima Marilyn Monroe. La sua filmografia mai banale e confinata in ruoli “tipici” sarà durevole, consistente, cosmopolita e sofisticata raggiungendo picchi di assoluta bravura poiché anche figlia delle tante passeggiate sui tavolati teatrali e dalla fitta presenza negli sceneggiati tv di quel tempo dove si rifugiava tutta la fronda dell’intellighenzia anti-maccartista; si svilupperà durante il periodo della contestazione generale e resisterà al nefasto impulso degli sbrigativi produttori trentenni stampati in serie, vestiti seriali, globalizzati e monoteisti di cifre, percentuali e audience, ascesi sciaguratamente a Wall Street nei primi 80 e tuttora in auge. Non a caso la sua splendida regia del film” Fatso“ risale a quel periodo e rimane indelebile a contrastare quel rozzo pensiero unico. Scorrendo i titoli e analizzando i vari ruoli si nota come la Bancroft abbia trasferito attraverso i suoi personaggi interpretati la sua idea di vita arricchendola sempre di nuovi esperienze. Dopo l’Oscar del 1963, ecco la splendida figura di Jo Armitage di “Frenesia del piacere”, dell’inglese Jack Clayton, che le dette la palma d’oro di Cannes nel 1964 e una candidatura all’Academy Awards; poi è costretta a svelare, date le circostanze, la sua nascosta umanità nei panni della controversa dottor Cartwright di Missione in Manciuria, regia di un inarrivabile John Ford; si ritrova così, ma non per caso, in un ruolo opposto: l’accorta mogliettina del disadattato Mel Edison (un’impeccabile Jack Lemmon) nell’amara commedia di Neil Simon “Il prigioniero della seconda strada” di Melvin Frank; per dopo ridiventare spigolosa e tenace nell’impersonare Emma Jacklin, l’amica rivale di sempre di Deedeee Rogers (un altrettanto brava Shirley McLaine) disposta a tutto per far carriera alimentando così rancori mal sopiti tra le due. nel film di Herbert Ross ”Due vite, una svolta” (1977). Un breve intervallo per inserirsi sul cupo scenario della Londra Vittoriana dove si veste degli abiti fine ottocento di Mrs. Kendall in Elephant man, l’opera che impose nel 1980 David Lynch come un novello visionario; si divertì tanto girando in seguito Essere o non essere, omaggio anti hitleriano a Lubitsch di suo marito Mel Brooks (con il quale replicò la goduria anche in Dracula (1995); tre anni dopo diventa l’eccentrica e crudele miss Nora Dinsmoor di Paradiso perduto di Alfonso Cuaron, regista dell’avanguardia messicana che mette in scena una turbinosa danza del cuore. La figura della reazionaria senatrice texana Lillian DeHaven di Soldato Jane,(1997) timbra l’esordio inquietante del sovversivo di Ridley Scott sul militarismo Usa. Ormai scintillano  di qualità i suoi ultimi fuochi cinematografici e la gran dama prosegue ancora i western con Allan Dwan, e i filmoni con Franco Zeffirelli, Sidney Lumet, Norman Jewison, Sidney Pollack, Robert Wise, e Michael Cimino di Verso il sole (1996),  un delicato rod movie dove è ancora una dottoressa, Renata Baumbauer, Harold Backer nel nebuloso Malice, il sospetto (1993), Andrew Bergman (Mi gioco la moglie… a Las Vegas, dell’anno prima e Paul Bogart (Amici, complici, amanti, (1988) ovvero un salto all’indietro di tutte le «gran dame» esaltate dalla sapiente regia di tutti quei colti e innovativi creatori di nuovi linguaggi cinematografici fin troppo impegnativi e dunque via via sempre meno di moda.

In quasi 60 anni di carriera, drammatica e comica, teatrale, televisiva e cinematografica, Anne Bancroft ha girato 65 film, e oltre all’Oscar ha vinto due Golden Globe (Laureato e Frenesia del piacere), due Tony (uno sempre per Anna dei miracoli, dal dramma di William Gibson nel quale era «Annie» Sullivan, l’insegnante determinata di Helen Keller e per “Due sull’altalena” spettacolo teatrale con Henry Fonda(1958) e un Emmy nel 1999 per un film televisivo” In fondo al mio cuore”. Solo 8 altri attori hanno vinto Tony e Oscar per lo stesso ruolo (Joey Grey, Shirley Booth, Rex Harrison, Yul Brinner, Paul Scofield, Jose Ferrer e Jack Albertson). Nel 1996 era stata insignita di un premio speciale per la carriera, e probabilmente ancora una volta il giudizio di Mike Nichols ne sintetizza il motivo: “Era una performer magistrale perché teneva insieme cervello, talento e sensualità”. Quattro volte quasi Oscar, anche per la Emma Jacklin di” Due vite e una svolta” e per la machiavellica madre superiora, suora Miriam Ruth di “Agnese di Dio” (1985).

Fra pochi giorni, il sei di giugno per l’esattezza, saranno 13 anni che Anne Bancroft ha lasciato questa terra. Probabilmente saranno pochi quelli che ne faranno menzione se non come una dovuta nota di cronaca. Ma per lei non deve essere dovuto il ricordo bensì significare un ulteriore occasione di omaggiare un’attrice con la A maiuscola: non molto famosa forse e neanche troppo fosforescente, però di bellezza singolare e soprattutto di bravura eccezionale. Pertanto la ricorrenza diventa un’occasione per celebrare una grande donna, anzi un gran dama, come qualcuno l’ha definita, in campo cinematografico, ma in qualunque campo della vita si fosse inserita sarebbe stata meravigliosa perché la meraviglia è un dono di Dio che, ahimè, non appartiene a tutti.

Vincenzo Filippo Bumbica