Al grido di “abbiamo fame” di tanti in difficoltà i primi a rispondere sono i mafiosi

La mafia, in tutte le sue varietà di nomi, insegue il coronavirus, costituendo la piaga di una ferita aperta. I campi d’azione che si sono aperti per incrementare i loro business sono tre canali paralleli:  sostegno economico per le necessità di tutti i giorni alle famiglie in crisi, in modo da tornare a coltivare consenso sociale, caccia aperta alle piccole e medie imprese in grosse difficoltà, prima con prestiti a usura e poi appropriandosi direttamente di società che provengono dall’economia pulita, e infine la grande torta degli aiuti pubblici erogati proprio per tamponare l’emergenza economica. 
Mentre il nostro Stato, si perde in giri farraginosi per portare spesso aiuti concreti, la mafia segue iter diretti, quando il poveraccio presto dalla disperazione per non poter dare da mangiare alla propria famiglia, viene preso d’assalto dai mafiosi, riesce sempre a riempire subito il piatto, ma rimane invischiato in qualcosa che alla fine ti succhia l’anima. Il mafioso acquisisce adepti proprio da chi ha fame, a questi rivolge con il tempo i compiti meno ingrati, trasformandoli in pedine che possono anche cadere lungo la strada sporca di sangue. Gli interventi rapidi e concreti si trasformano in occasioni di riciclaggio o reimpiego di capitali. A rischio non c’è solo il Sud Italia. “Secondo gli esperti più accreditati i riflessi delle misure atte a contenere la pandemia fanno sentire il loro peso anche sulle realtà economiche del centro-nord Italia, con il relativo pericolo di aggressione da parte dei capitali mafiosi. Dalle indagini svolte negli ultimi anni dalle procure del nord, è emerso che, laddove i gruppi mafiosi annoverano insediamenti stabili riescono, con la compiacenza di alcuni professionisti, di segmenti delle istituzioni e di imprenditori indigeni, a investire in realtà aziendali che soffrono i frangenti in cui si manifestano le crisi di liquidità”. Ma andiamo con ordine. L’allerta dei giudici per le indagini preliminari è dettagliata. “È prevedibile che, nelle prossime settimane, certi ‘avamposti criminali’ apriranno la caccia alle tante aziende in stato di necessità anche nel nord dell’Italia, dal momento che non è previsto un ritorno alla normalità in tempi brevi”. Una fattispecie che incide sulle possibilità di reiterazione dei reati: il pericolo rappresentato da Cosa nostra, in pratica è aumentato con lo scoppio dell’emergenza coronavirus. Il motivo? I gip parlano esplicitamente di “ricadute economico-sociali della recente adozione delle misure di contenimento del Covid-19 che hanno determinato la sospensione di buona parte della attività delle imprese e degli esercizi commerciali”. Proprio in questi giorni, spiega, “le misure di distanziamento sociale per il contenimento della epidemia stanno determinando anche sul territorio di Palermo (in particolare nei quartieri con maggiori difficoltà socio- economiche, tra i quali Arenella e Acquasanta) e più in generale sul territorio nazionale, un contesto assai favorevole ai piani della associazione criminale.
Così i nuovi benefattori, acquisiscono popolarità, guide per gli sprovveduti e per chi ha veramente fame. Accarezzano subdolamente l’imprenditore che rasenta il fallimento. Davanti l’imprenditore suicida, tanti durante questi giorni, si rammaricano di non essere arrivati in tempo per togliere tutto il possibile prima di scaraventarlo in un buio anche peggiore. 
Alessandra Filippello