Addio a Elsa Martinelli, donna seducente e attrice sofisticata

Il fisico, slanciato e asciutto, quasi suggeriva intatto il modo d’essere e al contempo sottolineava la sua assoluta diversità. Possedeva una naturalezza tutta propria quella bellezza felina dallo sguardo profondo che impose la sua figura atipica negli anni in cui spopolavano le cosiddette maggiorate che riempivano i vestiti con i loro cumuli di curve. Elsa Martinelli era una donna swing, proprio come quella per cui” tutto si fa” cantata dal quartetto Cetra, che appena ventenne e già mannequin di classe, apparve in tutto il suo glamour sulla rivista Life. Il famoso e fascinoso attore Kirk Douglas ne restò così incantato da precettarla per un provino a Hollywood cambiando così il destino di quella ragazza dalle umili origini venuta dalla Maremma che dopo una serie di svariati lavori, fu notata dallo stilista Roberto Capucci in una boutique di via Frattina a Roma e alfine ingaggiata nel suo atelier. Divenne subito qualcuno come indossatrice e fu proprio una di queste foto a determinare la sua svolta professionale e dunque di vita.

Nel contesto di una nuova roboante ed esagerata realtà, tipica dell’universo Hollywoodiano Elsa, in possesso di una spiccata personalità e in virtù della graziosità della sua figura su cui spiccava un volto esotico, nei panni frangiati della pellerossa Onahti, seppe ben districarsi accanto al già citato Douglas e a Walter Matthau nel western classico con insoliti risvolti buonisti: “Il cacciatore d’indiani “del 1955.

Eppure non aveva avuto che poche esperienze passate: solo un’apparizione non accreditata in” L’uomo e il diavolo” di Claude Autant- Lara; aggiunta alla particina di una modella (guarda caso) nel film a episodi “Se vincessi cento milioni”, e una promettente interpretazione nel film “La risaia”, una specie di rifacimento in salsa popolare di “Riso amaro”. Al momento del dunque però si fece trovare pronta.

In un’epoca in cui si rimarginavano le ferite del passato, era più facile immaginare per ognuno un diverso futuro e così nel mondo del cinema spirava come un venticello fresco e carezzevole il positivo fervore di chi a modo suo avesse qualcosa d’importante da dire e soprattutto da fare.

Un periodo d’oro per la Martinelli che si affermò definitivamente vincendo, come migliore attrice, l’Orso d’Argento al festival di Berlino del 1956 per il film” Donatella” di Mario Monicelli, e allo stesso tempo con il suo stile unico di donna assidua frequentatrice e animatrice dei salotti romani, si portò appresso la mondanità e l’eleganza di quel mondo anche nel rutilante e chiassoso jet set del cinema americano: una specie di intricato labirinto che partiva da Los Angeles e attraverso un invisibile filo logico era collegato a New York.

Disinvolta, ironica, sexy e versatile, l’intrigante toscana lasciava sempre trasparire qualcosa di nuovo, qualunque parte interpretasse: dai film più leggeri come:” Ciao, ciao bambina “eCosta Azzurra”; alternati a quelli più impegnati tipo “La notte brava” di Mauro Bolognini del 1959 e “Un’amore a Roma” di Dino Risi. Iniziava la cosiddetta Dolce Vita, uno splendido intermezzo di tempo in cui Roma divenne una città in pieno fermento socio culturale. Protagonista della languida atmosfera di certe notti capitoline, la Martinelli però sovrapponeva una giornaliera voglia di mettersi sempre in gioco che paradossalmente  la portò con rinnovata lena a lavorare con eccellenti registi stranieri: con Roger Vadim girò: “Il sangue e la rosa “partner maschile Mel Ferrer; diretta da Howard Hawks accanto a John Wayne impersonò Anna, la delicata fotografa di “Hatari”; fece parte assieme ad Anthony Perkins, Jeanne Moreau e Romy Schneider del lussuoso cast di un film tratto da un racconto di Franz Kafka:Il processo”, regia del burbero Orson Welles, qui anche nelle vesti di attore; nel drammatico” International Hotel”, sotto la guida del britannico Anthony Asquith, si propose come degna rivale di Liz Taylor nei confronti di Richard Burton e infine sui suggestivi panorami scelti dal cineasta americano Phil Karlson, rinnovò le passate suggestioni africane col film:” Il grande safari” in compagnia del duro Robert Mitchum e del saggio Jack Hawkins.

Nel frattempo con un divorzio aveva sistemato la sua privata che non poteva più essere quella del tete a tete con relativo champagne in compagnia di Gary Cooper o quella frenetica scandita dalla travolgente passione per Frank Sinatra, ma solo un succedersi di viaggi, party, ed eventi internazionali e parallelamente scelse copioni più sofisticati. “La decima vittima” di Elio Petri, fu uno di questi: un cocktail di fantascienza, surrealismo e pop art, musicato da un adeguato arrangiamento jazzistico di Piero Piccioni, con protagonista un indolente Marcello Mastroianni braccato, in un perverso gioco controllato dai mass media, da una risoluta Ursula Andress. Nei panni di Olga, l’amante di lui, Elsa diede una altra bella prova di sé. Da quell’anno, siamo nel 1965, l’attrice cominciò a ridurre i sui impegni cinematografici e a dedicarsi ad altre attività mondane. Di quel periodo emergono come titoli importanti:” Come imparai da amare le donne “un satirico film di Luciano Salce; “Sette volte donna”, in un cast stellare diretto da Vittorio De Sica nell’episodio “Super Simone”; “Una sull’altra “regia di Lucio Fulci, dove è coprotagonista femminile con Marisa Mell nel torbido intrigo per conquistare Jean Sorel e infine “L’Amica” di Alberto Lattuada, sempre come antagonista designata, questa volta di Lisa Gastoni.


Nel decennio successivo, si dedicò al piccolo schermo presentando in coppia con Carlo Giuffrè, il Festival di Sanremo a cui seguirono cospicue presenze in miniserie televisive. Ancora seducente era richiesta dai mass media poiché appariva brillante in ogni situazione, specie quando si rievocavano ricordi e atmosfere legati a personaggi di un passato, che era anche il suo, vissuto all’insegna del bello. Raccontato in tivvù dalla sua voce roca ma allo stesso tempo calda e avvolgente e inframezzato da frizzanti episodi di un gossip d’antan, era una testimonianza preziosa per ricordare l’epoca di un certo divismo.

L’otto di luglio del 2017, nel copione della sua vita appare, ahimè, la parola fine e dunque Elsa Martinelli gira l’ultimo film in silenzio, immobile e senza il suono di quella voce così particolare: va in scena il ricordo di sé stessa. Di quella donna che malgrado lo scorrere del tempo, era nata a Grosseto nel 1935, riusciva lo stesso a mantenere sempreverde il suo significato in ogni occasione. E tutto questo si chiama con una parola: classe.

Vincenzo Filippo Bumbica