5 validi motivi per cui “La finestra sul cortile” è un cult senza tempo

“Ho avuto la grande fortuna di essere molto pauroso. Il mio vantaggio è di essere un codardo e di avere una soglia della paura bassa, perché un eroe non è in grado di fare film di suspense.”

La finestra sul cortile Alfred Hitchcock
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Così affermò uno dei più grandi registi internazionali di cinema, Alfred Hitchcock, che ci ha lasciato 40 anni fa, donando alla settima arte capolavori intramontabili. Londinese, iniziò la sua carriera come scenografo e firmò il suo primo lavoro di regia nel 1922, “Number 13”, rimasto incompleto.

La finestra sul cortile Alfred Hitchcock
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Il suo più grande successo di carriera è stato “Psyco”, un horror thriller del 1960 in cui riuscì pienamente Alfred in quella che, come dichiarò, era la sua unica missione come regista: “terrorizzare lo spettatore”.

La finestra sul cortile Alfred Hitchcock
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Tuttavia, ha diretto le pellicole più disparate, passando dal giallo al thriller anche in uno stesso lavoro. A tal proposito, addirittura “La finestra sul cortile” del ’54 inizia come una commedia, fino a trasformarsi improvvisamente in un giallo-thriller che divora lo spettatore lasciandolo senza fiato, conducendolo ad un epilogo che contiene in sé un piccolo dramma.

La finestra sul cortile Alfred Hitchcock
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Dunque, la sua versatilità riesce a dispiegarsi pienamente in un unico lavoro che, non a caso, è divenuto un cult per svariate ragioni. Ecco i 5 motivi principali che lo rendono ancora oggi un prodotto di classe, sempre fruibile e senza tempo:

La finestra sul cortile Alfred Hitchcock
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1) Forse non esiste al mondo un film probabilmente come “La finestra sul cortile” nel suo essere in grado di giocare così tanto sulla realtà e sull’immaginazione mentale, al punto tale che la storia pare tutta una proiezione del protagonista, finché si scopre alla fine che aveva ragione e che, dunque, realtà ed immaginazione possono coincidere;

La finestra sul cortile Alfred Hitchcock
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2) La recitazione è assai ritmica e frizzante, dalle battute d’un’ironia intelligente e la sceneggiatura è anche abile nel dispiegarsi tra diverse riflessioni, toccando rapporti umani, società e solitudine, trovando così una perfetta corrispondenza sintetica visiva d’insieme nello spazio in cui si svolge l’intera vicenda, dato che siamo sempre nella casa del bello scapolo protagonista interpretato da James Stewart;

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3) Il regista gioca sul desiderio umanamente voyeuristico di spiare la vita degli altri, analizzato qui fino all’ossessione psicologica incontrollata che affronta anche la questione di un reato molto diffuso e poco punito perché molto segreto: la violazione della privacy;

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4) Un qui presente apparente surrealismo che poi si svela realtà è ravvisabile anche nei quadri di Hopper e di Magritte, ove non a caso col primo si parla di “realismo americano”, mentre col secondo di “negazione di surrealismo” da parte dello stesso artista belga che, infatti, non dipingeva i sogni, ma la realtà, sebbene sotto un’altra prospettiva;

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5) Ulteriore aspetto incredibile del film è che la sua fotografia è “metafotografica”, nel senso che il protagonista è un fotoreporter e che il regista lascia che lo spettatore sia trascinato dal suo sguardo sulla realtà che è, naturalmente, fotografico di nome e di fatto, visto che lui spia con un teleobiettivo da lavoro la vita degli altri, rendendoci non partecipi, ma protagonisti, dandoci l’illusione che la fotografia del film l’abbiamo curata noi.

Christian Liguori