“Vedi la morte e piangi”, la lettera da brivido di Piera, operatrice della casa di riposo di Grugliasco

A scrivere è Piera, un’operatrice sanitaria che lavora presso la casa di riposo di Grugliasco, dove nel giro di  pochi giorni, 21 decessi su 87 ricoverati, molti nel fine settimana. Il via vai dei furgoni funebri ha insospettito i vicini dei palazzi circostanti che hanno dato l’allarme. Ieri il sindaco della città alle porte di Torino e l’Asl hanno presentato un esposto al Nas dei carabinieri. Tutto accade nella casa di riposo San Giuseppe di via Spanna. 
 «Sono le 4,40 di un altro giorno di pandemia. Sono una oss, una semplice oss che vive qui: alla San Giuseppe da tanti anni. Una seconda famiglia, oltre a quella che mi aspetta a casa». Piera, alla fine di una giornata di lavoro si è voluta raccontare, condividendo il dolore delle sue ultime giornate, dolore che attanaglia e ti travolge, ti cambia la vita, il modo di vedere le cose, ti toglie il sorriso e la speranza. Inizia così la lettera da brividi di Piera, da anni al servizio della casa di riposo di Grugliasco pesantemente colpita dall’epidemia, ha voluto scrivere per raccontare la tragedia che sta vivendo. Proprio lì, nella struttura finita nel mirino delle inchieste giudiziarie dopo l’esplosione del contagio e l’elevato numero di decessi.
Saranno gli investigatori ad accertare se e quali responsabilità ci siano e da parte di chi. Piera, dal canto suo, ha voluto prendere carta e penna per scrivere la paura, il coraggio e la frustrazione per aver visto morire «i nostri nonni», senza poter fare nulla. «Nonni che hanno un nome, non sono numeri».

«Per anni vai e vieni dal quelle stanze, senza guardare se devi lavorare un turno piuttosto che un altro, o la domenica. Capita di discutere anche con la tua famiglia, perché magari è un po’ gelosa dell’amore che dai a quei nonnini ricoverati. Un amore che ti ritorna indietro fino all’ultima goccia e anche di più. E che ti dà la voglia di non lasciarli mai». Poi, un giorno, arriva il virus, la pandemia: «E ti trovi di fronte qualcosa più grande di te».

Chiunque abbia un cuore, penserà ai propri cari, a coloro che ci avvolgono pur senza toccarci, genitori, nonni, residenti nelle case di riposo, spesso non loro volontà ma per la frenesia egoista della vita stessa. Sempre pronti a trovare la parola giusta per lenire le nostre paure, sempre pronti a tutto dopo una vita di sacrifici, ma non anche a tutto questo. «Il mondo combatte e tu non puoi non fare altrettanto. Vai avanti con la tua paura. Cominci a dare la carica ai tuoi colleghi, perché bisogna fare di più e non si può più guardare l’orologio o il calendario. Salti i giorni di riposo, chiami a casa per cena e dici che tarderai. Corri e cerchi di organizzare tutto . Corri e basta, il resto non importa più ».  Il mostro è lì accanto e bisogna guardarlo negli occhi: «Qualcuno vede un’anziana giù di corda, si passa a provarle la temperatura: ha la febbre. Non si può perdere un secondo. Per tranquillizzarla cerchiamo anche di portarle le sue caramelle preferite: la coccola accanto al nostro voler assisterla. La solitudine si impossessa dell’atmosfera: ad un tratto chi sta male sono due, tre, quattro ospiti. E nei tuoi occhi c’è solo stanchezza, ma vai avanti e cerchi solo di farli sorridere: magari con una videochiamata al figlio o al nipote» .

Piera si chiede come si faccia a raccontare ad una persona di 98 anni che lei e le sue colleghe sono le uniche persone che possono stare lì con lei: «Vedi la morte. E piangi: con le tue colleghe e con i figli di quelle persone che non ci sono più. Parenti che avevi sentito la sera prima. Sei impotente: siamo Operatori Socio Sanitari, semplici Operatori Socio Sanitari ».

Nella casa di riposo nel giro di pochi giorni, sono state sospese anche le telefonate tra i pazienti ed i parenti,  perchè la scarsezza del personale non lo permetteva. 

Adesso tanti carri funebri, e tanti nonni non chiameranno più.

Alessandra Filippello