Un’idea sotto l’albero: “Rosso Istanbul” di Ozpetek

Tutto comincia una sera, quando un regista turco che vive a Roma decide di prendere un aereo per Istanbul, dov’è nato e cresciuto. L’improvviso ritorno a casa accende a uno a uno i ricordi: della madre, donna bellissima e malinconica; del padre, misteriosamente scomparso e altrettanto misteriosamente ricomparso dieci anni dopo, e tanto altro si può dire per il primo dei tre libri pubblicati dal celebre “regista dei sentimenti” Ferzan Ozpetek: “Rosso Istanbul” (2013), dal quale ha anche tratto una pellicola. 

Senza spoilerare troppo perché, tra pregi e difetti, è un romanzo che vale la pena leggere, specie di questi tempi in cui si calpestano spesso le emozioni, cerchiamo di analizzare in profondità quest’opera.

La voce del regista, sottolineando quella specifica parola che si collega alla settima arte, è qui assai presente.
Evidenziamo quello specifico termine perché la narrazione, a volte un po’ troppo sceneggiaturale/cinematografica, che si articola alternativamente in due voci protagoniste (“Lei” e “Lui”), anche se chi scrive è sempre Ozpetek, spesso subisce i colpi dell’autoreferenzialità di un noto regista come lui, che ha scelto di svelare i segreti del suo cinema, e quindi della sua vita, al suo pubblico che ha iniziato ad amarlo da tempo immemore, ma lo fa non di rado con didascalicità (anche quando parla di Anna, l’altra protagonista), abbozzi, qualcosina di scontato o un po’ forzato, specie nella prima parte che è la più debole.

Rosso Istanbul
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Tuttavia, man mano che il lettore si lascia trasportare dai ricordi dei due protagonisti e dai legami coincidenziali che misteriosamente li legano, il romanzo per metà autobiografico si rivela fortemente evocativo ed espressivo, dando vita a sogni, riflessioni, visioni, bisogni interiori dell’anima nostra, inducendoci alla commozione in più punti e raccontando con quel personale tocco poetico-romantico che caratterizza i melodrammi cinematografici di Ozpetek l’amore e la rivoluzione, offrendo uno spaccato di una Turchia oggi sempre più stremata dai colpi della dittatura, sempre più mutata.

Qualche accenno al comunismo in un romanzo non privo di colpi di scena davvero inaspettati (nel finale addirittura è l’aborto di un colpo di scena il vero colpo al cuore, raggelante) ed è ancora più chiara la metafora cromatica insita nel titolo, pur restando questo ovviamente un melodramma letterario non politico.

Rosso Istanbul
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Rosso Istanbul
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Come naturalmente le riflessioni più belle sono quelle sull’amore, sulla sua libertà e le sue categorie sotto un’unica, dannata ma buona stella (“amori impossibili, amori…”), mentre il finale, sebbene di matrice oraziana, si rivela giusto nella sua “resa dei conti”, perché finalmente le due ignare voci vicine ma lontane si incontrano: Anna e Ferzan, a scoprire che, oltre a dover ricercare il proprio posto dentro, è anche bello poterselo raccontare. Dunque, l’autore poi supera Orazio, affermando che non dentro di te, ma che “il posto caldo, il posto al sud sei tu”.

Di seguito, le frasi più belle del romanzo, che dapprima incerto, poi spicca un bel volo verso l’alto:

“Non c’è mai un perché quando una persona rinuncia a vivere. Quando sceglie il buio, invece della luce. Non c’è mai un perché, o meglio, ce n’è uno solo: il mal di vivere. La fragilità”.

“Non sappiamo mai chi ameremo, chi ci metterà davanti il destino. È questa la meraviglia, la magia dell’amore”.

“Ho imparato che è meglio una scia bruciante, anche se lascia una cicatrice: meglio l’incendio che un cuore d’inverno”.

“Perché tutto cambia, ma non la voglia di cambiare il mondo. Tutto cambia, ma non la rivoluzione”.

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Fatevi un bel regalo per Natale, compratevi e leggetevi “Rosso Istanbul”: vi scaverà dentro e vi farà sorridere, magari dopo un bel  pianto liberatorio.

Christian Liguori