Tante piccole e fredde croci nel Cimitero delle madri dove non ci sono mai fiori

Lo chiamano il cimitero delle mamma, l’aria che si respira è tetra, sembra quasi che l’ossigeno in quel tratto si sia rarefatto e che la gola si secchi a tal punto che ti sale un nodo da togliere il respiro. Una donna, si aggira tra le croci, piccole di ferro, dove a malapena si intravede un nome femminile, ma la donna in questione è viva e cammina su quella stessa terra, cerca terrorizzata il proprio nome tra le piccole e semplici crocette, la sensazione è di essere sepolta viva, sotto quella croce, c’è una parte della sua vita, il feto del suo aborto volontario. Nel cimitero Flaminio di Roma si trovano feti abortiti di cui le mamme non avevano chiesto sepoltura, ma che la rigida applicazione del regolamento di polizia mortuaria ha deciso comunque di tumulare. Dopo la denuncia di una donna che per caso ha scoperto la croce col suo nome, se ne stanno aggiungendo altre. L’ufficio legale di “Differenza donna” ha deciso di promuovere una class action.  Intanto nella Regione Lazio, dopo interrogazioni di consigliere e anche deputate sul caso, c’è chi ha deciso di cambiare le cose per cancellare i nomi di donna da quelle croci. “A legislazione si risponde con legislazione: dobbiamo spingere il governo a rivedere il regolamento del 1990 – dice la capogruppo della Lista Zingaretti in Consiglio regionale Marta Bonafoni, prima firmataria di un’interrogazione consiliare sul caso -. Noi come Regione, possiamo valutare o un regolamento attuativo, una declaratoria, o una legge regionale ancora più stringente per eliminare la discrezionalità che ha portato al caso del cimitero Flaminio”. Dopo la polemica è infatti arrivato il rimpallo di responsabilità tra Ama, che si occupa dei servizi cimiteriali per conto del Comune di Roma, e della Asl col San Camillo, l’ospedale dove la donna aveva abortito. “Sia la Asl sia il San Camillo hanno agito non fuori norma – prosegue la consigliera – ma non è detto che la norma metta in condizioni la giustizia di essere giusta. Ho già proposto alla maggioranza – prosegue Bonafoni – di risalire a tutti i passaggi dal cimitero in su: cimitero, Ama, Comune di Roma, ospedale, Asl, Regione, regolamento nazionale, legge nazionale. Il nostro obiettivo dovrà essere quello di separare in modo netto la volontà delle donne che vogliono procedere alla sepoltura alla non volontà di procedere”.Intanto si aggiunge un’altra testimonianza, un’altra croce del cimitero delle madri. “Per tre volte chiesi, dopo l’aborto, che fine avesse fatto il feto e per tre volte mi sentii rispondere ‘non sappiamo’ – racconta una donna su Facebook -. Poi ho scoperto che è stato sepolto al cimitero Flaminio di Roma con una croce col mio nome”. “Ora serve un’enorme azione collettiva – scrive la donna -, vedere il mio nome su quella brutta croce gelida di ferro in quell’immenso prato brullo è stata un’altra profondissima pugnalata, un dolore infinito e una rabbia da diventar ciechi. Avete presente quella scena di Tarantino dove lei viene sepolta viva sotto terra? Ecco, io stanotte ho sognato quella roba là – conclude – e mi sono tirata su di scatto congelata. Ora che conoscete i fatti, mi concedete di usare il termine tortura?”. Sull’operato di tutti i soggetti coinvolti in questa assurda e agghiacciante vicenda il Garante della privacy ha aperto un’istruttoria. Intanto Ama e ospedale si addossano a vicenda la colpa: il San Camillo, dove è stata effettuata l’interruzione di gravidanza, ha dato la responsabilità di un’eventuale violazione della privacy all’Ama, la municipalizzata che a Roma si occupa dei cimiteri, (“non abbiamo responsabilità della sepoltura”) che a sua volta precisa di avere “seguito gli input dell’ospedale”. Un vuoto normativo e di responsabilità che riempie da tanti anni di croci e nomi di donne il cimitero delle madri.

Alessandra Filippello