Susan Sarandon: vizi pubblici e virtù private di un’attrice a briglia sciolta

Una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca.

E così per la sua vita non convenzionale, poco apprezzata dall’ambiente del cinema hollywoodiano, diventa scomoda la nomea di quell’adolescente, anticonformista e sessantottina che, dopo il diploma e gli studi di recitazione, sposa Chris Sarandon (anche dopo il divorzio terrà questo cognome come pseudonimo) e non è disposta cambiarla pur di raggiungere il successo.

Per questo, ormai donna già fatta, ha dalla sua solo qualche particina di contorno, un po’ poco rispetto alle sue potenziali qualità. Debutto all’inizio dei controversi anni settanta nei panni di Melissa Copton, la figlia di Peter Boyle, in “La guerra del cittadino Joe”. Uno sbuffo di apparizione in “Prima pagina”, costipata da un attillato tailleur da sposina in fiore che aspetta, timida e paziente, i travagli professionali di Jack Lemmon. E subito dopo appare nei succinti abiti da scena di Mary Beth, la vittima sacrificale di uno spettacolo di acrobazia aerea ne “Il temerario” del 1975 con Robert Redford. Nello stesso anno, ecco la svolta: un deciso ruolo di protagonista per interpretare la promessa sposa Janet, una tipica ragazza perbene americana che, suo malgrado, diventa sexy nel grottesco delirio del musical:” The Rocky Horror Picture Show “. Dallo scalpore e scandalo di quel film, oggi un cult indiscusso, qualche anno dopo gira “L’ultima corsa”, un titolo più che profetico poiché finalmente arriva alla corte di un famoso regista: Luis Malle. Oltremodo convinto delle sue intriganti e particolari doti artistiche, costui le affida la parte di Hattie nel film” Pretty Baby”, dove scandalosa prostituta abbandona in un bordello la figlia dodicenne Violet (Brooke Shield) nella decadente cornice dei primi anni del Novecento. I due nel 1980, si ritrovano in perfetta sintonia sul set e il magistrale cineasta francese la incastra perfettamente nel mosaico cittadino tra sesso, gioco, droga e denaro di “Atlantic City”, nella parte di Sally, una bella determinata e inconsapevole cameriera che, quando si toglie il grembiule, ammalia Lou Pasco (Burt Lancaster), un vecchio gangster guardone cospargendosi il seno di succo di limone per togliersi di dosso il puzzo di fritto. Si spoglia invece del suo camice bianco la dottoressa Sarah Roberts, che si libera poi anche dei suoi pregiudizi e viene sedotta, in una memorabile scena saffica sottolineata dalla musica di Erik Satie, dalla cerebrale voluttuosità di una misteriosa Catherine Deneuve, nel vampiresco “Miriam si sveglia a mezzanotte”.

In questo trittico targato primi anni ottanta, Susan Sarandon (Susan Abigail Tomalin) nata a New York nel 1946, oltre che artista di qualità, diventa, paradossalmente, ancor più piacente come esponente di un sesso consapevolmente affascinante, forse anche per il suo essere sempre più oltre le regole e al di là delle righe.

Pertanto nel 1987 non ha quarantuno anni, ma due volte e mezzo venti: quelli trascorsi ad assomigliare davvero a una ragazza con dentro qualcosa che sboccia e quelli di una donna che non solo ricorda i giorni ma anche gli attimi. Ecco che, quasi nel mezzo del cammino della sua vita, risplendono le sue invitanti fattezze nel ruolo della rossa Jane Spofford, una sensibile ancorché sterile insegnante di musica. Questa rossa dalla chioma fiammeggiante, sul set del surreale” Le streghe di Eastwick”, assieme alla volitiva scultrice single dai riccioli corvini Alexandra Medford (Cher) e alla curiosa giornalista, l’eterea biondina Sukie Ridgemont (Michel Pfeiffer), fa parte di un trio di femmine belle e pericolose che capaci di poteri magici pretendono di saperne una in più del diavolo (uno straordinario Jack Nicholson) involontariamente invocato.

E siccome nella vita ognuno ha sempre quello che si merita, per questa sua “magica stregoneria” Susan s’impone all’attenzione generale raggiungendo la notorietà. Finalmente le sue ambizioni imboccano l’autostrada giusta in cui lei può scegliere le corsie. Comincia un altro percorso di attrice che segue pedissequamente il ruolo di donna e nonostante non sia mai stata una che si volta indietro volentieri, deve però ogni tanto rallentare per non perdere il contatto con la realtà dei suoi personaggi.

E dunque in ogni ruolo rivela un aspetto nuovo della propria espressività : quello ironico e brillante della seducente Annie Savoy di “Bull Durham “del 1988; contrapposto a quello drammatico della reporter Melanie di “Un’ arida stagione bianca”; dal disagio generazionale di una difficile relazione amorosa come quella della cameriera Nora di “Calda emozione“; al manifesto liberal cinematografico di Ridley Scott a proposito di un certo tipo di donna americana, nel film cult “Thelma e Louise “ due anni dopo.

Le due protagoniste: Geena Davis, Thelma, una trascurata trentenne) e la Sarandon, Louise, una insoddisfatta cameriera, già represse e quasi schiacciate da un tipico ambiente maschilista esplodono come fossero ordigni su un campo minato ogniqualvolta viene minacciata a loro dignità di donne. Diverse nei contenuti ma uguali nelle aspirazioni esse diventano un nuovo simbolo dell’immaginario femminista. Il successo immediato di critica e di pubblico pone la prima come incisiva esponente di punta delle cosiddette “cowgirl” assieme alle colleghe Sharon Stone e Uma Thurman.

Imperterrita nel suo credo, intoccabile nelle scelte e nei programmi e irrefrenabile nelle sue attività sociali, l’attrice imponendo la sua decisa personalità si trascina appresso altre figure femminili sintomatiche del tempo.

Spontanee germogliano sul prato verde dell’amore per la vita varie tipologie femminili: Michela Odone, la coraggiosa e indomabile madre di” L’olio di Lorenzo”; la risoluta e caparbia avvocatessa che prende a cuore le sorti di un piccolo cliente ne “Il socio”; la signora March che con naturalezza prende le redini della famiglia in” Piccole donne” e soprattutto suor Helen Prejean, una religiosa che col calore della sua fede rischiara e tinge di grazia gli ultimi giorni di vita di Sean Penn, un teppista, violento e razzista condannato a morte ne “Dead Man Walking”. Diretta mirabilmente dal marito di allora Tim Robbins, Susan Sarandon vince l’Oscar nel 1996 come migliore attrice protagonista.

Ormai di diritto nel Gotha hollywoodiano, potrebbe benissimo lucrare sull’abbrivio del prestigio, ma ancora non è paga e tira diritto a ribadire il ruolo affascinante e ribelle che di solito impersona chi entra in rivolta contro sé stessa prima di combattere i luoghi comuni.

Moglie irrequieta e infedele in “Twilights”; malata incurabile che affida la sua famiglia alla rivale in amore Julia Roberts in “Nemiche amiche”; donna scombinata che ingenera confusione alla figlia Natalie Portman in “La mia adorabile nemica”; stagionata” groupie” che sconvolge la placida esistenza dell’amica di un tempo Goldie Hawn in “Due amiche esplosive” e infine l’intelligente comprensiva Beverly di” Shall We Dance”? che alla fine trae giovamento dalla passione nascosta per il ballo del marito Richard Gere.

Versatile più che mai chiude questa metà degli anni duemila con la splendida interpretazione di Nonna, una vedova allegra ma non troppo che affronta i parenti del marito con una intensa ribellione alla tristezza sottolineando una volta di più il difficile e delicato ruolo di una donna nella famiglia nel vivace contesto del road movie musicale “Elizabethtown”.

Spinta dall’orgoglio di riuscire ancora a essere incisiva e dalla passione per il suo lavoro, alla fine di quel decennio, è una deliziosa e matura attrice che accompagna la sua uscita di scena con preziosi cammei: uno dei quali nel ruolo di una tardona ricca e capricciosa che a suo piacimento usa, invece di essere usata, il bellimbusto “Alfie” dell’omonimo film. Superficiale e anaffettivo il vacuo Jude Law alla fine rimane malinconicamente solo.

A sigillo, come fosse il consuntivo finale del suo modo d’essere donna, madre e attrice, Susan Sarandon, confeziona ancora un’altra prova convincente in “The Meddler”. Nel ruolo della invadente Marnie, una pasticciona vedova tutta sola, sopperisce al meglio a questo disagio con la forza del suo ottimismo e della sua vivacità riuscendo non solo a recuperare il rapporto con la figlia lontana, ma perfino a innamorarsi di un sensibile e attempato poliziotto, arzillo come lei nella mente, nel cuore e nel corpo.

Quest’anno, la pasionaria del cinema americano compie 71 anni mentre nuove generazioni, di un veloce modo di essere attrici, fioriscono nel giardino di una Hollywood però sempre più attenta alle logiche commerciali. Significativo però rimane il suo messaggio cinematografico che conferma quello di una donna da sempre controcorrente considerata quasi un’eretica dai benpensanti. E invece anch’essa soffia nel braciere del cinema per alimentare ancora altri ultimi fuochi affinché possano illuminare l’oblio notturno delle grandi star. E se i sogni muoiono all’alba, i ricordi, quelli veri, figli di un passato mai dimenticato, sopravviveranno a lungo riscaldati dai raggi della memoria.

Vincenzo Filippo Bumbica