Storia delle Dr Martens, dalla Grande Guerra alle passerelle

Un rumore sordo e continuo, la marcia ritmica di un esercito, il suono di una suola che urta contro l’asfalto, è l’attrito di un anfibio che batte contro il terreno e che oggi risuona fra le passerelle e per le strade cittadine. Che fine ha fatto l’essenza dello scarpone militare, scelto da intere generazioni come simbolo di una cultura underground? L’anfibio è stato dissacrato e trasformato in un accessorio alla monda, conservando solo una piccola traccia dell’anima ribelle che possedeva. La sua storia si perde in un vortice temporale, tutto inizia nel periodo bellico, per poi diventare un mero accessorio negli anni ’60.

Quando durante la Grande Guerra i minatori e i soldati avevano bisogno di scarpe resistenti ecco che si sentì il bisogno di realizzare una calzatura adeguata, nacquero i cosiddetti “Bulldog Boots”, i classici anfibi militari neri a dieci buchi, con suola chiodata e cucitura sulla punta, ampiamente utilizzati in entrambi i conflitti mondiali.

Nel secondo dopoguerra la manifattura di scarpe inglese R. Griggs & Co. di Wollaston decide di applicare ai suoi stivaletti un modello di suola “ad aria”, creata con gli scarti di gomma della Luftwaffe: nasce così il primo paio di Dr Martens. Queste scarpe ben presto diventano virali, dai soldati ai postini, li indossano tutti, persino le casalinghe tedesche e i poliziotti britannici, costretti ad annerire le caratteristiche impunture gialle. Nel periodo delle contro-culture le combat boots diventano segno  di antagonismo e ribellione sociale dalla Manica ad Oltreoceano. Diventano così un simbolo trasversale che abbraccia generazioni differenti, tra i seguaci dell’anfibio spopolano i giovani punk, così come le file della sinistra proletaria e militante, mentre in America le femministe li calzano per rivendicare la loro indipendenza. I primi in assoluto a farne bella mostra con un certo compiacimento ornamentale sono gli skinheads di East London, di regola abbigliati con bretelle, polo Fred Perry e Dr Martens a 8 o 10 buchi; utili in una rissa e comode a lavoro. L’ascesa modaiola degli anfibi inizia ai piedi delle celebrities del calibro di Pete Townshend degli Who.

Gli anfibi, successivamente, si affermano come simbolo di appartenenza ad ambienti non convenzionali, acquisendo un valore anticonformista che ha affascinato gli stilisti d’avanguardia. Pionieri dello scarpone in pelle nelle passerelle sono i giapponesi Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto, seguiti a ruota Helmut Lang e dalla creativa iniziativa belga prima con Martin Margiela, poi con il gruppo dei “Sei di Anversa”. Poco dopo gli anfibi trovano la loro vera proclamazione nell’alta moda presentandosi nella collezione di marchi più tradizionali come Gucci o Prada, donando loro una nuova identità glamour e inaugurando un trend stagionale.

Oggi, queste iconiche calzature sono un must delle passerelle; in occasione della p/e 2012 Ashish le ha riempite di fiori, Marc Jacobs, invece, nella collezione a/i 2012-2013 le presenta in una versione a metà fra il grunge e il bon ton. Qualunque sia lo stile gli anfibi sono ormai parte del guardaroba di ogni star. Ma nonostante i tempi siano cambiati c’è ancora chi tiene vivo quel battere sull’asfalto di una scarpa che porta con sé l’eco di una storia di resistenza, al di là di ogni stupida appartenenza.

Claudia Ruiz