Roy Lichtenstein e l’arte di ricreare al Mudec di Milano

Roy Lichtenstein. è la mostra curata da Gianni Mercurio, promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura (che ne è anche il produttore), e ideata da MADEINART che si è tenuta dal 1 maggio all’8 settembre 2019 presso il Mudec di Milano.

Una mostra davvero ricca che con circa 100 opere mostra ai fruitori la ricerca, il pensiero, le forme e l’evoluzione dell’arte di Roy Lichtenstein nel tempo, offrendo un quadro complessivo ampio e sfaccettato di questo autore, un maestro americano, che passando attraverso la pop art e e molte altre espressioni artistiche, tra loro spesso unite e sovrapposte, ha proposto forme nuove che hanno inciso profondamente sul’immaginario collettivo e sulla cultura visiva contemporanea (pensiamo ad esempio all’impatto di queste forme d’arte sulla pubblicità).

Il percorso tematico espone l’evoluzione dell’arte di Roy Lichtenstein facendo comprendere come una costante del suo lavoro fosse senza dubbio la ricerca e la sperimentazioneNei suoi lavori emerge la rilevanza data al potere della stampa e alla sua capacità di replicare immagini già esistenti creandone al contempo di nuove, proprio durante il processo di sdoppiamento e modificazione. Lo studio maniacale per i particolari porta Lichtenstein ad interrogarsi sul vero significato dell’immagine. Esiste l’unicità di un gesto artistico, oppure tutte le immagini sono riproducibili? E soprattutto , la riproduzione di un immagine, che viene ricreata dando vita però a qualcosa di diverso dall’originale può considerarsi arte? La risposta a quest’ultima domanda per Lichtenstein è ovviamente positiva e caratterizza tutto il suo percorso di ricerca.

Ne sono un primo esempio le opere della serie Still life, ospitate all’interno della mostra. In esse, delle nature morte costituite da oggetti quotidiani e comuni, Lichtenstein riproduce oggetti della quotidianità, replicandoli non in modo fedele, né ricalcandone i veri contorni o cercando di riprodurne le reali forme. L’artista li rappresenta in modo volutamente approssimativo, semplificato, quasi naif, affidando a colori fondamentali (senza sfumature) la definizione del loro riempimento e del loro contenuto, così da trasformare i colori in oggetti ben più concreti e tangibili di quelli che sono rappresentati: si passa così dal colore dell’oggetto al colore-oggetto, che domina le rappresentazioni visive. 

L’attenzione per il colore sarà preponderante anche nei futuri lavori di Lichtenstein, in una ricerca attentissima ai gradi, all’intensità e agli accostamenti nelle stampe da lui realizzate. C’è anche una certa ironia nella semplificazione degli oggetti, che, spiega Lichtenstein, è frutto dell’epoca, che valuta gli oggetti con una certa anti-sensibilità, tanto che si finisce per essere attratti più dal colore che dalle forme. Ironia che consisteva per Lichtenstein nel gusto ludico di riprodurre modificando il materiale di partenza con la considerazione che tutto può essere oggetto di una “ristampa”, di una variazione, perfino opere che hanno segnato la storia dell’arte, come quelle di Monet o Picasso.

E’ il caso delle rappresentazioni presenti nel percorso “Avant-Guard” della mostra al Mudec: riproduzioni, potremmo dire, in stile pop-art, di grandi classici della pittura. A volte si tratta del remake postmoderno di una singola opera (come per Monet), altre volte invece di una stampa-sintesi di uno stile (come per Chagall). Il principio è lo stesso e risponde alla domanda: perché non è possibile rendere attuali queste pitture ritoccandole e ristampandole in una chiave più vicina all’epoca corrente? Come si diceva si tratta di un gioco linguistico e creativo che si muove in un‘assoluta libertà di riplasmare qualsiasi cosa. Non ci sono limiti al potere del ricreare, che non significa imitare ma studiare le innumerevoli variazioni che è possibile fare da un materiale di partenza. Le sue idee erano in linea con il postmodernismo che chiudeva i ponti con i modelli dell’arte del passato.

Non poteva mancare nella mostra lo spazio dedicato alla Pop-Art, che ha reso celebre l’arte di Roy Lichtenstein. Affascinato dalla bidimensionalità del comic americano l’artista realizza delle stampe ingrandite di particolari, rendendo il fumetto un’opera d’arte. Si tratta di “celebrare” la finzione del mondo dei fumetti, ingrandirla a tal punto da esaltarla, ma far comprendere al contempo come quel mondo sia irreale e patinato, sebbene affascinante.

Interessante notare, come, sebbene siano tra le sue opere più famose, le stampe pop-art non furono che un periodo artistico dell’autore, e nemmeno il più lungo del suo intero percorso. Altra sezione molto significativa della mostra è quella dedicata alle figure femminiliL’autore comincia col rappresentare figure di donne pop-platoniche, così come apparivano nei fumetti: donne stupende, idealizzate, romantiche così come illustrate nelle riviste per teenagers. Poi, negli anni 70′, seguendo i tempi che lo circondavano – l’autore era sempre immerso nell’epoca che stava vivendo cercando di modellare le stampe rappresentando in esse il modificarsi di usi e costumi – le figure femminili appaiono più disincantate e vengono rappresentate in una dimensione più intima, meno fumettistica. Ne sono un esempio i nudi femminili degli anni 90′.

Merita infine un’attenta riflessione l’ultima tappa della mostra: Landescapes, in cui lo sperimentalismo di Lichtenstein è ancora più palpabile che nelle opere precedenti. Lo studio del colore viene utilizzato per modellare gli spazi e costruirne i contorni, attraverso rielaborazioni di immagini di paesaggi già esistenti che spesso sono rappresentazioni ideali di luoghi, quasi volte a individuare il concetto spaziale che ne sta alla base. Qui si fa evidente il riferimento di Lichtenstein alle numerose forme d’arte da lui conosciute (ad esempio alcuni paesaggi sono modellati su stampe cinesi) e la contaminazione tra stampa-riproduzione e arte si fa molto forte, con rielaborazioni che attingono ai materiali di partenza con estrema libertà e creatività. Lo sperimentalismo raggiunge qui i più alti livelli con l’utilizzo di un materiale, il Rowlux, riflettente e quindi in grado di simulare il cielo, ma anche gli specchi d’acqua e riflettere al contempo l’immagine del fruitore dell’opera.

Nel complesso una mostra di grande valore e complessità, quella del Mudec, che attraverso i percorsi presentati fa riscoprire dall’interno le opere di questo autore americano e permette di apprezzare i frutti della sua incessante e personale ricerca, frutti che durano ancora oggi.

Francesco Bellia