Finalmente ci siamo, sono trascorsi 100 anni dalla nascita del più grande interprete cinematografico italiano, la cui immensità e prolificità sono state forse troppo elevate per consentire un degno omaggio da parte di Luca Manfredi nel suo “Permette? Alberto Sordi”: una pellicola che delude.
Eppure, nonostante sembra siano pochi oggi i giovani che guardano film di Alberto Sordi, diversi canali social permettono sempre di più a una larga fetta di persone di ogni età di vedere o rivedere quelle famose scene ormai divenute cult dell’attore, le battute che lo hanno reso icona popolare e di costume. Come del resto tale è stata sempre la sua comicità: intelligente e di satira sociale.
Nato nel 1920 in una modesta famiglia, perse il padre in giovane età e inizialmente dovette arrangiarsi in alcuni lavoretti, ma della scuola non ne voleva proprio sapere. Al contrario, amava recitare, e anche se fu scartato dall’insegnante dell’accademia, la celeberrima “brutta stronza” da lui così etichettata perché colpevole di non aver scorto il talento aldilà degli errori di dizione, ebbe modo di farsi valere ed apprezzare sui palcoscenici dell’avanspettacolo, di cui farà un bel ritratto d’omaggio nel capolavoro “Polvere di stelle” al fianco di Monica Vitti, sua partner artistica di successo e lunga durata.
A proposito di compagne di vita, non è vero che non si è mai voluto sposare perché non voleva un’estranea dentro casa. Sebbene la celebre battuta lanciata in televisione col suo solito amabile cinismo, Albertone è stato innamorato davvero di una donna nel corso della sua longeva esistenza: era la principessa mediorientale Soraya, che purtroppo non sposò mai, perché forse tutti i grandi amori, in fondo, restano impossibili se non nel mondo delle fiabe.
“Non è avaro, una volta mi ha offerto un pranzo” dichiarò nel corso di un’intervista Dino Risi, tra i migliori registi internazionali ad averlo diretto. Così si capisce bene che, come per tutte le leggende popolari, si è speculato abbastanza anche sulla sua esistenza, sfruttando una certa maschera che lui portava egregiamente al cospetto della macchina da presa, ben sintetizzabile nella battuta più amata da tutti, la famosa “Io so io, e voi nun siete un cazzo” del monicelliano “Marchese del Grillo”.
In tanti l’hanno spesso accusato di cialtroneria, furberia, strafottenza, ma se pensiamo solo per un attimo alla pernacchia seguita alla parola “lavoratoriii” nel felliniano “I vitelloni” comprendiamo bene che una cosa era Sordi personaggio e un’altra Alberto.
Intanto, l’Albertone nazionale, partendo da un Neorealismo a sfondo comico (perché “La realtà è tragica solo per un quarto”), ha fatto la storia del BelPaese. In più di 100 pellicole ha raccontato sempre l’Italia e gli italiani, non solo in Patria ma anche all’estero, consentendo sia da interprete che da regista l’emersione di caratteri che fanno parte ancora di noi; un connubio di pregi e difetti che fanno emergere le criticità del nostro popolo.
Guardare un film di Sordi, aldilà delle spassionate ed indimenticabili battute che non passeranno mai di moda, significa vivere un’esperienza di riflessione e immedesimazione, cosicché possiamo dire che Albertone non ha insegnato al pubblico come ridere, ma a divertirsi con moderazione e acutezza.
“Vi voglio bene, voglio che questa sera sia una festa, che avevo già assaporato di partecipare con voi… e invece purtroppo sono qui. Ma vi sono vicino spiritualmente.”
Queste alcune delle parole del suo ultimo messaggio di vita, oltre che di arte, lanciato a chi l’ha amato, e in fondo anche odiato, perché dai ringraziamenti non escluse proprio nessuno: del resto, i veri artisti sanno essere umili fino alla fine della carriera.
Tanti auguri Alberto Sordi per un centenario da celebrare!