Diamond Dogs e la Napoli Punk Rock degli anni ’80

Nel 1984 l’officina post-industriale in via cavone San Gennaro dei poveri, in piena Sanità, rappresentava il grido di disperazione di una generazione che non credeva più nella rivoluzione e si rifiutava di vedere un futuro.  La Napoli del Diamond Dogs era la conseguenza diretta dei cambiamenti socio-politici dell’epoca, una città distrutta dal terremoto che  scopre una cultura irriverente, disordinata e rumorosa.

Dentro le grotte di tufo, in una Napoli sotterranea, dove su un vecchio camion si montava la consolle per Dj Magnifico, suonavano le band napoletane Underage, gli Insofferenza, i Randagi, il gruppo Skizo. Si ballava e si sognava Londra e Berlino, ci si faceva di musica, di sesso, di vita, ancor prima che di qualsiasi droga possibile. I punti di riferimento stilistici erano le famose punk-houses del Nord Europa e ovviamente il CBGB di New York. Nella Napoli degli anni ’80 si videro teste decolorate sulle scale di piazza del Gesù o fuori alla cantina Sica al Vomero. Il mercato delle pezze di Resina ad Ercolano era il loro guardaroba: giubbini borchiati, toppe, pantaloni scozzesi, simil- Converse distrutte, spille da balia, t-shirt fai-da-te, anfibi. E poi i dischi autoprodotti di Discharge, Crass, Wretched e il categorico rifiuto a tutto ciò che è omologazione.

Sarebbe ipocrita dire che non esistevano eccessi. Cazzo erano punk mica chierichetti. Alcol, vino da 1000 lire, erba, fumo, Lsd, torte fatte con l’hashish erano il contorno di una generazione “no future”. In questo marasma generale, all’interno del famoso club Diamond Dogs artisti, musicisti e giornalisti si ritrovavano per scambiare opinioni e ascoltare musica, deventando un simbolo che segnò senz’altro la storia della musica e dell’arte napoletana, un luogo dove si attuò la rivoluzione e la rinascita dell’immaginario della città. L’esperienza del Diamond Dogs (1984–1989) coincide con il colpo di coda dei processi socio-politici innescati dal terremoto del 1980”, racconta nel suo libro il giornalista e scrittore Paolo Pontoniere. “Fu una rivoluzione sociale guidata dai giovani che, anche se solo per un breve momento, restituì Napoli al suo ruolo di capitale internazionale della cultura e della sperimentazione“. Negli anni ’80 il DD era un luogo dove si attuò la rivoluzione e la rinascita dell’immaginario della città, una Napoli straziata dalle calamità naturali, stretta nella morsa delle guerre tra bande mafiose, il perenne lutto per l’annuncio di morti e feriti, una struttura urbana fatiscente e una pubblica amministrazione inesistente.

Ma sarebbe un grave errore ridurre la storia del Diamond Dogs ad un mix di tendenze culturali importate dal vecchio continente o, ancora peggio, una sterile analisi sul malessere sociale. Certo i simboli, gli abiti, gli eccessi e la musica erano tipici del punk londinese, ma non fatevi ingannare, l’esperienza del Diamond Dogs, così come le vicende sociali e politiche che ha vissuto la città partenopea in quegli anni, non si può trovare da nessun’altra parte in tutta Italia e probabilmente anche in Europa. Napoli è stata la fucina di fenomeni che sarebbero esplosi negli anni a seguire, come il presagio di un mondo in cui l’instabilità economica e politica sarebbero diventati la regola piuttosto che l’eccezione.

Per capire ancora meglio di cosa stiamo parlando ecco le fotografie contenute nel libro “Diamond Dogs, Officina post industriale,1984—1987 Napoli” di Toty Ruggieri, scattate durante anni ’80 nel locale underground punto di riferimento della cultura punk-freak partenopea.

Claudia Ruiz