Memento un capolavoro firmato Christopher Nolan

Memento (2000) di Christopher Nolan.
Elogi da parte della critica tutta (“bel noir teso e teorico”, Il Messaggero; “ambizioso e intellettuale”, Film TV; “un noir d’autore insolito e spiazzante, dal ritmo sorprendente ed incalzante”, Cinemovie) per il secondo lungometraggio di Christopher Nolan, a cui si devono film come InsomniaBatman Begins e The Prestige.

Presentato alla 57a Mostra del Cinema di Venezia, un film dalla trama, temporalmente frammentata, che dire complicata è poco… ma suggestiva e oltremodo avvincente.

Il montaggio sorprendente da 10 e lode, la sceneggiatura labirintica che giustamente fu premiata al Sundance Festival (abilissima nel trasmettere al pubblico la confusione e lo smarrimento del protagonista), la regia di Christopher Nolan dal raro virtuosismo nel presentarci a rovescio le varie sequenze (l‘ordine cronologico è inverso), la fotografia particolarmente funzionale nell’illustrare piani narrativi diversi (“il bianco e nero per il monologo interiore, il colore per la storia nell’intrecciarsi di personaggi ricorrenti”, Francesco Gallo), l’ininterrotta suspense, la crescente inquietudine, la presenza di continue sorprese, l‘imprevedibile finale… fanno di questo film a suo modo innovativo un piccolo gioiello da non perdere.

L’attenzione dello spettatore è calamitata fin dai primissimi minuti. La sua partecipazione (con la mente e non solo con gli occhi) è richiesta espressamente per tentar di ricomporre il rompicapo (apparentemente impenetrabile) a cui si assiste. Tutto ciò che vive il protagonista lo viviamo anche noi (“noi spettatori ci troviamo nella stessa condizione di Leonard. La nostra memoria visiva è limitata ai pochi minuti della scena che vediamo. Non la comprendiamo fin quando non vediamo, come scattando un’istantanea o leggendo un appunto rivelatore su un foglietto di carta la scena precedente”, Daniele Del Frate): molti, giustamente, consigliano di vedere il film due volte.

Memento non è solo un abile ed emozionante thriller: è una profonda riflessione sulla necessità di accettare se stessi (e il proprio passato) e sull’importanza di avere uno scopo nella vita (averlo… non raggiungerlo). La sostanziale solitudine di ogni individuo, la sua fallibilità, il suo essere fondamentalmente fragile, il suo rifugiarsi nella menzogna come estrema difesa, il suo autocondizionarsi… costituiscono l’essenza di un film cinico e pessimista che ha fatto discutere e che continua a farlo: suscita dubbi, perplessità, interrogativi (merce sempre più rara, e quindi preziosa, nell’attuale cinematografia).

Molto bravo Guy Pearce, a cui tocca reggere l’intero film quasi da solo.

redazione