La scorsa primavera nelle sale italiane è sbarcato il film che racconta le reali e storiche imprese dell’attivista e politica britannica Emmeline Pankhurst e delle sue “seguaci” femministe Maud Watts, Edith Ellyn, Emily Davison e Violet Miller, meglio note con l’epiteto sufragette, omonimo titolo del movie.
Una prima richiesta formale di riconoscimento dei diritti delle donne risale addirittura ai tempi della Rivoluzione Francese. Bensì per le protagoniste francesi l’impresa finì presto e male; infatti Olympe de Gouges, scrittrice e femminista ante litteram, fu ghigliottinata nel 1793 per il suo essere contraria al regime di Robespierre. Nel 1872 poi, appunto in Inghilterra, si crearono dei veri e propri gruppi organizzati di donne, e non solo, che richiedevano esplicitamente il diritto di suffragio (da cui deriva proprio il termine dispregiativo “suffragette”). Il movimento in breve tempo superò i confini nazionali.
Agli inizi del Novecento infatti, il diritto di voto era già stato esteso a differenti classi sociali, e potevano votare anche persone di diverse etnie. Purché fossero tutti uomini. Solo più tardi, con la legge del 2 luglio 1928, il suffragio fu esteso a tutte le donne del Regno Unito, mentre nel resto d’Europa, compresa l’Italia, si dovette aspettare la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Come si può ben immaginare, le lotte per il suffragio vennero ben presto ostacolate, represse pure con il sangue e derise, sia da parte di uomini che di donne; anche perché in base le leggi dell’epoca le battagliere componenti erano considerate vere e proprie fuorilegge. Per dissuadere poi le madri, le lavoratrici e le donne in genere, ad appoggiarne la causa, i governi stessi e i media intrapresero una forte campagna di denigrazione verso le suddette, ridicolizzando e portando all’estremo alcune loro caratteristiche, attraverso vignette e manifesti. Considerate immorali e con visioni totalmente strambe e utopiche, il loro peggior crimine era quello di voler essere trattate come uomini! Ma che bizzarria è mai questa?
A tal proposito, dall’archivio di Catherine H. Palczewski, docente di studi di genere alla University of Northern Iowa (Usa), provengono una serie di vignette satiriche dell’epoca, che la studiosa ha raccolto con un minuzioso lavoro di ricerca durato 15 anni. Queste illustrazioni puntavano a rappresentare le suffragette come una minaccia contro i valori della famiglia e il ruolo tradizionale della donna in quanto madre e moglie devota. Esse venivano dipinte o come vecchie zitelle sole e acide oppure come madri disinteressate all’educazione dei figli e alla cura del partner, in preda a crisi nevrotiche nel perseguire i loro strampalati obiettivi o ancora come “brutte copie” degli uomini con abiti maschili e sigaro perennemente in bocca. La derisione umoristica e la presa in giro, a volte spietata e violenta, molte volte invece appare solamente come parodistica e surreale, con uomini che malvolentieri e goffamente si occupano della casa e della prole.