La Slow life di Luigi Nigro aiuta a «lavorare e riposare “duro” per per raggiungere le proprie ambizioni»

Sono sempre più le notizie riguardanti gli alti livelli di stress che studenti o lavoratori sono costretti a subire. Per rispondere alle esigenze di una società che ci ha insegnato che lo stacanovismo non può che significare fare bene il proprio lavoro. In realtà, con l’avvento delle tecnologie digitali, e persino la possibilità di lavorare da casa, tali presupposti in alcuni settori non sono cambiati. Non esistono più orari lavorativi, e dunque, ci si sente costretti a rispondere a qualsiasi ora ad un’email o a finire anche di notte un progetto. Molti universitari, purtroppo, non riescono a sopportare il carico di studio, e soprattutto quello emotivo, dettato da degli standard imposti dall’alto. Motivo per cui decidono di mettere fine alla loro carriera universitaria, in casi estremi, anche alla loro vita. In egual misura, i lavoratori hanno dato vita al fenomeno delle grandi dimissioni per aver raggiunto livelli sempre più alti di quello che viene definito burnout. Occorrerebbe fermarsi un attimo e ripensare ad uno stile di vita slow.

Abbiamo, quindi, deciso di approfondire l’argomento e sensibilizzare su queste tematiche che danno vita a vere e proprie narrazioni tossiche, attraverso le parole di Luigi Nigro. Giovane content creator che, a differenza di altri suoi coetanei e non solo, ogni giorno sui propri canali cerca di rendere il mondo dei social media un luogo meno finto e più autentico. Come? Divulgando pillole di Slow life.

Cosa si intende per burnout e perché se ne dovrebbe parlare di più?

“Il burnout è il risultato di un periodo di stress cronico vissuto in situazioni professionali che hanno logorato le condizioni psicofisiche di una persona. Si tratta di una condizione in cui ci si sente ‘bruciati’ oppure ‘esauriti’. Chi si trova in burnout non ha le risorse cognitive ed emotive per affrontare le più banali situazioni quotidiane perché si sente drenato delle energie necessarie.

Se ne dovrebbe parlare di più per sensibilizzare le persone sul fatto che questa mania del ‘lavorismo’ compromette sul serio la nostra salute. A me personalmente è bastato viverlo una volta per capire che non avrei più voluto cadere in una situazione simile. Il mio sintomo è stato il non riuscire a dormire nonostante fossi molto stanco. Ho trovato più info a riguardo nel libro Perché Dormiamo di Matthew Walker”.

Che cos’è Slow Life e in che modo può aiutare a combattere il burnout o prevenirlo?

“Vivere Slow significa avere il controllo della propria vita, sia da un punto di vista emotivo che decisionale. Oggi siamo sempre tutti impegnati, in preda alla FOMO per le troppe cose da fare. Ma dimentichiamo che siamo progettati biologicamente per processare solo un certo numero di stimoli. Questa sovra stimolazione data da un mondo troppo veloce attrae nella trappola della fast life le persone meno consapevoli del fatto che non tutte le ‘occasioni’ sono davvero occasioni. E virgoletto ‘occasioni’ perché mi riferisco ad ogni tipo di occasione, non solo professionale. A volte quelle che si pensiamo siamo (o che vengono vendute come) occasioni sono solo perdite di tempo mascherate. E nel rush di voler provare ad acciuffare ogni occasione, non riusciamo a ragionare e a pensare quando ci capita sotto il naso una occasione vera e propria.

Vivere slow significa vivere con pazienza, consapevoli del fatto che le occasioni vere e proprie passano poche volte nella vita, altrimenti non sarebbero tali. Quando riusciamo a comprendere questa filosofia, mettiamo in prospettiva la nostra vita e riusciamo a dare priorità alle cose. Così magicamente tutto smette di essere urgente, e riusciamo a comprendere quali sono davvero le cose importanti a cui dobbiamo dedicare tempo e attenzioni (che oggi sono completamente assorbite dal lavoro e dalla carriera). Slow Life significa lavorare duro per raggiungere le proprie ambizioni, ma anche riposare duro quando il nostro corpo o le condizioni lo richiedono. Non c’è fretta ragazzi, dove stiamo correndo tutti quanti? Verso la morte?”.

La tua esperienza in breve fino a Slow Life. Come ti definisci oggi lavorativamente parlando?

“Sei anni fa facevo l’operaio in fabbrica. Mi sentivo vessato emotivamente da quel tipo di lavoro e da quel tipo di ambiente. Ad un certo punto ho capito che nessuno sarebbe venuto a salvarmi e se volevo raggiungere le mie ambizioni dovevo assumermene la responsabilità. Oggi sono un professionista del digital. Dopo un percorso travagliato posso dire di aver raggiunto una condizione in cui ho un buon grado di controllo sulla mia vita. E non mi riferisco solo a quella professionale, ma anche a quella personale. Continuo a lavorarci però, perché una volta raggiunto uno standard, bisogna impegnarsi per mantenerlo”.

Falsi miti sul mondo del lavoro, quali ti impegni a sfatare con maggiore rigore?

“In primis quello che se non hai voglia di lavorare sei pigro. In realtà no, è solo che non ti piace quello che fai. Siamo stati indottrinati male riguardo il mondo del lavoro e della carriera. Nei miei lavori precedenti mi sono sempre sentito pigro e incompetente. Mi sono fatto giudicare e mi sono giudicato. Poi ho capito che era semplicemente il modello educativo ad essere sbagliato. Oggi potrei lavorare 12 ore al giorno e uscirne fresco come una rosa. Com’è possibile?”.

Quali sono i vantaggi dello smartworking (quello vero) e come consiglieresti di inglobarlo all’interno di un’azienda che non ne incentiva l’uso?

“Lo smartworking è un modello di lavoro che cozza col modello industriale (quello delle 8h al giorno per intenderci) a cui siamo stati sempre abituati. Permette alle persone di essere più flessibili e di conseguenza più soddisfatte del proprio lavoro. Quando sei soddisfatto del tuo lavoro lo fai meglio e produci risultati migliori. Ma purtroppo in Italia la mania di controllo da parte dei capi e dei manager (chiamata anche micromanagement) non morirà nel breve.

Per inglobarlo all’interno di un’azienda deve prima di tutto cambiare la mentalità dei decision maker. Ma mi rendo conto che dire ad un imprenditore che per 40 anni ha lavorato col modello industriale che esiste un modello migliore è una follia. Forse anche io reagirei male se fossi nei panni di un imprenditore del genere”.

Promuovi una cultura del lavoro basata sull’utilizzo sapiente del digitale, definito in quanto “la strada giusta per raggiungere queste condizioni lavorative in Italia”. Il digitale significa, però, anche FOMO, dipendenza, contenuti tossici. Come riuscire a cambiare direzione e realizzare un decisivo cambiamento culturale?

“Consapevolezza, conoscere se stessi ed essere gentili col proprio bambino interiore. Quei contenuti continueranno ad esistere e noi continueremo a venire esposti a queste dinamiche psicologiche. L’unica cosa che possiamo cambiare è la nostra risposta emotiva a tali situazioni. Non si può spiegare in un’intervista, ma la terapia aiuta parecchio”.

Giulia Grasso