La cura dal benessere: su Netflix la prigionia della cura, secondo Verbinski

Dal 6 marzo 2019 su Netflix, La cura dal benessere di Gore Verbinski, regista di The ring e dei primi due episodi dei Pirati dei Cairaibi, è un un interessante ibrido tra horror, thriller psicologico e dark fantasy, che racconta gli orrori e i misteri di una Spa Svizzera, dalla quale nessuno, una volta entrato sembra volersi allontanare. Si direbbe che sia per l’efficacia dei trattamenti sanitari, talmente confortevoli, da essere preferibili alla stressante vita di tutti i giorni, ma la verità è ben più complessa e orripilante.

Ad indagare su questo mistero è il giovane e ambizioso Lokhart, interpretato da un bravissimo Dane De Hann, il quale, viene mandato nella clinica dalla società per cui lavora, al fine di riportare indietro Roland Pembrock, membro influente della compagnia, che dopo essere entrato nella Spa, non ha più dato sue notizie.

La clinica-fortezza, isolata dal resto del mondo, si rivelerà gradualmente un luogo davvero diabolico, che, attraverso perverse alchimie e manipolazioni mentali si pone obiettivi para-scientifici a dir poco riprorevoli, il tutto, riuscendo a mantenere all’esterno l’aspetto di un luogo a dir poco rispettabile, anzi, fortemente desiderabile per ciò che promette: la cura del benessere.

Se lo spunto sembrerebbe quello di un classico horror, la struttura del film e il suo svolgimento sono tutt’altro che tradizionali, forti di una sceneggiatura intelligente che costruisce la tensione gradualmente, spesso anche attraverso i reticenti e enigmatici dialoghi, e mediante una regia che alimenta “goccia a goccia” la suspance con miraggi, suggestioni, inquadrature disturbanti e poi, all’improvviso, veri e propri incubi ad occhi aperti, in cui la dimensione psicologica alimenta quella orrifica.

Non mancano scene conturbanti memorabili, soprattutto quelle legate all’acqua, elemento orrido, centrale nella costruzione del film, perché da bene irrinunciabile e benefico si trasforma in veicolo aberrante di contaminazione e invasione corporea. Allo stesso tempo l’acqua è spesso uno specchio riflettente ingannevole che sottolinea l’ambiguità di fondo della clinica, che, da benefica mostra presto di essere virulenta e opprimente, una gabbia allettante che, invece di rinvigorire, svuota, prosciuga le energie, la linfa, e la stessa sanità mentale, illudendo della guarigione.

In questo luogo contaminato e adulterato da mostruosità sinuose e sinistre esiste anche un barlume di purezza, incarnata da una giovane fanciulla che, al contrario di tutti gli altri vorrebbe fuggire per vedere il mondo esterno. L’ attrice che la interpreta, Mia Goth, recentemente vista in Suspiria, è perfetta nel ruolo, per la sua bellezza conturbante ed enigmatica, difficile da decifrare, ma ammaliante al tempo stesso.

Come si diceva buona l’interpretazione del protagonista maschile De Hann e bello anche il suo personaggio, che si immerge sempre più negli orrori della Spa, e nonostante la follia del luogo, una trappola, non demorde, ma cerca in tutti i modi di mantenere intatta la logica e di non perdere la ragione, facendo immedesimare nei suoi panni lo spettatore.

La risposta ai suoi quesiti in effetti esiste, come sottolinea la parte finale del film, che con scorrevolezza e senza troppe forzature si trasforma in una fiaba oscura, fantasy. L’originalità della pellicola di Verbisnki, che si conferma regista di pregio, sta proprio nel riuscire a conciliare il thriller psicologico e il dark fantasy con grande equilibrio, nonostante la sperimentazione, perché ad un fiaba dark aggiunge una dimensione psicologica conturbante e convincente, che per molti versi ricorda quella degli orrori Lovecraftiani.

Interessante anche la tematica: Che cos’è in fondo il benessere? Si chiede il regista nel costruire questa articolato labirinto di incubi e stranezze. E’ forse una ricerca infinita? Un’eterna illusione?  Gli ospiti della clinica sono convinti di aver trovato la panacea di tutti i mali, ma non si accorgono di  essere più malati di prima. Sono succubi di una vera e propria “prigionia della cura”. Lo stesso antagonista in fondo è in cerca di qualcosa di impossibile: anche lui vuole trovare una cura definitiva, addirittura contro lo scorrere del tempo.

Il tema è più che mai attuale, in una società come la nostra in cui si punta alla perfezione e spesso si non accetta la frustrazione del più lieve disagio fisico o mentale: una società dotata di tecnologie potenti e straordinarie, capaci di allungare la durata della vita e di guarire; ma il film mette in guardia sui rischi di chi, per vivere e avere l’illusione di essere felice, si affida ad un ipocondriaco bisogno di cura, anche quando sia sano (come il Malato immaginario di Moliere). La felicità non sta nella clinica-prigione che ottenebra la mente; sta fuori negli errori della vita e nell’insicurezza del suo scorrere: questo il messaggio della bella, convincente e stratificata fiaba psicologica di Verbinski, passata purtroppo in sordina. L’autore si conferma un regista intelligente capace di dare sostanza cinematografica e grande ritmo ad una convincente sceneggiatura. Da recuperare su Netflix.

Francesco Bellia