È venuto a trovarci virtualmente a Social up il noto regista ed attore italiano Massimiliano Bruno, il cui primo film ha riportato un sorprendente Nastro d’Argento. La società italiana la pizzica nei suoi lavori, e non solo dietro la macchina da presa.
Recitando con la Cortellesi sui palcoscenici d’Italia, può vantare anche una bella penna sceneggiaturale, che gli ha aperto definitivamente le porte alla settima arte, consacrandolo così ad un successo duraturo ed ancora in corso.
Scopriamone i segreti dietro le quinte!
L’immagine di Massimiliano Bruno da bambino la ricordo in “Non ci resta che il crimine”. Mi ha colpito il modo in cui ha trattato l’infanzia nel suo film, ma com’era davvero Massimiliano Bruno da piccolo?
Ero un bambino molto vivace, curioso, amante del teatro, del cinema. Mia mamma era pittrice. Il mio primo approccio all’arte è stato da adolescente. A scuola mi piaceva fare battute.
La curiosità: un aspetto che caratterizza anche il bambino di “Non ci resta che il crimine” che era lei da piccolo nel film. Una curiosità ora ce l’ho io: come mai lei ci tiene così tanto a comparire nei suoi film, a lasciare quella piccola impronta con ruoli peraltro significativi, come in “Viva l’Italia”?
È anche una casualità a volte, nel senso che la gran parte delle partecipazioni che ho fatto nei miei film sono avvenute perché mi è saltato un attore. In quel personaggio di “Viva l’Italia” che ironizza sul rapporto tra la società italiana odierna, la politica odierna e la Costituzione Italiana ci vedevo Luciano Ligabue. Lui aveva fatto un documentario in cui parlava della Costituzione, per cui non se l’è sentita. Mancavano dieci giorni all’inizio del film e allora mi son deciso a fare io quel ruolo. Ogni tanto per divertirmi appaio, ma per i miei protagonisti ho sempre scelto altri attori.
Tra l’altro lei ha una formazione teatrale come attore. Sempre a proposito di “Viva l’Italia” una buona parte della critica l’ha definito come una nuova commedia all’italiana, un film che si ispira alla commedia monicelliana. Io però c’ho visto un po’ meno cattiveria rispetto ai film di Monicelli, e un po’ invece di quell’amarezza riflessiva tipica dei film di Risi. Lei si è ispirato ad entrambi i registi per la riuscita del suo film?
A nessuno dei due in maniera diretta. Come formazione sono cresciuto con Scola, Risi, Monicelli vedendo i loro film, ma anche con Comencini, a cui ho guardato per il mio quarto lavoro “Gli ultimi saranno ultimi”. L’ispirazione magari c’è anche senza essere pensata.
La strada della regia l’ha abbracciata per caso oppure c’è stato un momento epifanico particolare?
Ho fatto lo sceneggiatore prima. Ho approcciato al cinema scrivendo “Notte prima degli esami” e altri 5 film per Fausto Brizzi. A teatro avevo già fatto il regista e avevo il desiderio di provare anche la strada della regia cinematografica, pensando però di fare un solo film. Ho diretto così la Cortellesi nel mio primo lavoro, “Nessuno mi può giudicare”. Doveva essere solo questo, ma ha vinto premi, è stato campione d’incassi e la mia carriera è cambiata.
Nelle sue commedie dà sempre dei colpi alla società: lei ritiene che la società italiana oggi possa subire una svolta anche attraverso questo genere cinematografico, oppure la commedia deve fare altro?
La nostra società del 2021 è gestita e vissuta da talmente tante persone deludenti che non credo che il cinema possa cambiare qualcosa. Può essere capito qualcosa da qualcuno che la pensa come te, ma come me la pensano poche persone. L’Italia è un Paese che non piace a nessuno, che tutti criticano, sia a destra che a sinistra, è un Paese sopportato. Il nostro principale sport nazionale è l’autocritica, siamo estremamente esterofili, ma perché spesso e volentieri all’estero hanno dimostrato di essere migliori.
Io non faccio cinema per insegnare, dare messaggi, perché i messaggi preferisco darli a me stesso. Io faccio cinema per fare un percorso mio, per lavorare, per divertirmi. Non ho mai pensato che i miei film potessero cambiare la testa delle persone. Cambiare la testa delle persone è un percorso che dovrebbe partire dalla classe politica dirigente. Sarebbe molto meglio avere un impianto scolastico buono in questo Paese piuttosto che un cinema buono, perché dall’istruzione potrebbero nascere persone migliori che potrebbero godere di un cinema che in questo momento la maggioranza delle persone non può godere, perché sprovvista dei mezzi culturali e di libertà mentale per poter comprendere alcune intuizioni.
Il cinema parla una lingua che è propria di ogni singolo regista, ognuno c’ha la sua, e poi non è detto che venga capita da tutti. Siamo un tipo di Paese che ragiona spesso ad un livello più superficiale. C’è molta ingenuità in noi italiani, siamo un Paese a cui piace molto credere. Gli italiani credono, ma pensano molto poco. Per molti fa fatica farsi un’idea propria. È molto meno faticoso copiare uno stereotipo di vita per tanti.
Lei ha trovato nel cinema una forma di ribellione alla società?
No, io la mia forma di ribellione la trovo nella mia vita personale, facendo delle scelte e cercando di costruire un certo tipo di rapporti. Il cinema è un’industria, è un lavoro che ha, secondo me, pochi meravigliosi casi di ribellione, ma che in questo momento ha per il 99,9 percento dei casi la formula dell’intrattenimento. A volte intelligente, a volte meno, a volte drammatico, a volte comico. La maggior parte delle cose che si fanno al cinema possono cambiare non la vita delle persone, ma la tua.
A proposito dell’intrattenimento e di “Non ci resta che il crimine”, devo complimentarmi con lei, qui ha dato vita ad un vero e proprio trio che prima di questo film ancora non avevo visto lavorare in “trittico”: Giallini, Tognazzi, Gassmann. Lei ha pensato di continuare a dirigerli tutti e tre assieme?
Sono molto in gamba tutti e tre, ma le carriere di certi attori sono pure dettate da incontri, casualità. È un trio forte, equilibrato, con talenti differenti, ma allo stesso tempo validi.
Bene, bene. A proposito di questo suo lavoro mi è piaciuto il suo espediente narrativo per far riflettere su come spesso si vada a mitizzare qualcosa che si chiama “Mafia” o “crudeltà”, mentre poi ci si rende conto, quando si vivono queste situazioni, che non era il caso proprio di mitizzare nulla, perché la realtà non la puoi mitizzare specialmente se crudele.
Certo, però la puoi prendere in giro la criminalità.
In tanti oggi parlano continuamente di crisi del cinema, del cinema italiano, della commedia italiana. A queste persone cosa vorrebbe rispondere?
Questa cosa della crisi del cinema italiano la leggevo a 18 anni a scuola, poi ho cominciato questo lavoro e ogni tanto esce fuori la parola “crisi”, ma alla fine il primo film che ho diretto ha incassato 12 milioni di euro.
Alla faccia della crisi!
Sì, faccio film che incassano un sacco di soldi, la gente vede i miei film. Ora c’è il covid ed è un altro fatto. Il cinema prima della pandemia resisteva nonostante le piattaforme. Oggi si vede tramite molti supporti un film, il mezzo cambia, ma il fatto che comunque ci sia un modo di vedere delle storie filmate attraverso la maestria dell’arte di attori e registi, tutto quello non muore, e non morirà mai.
Ma nun te puoi permette de parlà de crisi quando Checco Zalone batte “Avatar” agli incassi (ride). A questa crisi qua non ci credo, ma ci può essere una crisi culturale diversa, nel senso che l’ “humus” culturale del Paese è in crisi, ma non il cinema. Il cinema è un po’ lo specchio della cultura di un Paese. Adesso gli argomenti sono di una pochezza micidiale, c’è qualche deficiente razzista che non si arrende all’ovvio, cioè che la popolazione mondiale tra 100 anni sarà per il 75 percento composta da persone di origine africana, ma è la storia del mondo.
Noi italiani siamo africani d’origine. I conservatori vogliono che tutto rimanga immobile, e quando vedono qualche cambiamento hanno paura perché non c’è più la sagra della porchetta ma qualche altra cosa. Se il mondo tuttavia fosse stato conservatore non avremmo inventato la penicillina o la lampadina, o il cinema. Il mondo va avanti e ci piace perché cambia.
Intelligente questa lettura dei tempi, non posso che condividere questa riflessione. Grazie per la chiacchierata e in bocca al lupo per tutto!
La ringrazio, crepi il lupo!
Ci auguriamo che al più presto le sale riaprano anche per poter visionare il sequel di “Non ci resta che il crimine”, ovvero il suo “Ritorno al crimine”.