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Intervista a Silvia Nair: “Ci sono poche compositrici e troppi preconcetti”

Quando guardiamo un film le melodie che accompagnano la trama hanno il potere di imprimere l’indelebile. La colonna sonora, in molti casi, riesce a diventare un vero e proprio cult superando talvolta la grandezza di una pellicola. Basti pensare ad esempi quali Profondo Rosso, Il Padrino o C’era una volta in America.

Silvia Nair è un uragano di talento e professionalità. Ha all’attivo tre album. L’ultimo, Luci e Ombre, si appresta ad un prossimo tour in giro per il paese. Il primo album, Sunrise, è uscito prima in Giappone e poi in Italia, un dato che la dice lunga su quanto altrove siano in grado di apprezzare una determinata tipologia di musica.

Silvia ha una voce limpida e chiara, quattro ottave di estensione. La sua curiosità e il suo grande impegno l’hanno spinta ad interessarsi ad altri ambiti del mondo musicale. Allo stato attuale Silvia è anche una performer, una musicista di pianoforte, autrice e compositrice di canzoni e di colonne sonore per cinema e documentari.

Ed è proprio per il cinema l’ultimo lavoro di  Silvia che, ha firmato dieci composizioni musicali per il film Bentornato Papà di Domenico Fortunato. Composizioni che raccontano musicalmente le emozioni dei personaggi, l’intensità degli eventi e l’evolversi della narrazione.

In questa intervista che Silvia Nair ha rilasciato per Social Up partiremo proprio dal suo ultimo lavoro e approfondiremo come nel mondo della composizione esista ancora un forte carenza di compositrici donne. Sebbene molte preferiscano bypassare l’impasse sui discorsi di genere ponendo l’accento sul proprio lavoro, ciò non toglie che spesso, ancora oggi, esiste una problematica nel riconoscere un certo tipo di professione, in cui prevale l’idea di cantante e poco di esecutrice.

Per Bentornato Papà, hai firmato dieci composizioni musicali, come è nato il progetto?

E’ stato un progetto molto veloce. Ho ricevuto il film già montato e definito. Il regista Domenico Fortunato e la produzione Altre Storie con Rai Cinema avevano direzioni molto chiare. Una direzione classica, pianoforte, in altre una formazione da camera (piano, clarinetto, violino, violoncello e contrabbasso), in altre ancora il piano dialoga con un ensemble d’archi. Ho deciso di lavorarci dopo aver visto il film che mi ha emozionata moltissimo. Non essendo solo una compositrice, ma ho una carriera da cantautrice, ho scoperto d’avere questa attitudine nel comporre musica su immagini e su narrativa. Tendo a scegliere solo progetti che sono sulle mie corde e Benvenuto Papa è riuscito a farmi rivivere eventi della mia vita, familiari. Il film parla di malattia e di morte, ma anche dell’importanza della famiglia e dell’amore e quanto in circostanze avverse, l’amore possa unire le persone. E’ un film che fa riflettere su se stessi, sulla vita e sull’unirsi nel momento del bisogno. Mi sono innamorata e l’ho fatto. Ho avuto a disposizione un solo mese. E’ stata una sfida, ma con un ottimo risultato.

In questo caso sono state le immagini, negli altri cosi dove trovi l’ispirazione?

C’è una differenza tra le due professioni. Da cantautrice scrivo per me stessa, sono più libera e racconto la mia visione, i miei sentimenti, il mio mondo interiore ed è la mia chiave poetica. Con i film, metto la creatività e la professionalità al servizio di un altro artista. Talvolta ci sono idee chiare altre volte meno. Quando ho a disposizioni solo il soggetto e la sceneggiatura senza immagini, cerco di cogliere lo sviluppo del racconto entrando nella psicologia dei personaggi e mi confronto con il regista, moltissimo, per capire la sua visione e il suo linguaggio. Cerco di capire il messaggio che vuole trasmettere. Quando ci sono le riprese si ha una partitura visiva da assecondare e questo può tornare d’aiuto per comprendere anche il senso del ritmo. Sono approcci diversi.

Quanto è importante la giusta colonna sonora per dare successo ad un film?

Abbiamo nella storia del cinema casi in cui la colonna sonora è stata fondamentale. Tutto dipende molto dalla scelta registica. Ci sono registi che optano per una colonna sonora minimale, da sottofondo, solo un climax, in cui non ci sono melodie precise, ma note dilatate. In questi casi il film, con attori e recitazione hanno un ruolo dominante e la musica non è predominante. A me sono capitati casi in cui la musica era fondamentale. In Anja – Real Love Girl la sceneggiatura è scarna, ci sono pochi dialoghi e si gioca molto sulla storia, sulla psicologia e sui cambi di scena… E’ un thriller e in questo caso la musica è fondamentale per colmare la mancanza dei dialoghi che ti accompagna nei meandri della mente del protagonista. La musica racconta la storia.

A quale composizione sei maggiormente legata?

Amo tutti i miei figli. In ogni colonna sonora ho messo una parte di me stessa. In Bentornato Papà ho messo il cuore, il sangue e le lacrime. Ogni volta nel rivedere le scene avevo gli occhi lucidi. In Anja ho messo la parte più scura, più dark… L’ho collegato al mio ultimo album, Luci e Ombre dell’animo umano. Riconosco di avere un animo inquieto, tormentato, oscuro e ho trasmesso molto di questi stati d’animo. Poi c’è El Numero Nueve – Battistuta in cui si parla di un grande campione e in lui ho rivisto me stessa con il mio sogno che ho cercato da soffocare da bambina e che ho ripreso a 30 anni con tutti gli anni di studio e la fatica per realizzarlo. Mi sono rivista in Battistuta, lui aveva un grande talento ma poca tecnica e ha lavorato moltissimo per arrivare alla gloria. Mi ha ispirata molto. In quest’ultimo canto anche Freedom, in cui canto la fama e la gloria di quest’uomo, questo senso di libertà per aver coronato un sogno, questo senso di rivalsa. Tra l’altro sono una grande appassionata di calcio!

Ah davvero?
Una donna che fa la colonna sonora di un docu-film su un calciatore e sul calcio è dirompente. Sai cosa mi aiuta tanto? L’essere onnivora per quanto concerne la cultura. Non mi pongo paletti o limiti… Questo mi aiuta molto?

Che squadra tifi?

Sono Milanista. Tutta la famiglia rossonera, a partire dai nonni. [Qui parte una lunga digressione sulle squadre del cuore!]

Silvia, come mai ci sono poche donne compositrici?

Perché nell’immaginario collettivo la figura del compositore è maschile, da sempre nella storia, fino ai giorni nostri. Se c’era qualche donna, certamente non veniva valorizzata e aiutata, ma rimaneva di nicchia. Questo retaggio culturale o pregiudizio sussiste ancora. Per il pubblico il compositore di colonne sonore, ma anche nel campo della musica contemporanea è uomo. Nel nostro ambiente si pensa che la donna non sia interessata a questo lavoro particolare… difficile. Non viene dato il giusto spazio. Anche le ragazze che si formano in questo campo, si trovano di fronte ad una forte componente di pregiudizio e di preconcetti e sanno che devono lottare non il doppio ma di più per affermarsi. Io ho iniziato come cantante e poi come cantautrice e poi a comporre musiche per pianoforte per documentari e la mia casa discografica, considerata la mia attitudine e l’abilita e la naturalezza, mi hanno proposto la prima colonna sonora. Io amo le sfide, non mi pongo limiti e ho sempre scelto strade anche se difficili, quelle che mi dessero la possibilità di esprimermi come donna e come persona, come un’artista a pieno. Ho accettato il rischio, ma è difficile essere presi sul serio. Ho riscontrato, però, un grande entusiasmo per i miei lavori e ciò mi stimola ad andare avanti e ad aprire la strada ad altre donne.

E’ un po’ il mondo dell’arte in generale, in alcuni settori più di ieri, come la regia, la pittura, le compositrici, sebbene siano arti liberali c’è questa forte matrice patriarcale e maschilista…

Esatto, è cultura maschilista e patriarcale che ci portiamo dietro da millenni. Pensa che in 93 anni di storia degli oscar solo in 2 occasione le donne hanno vinto un premio per le colonne sonore.

Si fa ancora poco, ad esempio nei corsi di studi ad hoc, per incoraggiare la componente femminile a specializzarsi e lavorare in questo ambito? 

Ti dico che in Italia abbiamo un numero di compositrici donne che si contano su una mano. Abbiamo tante ragazze capaci che si formano, che fanno pratica, collaborano negli studi, ma spesso restano collaboratrici. Abbiamo ancora molta strada da fare. Spesso c’è questa visione in cui la donna è intesa soprattutto come interprete. Nel mondo della musica classica o della lirica o musica leggera, la donna è vista come interprete, la pianista, la violinista, che interpreta la musica degli altri piuttosto che la cantante nel pop o nel rock. Le cantautrici affermate e di successo sono poche. Se ci pensi puoi fare un elenco di cantautori enorme, ma quante donne? Ci sono cantautrici fantastiche di sensibilità e di ricche di sfumature, ma sono di nicchia, per un pubblico di nicchia. La donna non è valorizzata, la donna che scrive e compone… la donna è intesa come cantante…

Su cosa stai lavorando?

Il mio primo progetto è portare live il mio album Luci ed Ombre. Dopo il lockdown voglio andare sul palco e portare in giro la mia musica. Inoltre sto lavorando anche ad un altro film come compositrice.

Benito Dell'Aquila