Intervista a Silvia Margoni: usare la psicologia per comprendere la realtà

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Silvia Margoni, consulente specializzata nella formazione di manager e imprenditori attraverso tecniche comportamentali afferenti alla psicologia e al campo delle neuroescienze.

Silvia, forte del suo bagaglio accademico basato su nozioni economico-aziendali e legate alla psicologia, ha compreso la reale esigenze, nonché la più importante leva di un’impresa: la comunicazione.

Attraverso il suo approccio scientifico, Silvia ha messo a punto un metodo molto interessante con cui approcciarsi ai propri clienti, trasmettendo a pieno il proprio sapere e personalizzandolo a seconda dell’esigenza. Durante questo frastagliato 2020, inoltre, si è fatto trovare prontissima, proponendo ai suoi clienti e alla sua community tutte le possibili tecniche per colmare il vuoto comunicativo imposto dal binomio lockdown-smartworking.

Come nasce la tua passione per la neuroscienza e la psicologia legate alla comunicazione? Qual è stato il percorso di studi ed esperienziale che ti ha permesso di far diventare una passione il tuo lavoro?

Il mio primo approccio verso le scienze comportamentali fu quando avevo da poco terminato la maturità (si esatto, giusto qualche giorno fa…): ai tempi ero un’avida lettrice di una rivista di stampo scientifico e proprio in quel periodo era uscito un inserto dedicato all’etologia, ossia al comportamento degli animali.

In particolare, avevano acceso la mia curiosità alcuni articoli in cui veniva spiegato come certi tipi di posture comunicavano interesse o disinteresse verso l’interlocutore, e visto che avevo deciso di cominciare a fare qualche lavoretto per pagarmi l’università, decisi subito di testare quello che avevo letto.

Il lavoro lo ottenni, onestamente non so se grazie a questi piccoli “trucchi”!

Presso la facoltà di economia conobbi Giuliano Trenti, fondatore e titolare di NeurExplore, col quale ebbi il piacere di collaborare in diverse occasioni. Mantenemmo i contatti anche nel periodo in cui entrambi eravamo ricercatori presso l’Università di Trento, lui presso il dipartimento di Economia Comportamentale ed io in quello del Marketing, tenendo lezioni per diversi corsi.

Ricordo i pranzi che condividevamo mentre lui mi raccontava degli esperimenti che conduceva sulle mele, sul vino e sullo yogurt. Erano momenti ricchi di spunti sul come fossimo tutti facilmente influenzabili, sul ruolo delle emozioni, sui processi di scelta delle persone.

Poi accaddero una serie di cose: iniziai a lavorare presso alcune grandi aziende, e a fare diverse esperienze come analista e consulente. Finché nel 2015 Giuliano mi invitò a cogliere una nuova sfida: andare a lavorare con lui in NeurExplore, una delle prime aziende di neuromarketing in Italia. E quello fu un po’ come “quadrare il cerchio”: il tassello delle neuroscienze era divenuto il meccanismo tangibile per spiegare la psicologia e le scienze comportamentali.

Intanto, dentro di me cresceva il desiderio di creare qualcosa di mio, dedicarmi nel seguire le persone in progetti di cambiamento mettendo al loro servizio gli strumenti che avevano riformulato la mia vita. Sì, perché io stessa ero una pessima comunicatrice. Ma davvero. Provengo da una famiglia dove mia nonna era un’orgogliosissima fascista e mio padre un bigotto religioso. Immaginate la comunicazione a casa mia: assolutamente unidirezionale (del capofamiglia), di tipo dogmatico e indiscutibile. In casa, tutto era bianco o nero. Giusto o sbagliato.

Questo lavoro ha profondamente cambiato il punto di vista attraverso cui leggo il mondo e le persone. Mettermi in discussione e ricostruire le mie credenze e i miei schemi mentali è stato molto difficile, soprattutto all’inizio. Ma oggi è la grande forza che mi muove ogni giorno: ho la possibilità di entrare in contatto con uomini e donne di grande valore, che mi regalano ricchezza professionale, relazionale e addirittura personale.

Così, ad inizio 2020 finalmente decisi di accettare le mie paure aprendo la mia attività di formazione e consulenza, sempre mantenendo lo stampo oggettivo e (neuro)scientifico. E per non farmi mancare nulla, mi sono recentemente iscritta nuovamente all’università, questa volta di Psicologia del Lavoro. Tra un anno conto di coronare anche questo obiettivo… o, forse, stavolta somiglia più ad un sogno ?

Quali sono le potenzialità di un abile uso della psicologia nella comunicazione?

Mi piace vedere la psicologia come uno strumento per capire meglio la realtà. Spesso, nei nostri comportamenti siamo spinti da emozioni e aspetti subconsci o automatici che ci guidano a ripetere pattern appresi anche molti anni prima. Eppure, quando vediamo qualcuno che non agisce come ci aspetteremmo ci stupiamo domandandoci indignati “Perché si comporta così?!”. Imparare a metterci nei panni e nel vissuto altrui ci permette di prevedere pensieri e azioni e guidare efficacemente la nostra comunicazione per entrare in empatia anziché in conflitto.

Spesso, purtroppo, utilizziamo la comunicazione per «sfogare» le nostre emozioni quasi seguendo un rito catartico. Al contrario molti ricercatori (Daniel Goleman ne è il principale esponente) hanno invece dimostrato come la gestione della nostra emotività sia la chiave del successo, sia nella vita privata sia professionale. Se imparassimo a chiederci qual è il nostro obiettivo prima di aprire bocca, identificando la modalità più appropriata per relazionarci, eviteremmo molti conflitti per giungere al nostro scopo in un’ottica win-win.

Naturalmente, ogni strumento deve essere maneggiato con cura: i coltelli che abbiamo in cucina ci aiutano certamente a preparare prelibate pietanze, ma possono facilmente divenire anche oggetti pericolosi. Quale uso scegliamo di fare della psicologia nella comunicazione, persuasorio o manipolatorio?

La pandemia ci ha costretto a passare gran parte della nostra giornata lavorativa davanti alla webcam, rinunciando al contatto umano (che piaccia o no, ovviamente). In che modo è cambiata la gestione delle emozioni e di conseguenza della comunicazione? In che modo è possibile abbattere la barriera della lontananza data da una videocall?

La spontaneità è frutto di esperienza e preparazione. Anche quando vediamo qualcuno che consideriamo particolarmente “dotato” di una certa competenza, in realtà questa capacità è stata soprattutto sviluppata nel tempo tramite apprendimento diretto e/o indiretto (es: osservando i nostri genitori reiterare un certo comportamento).

Stare dietro ad un video a parlare e persuadere gli altri non è certo un’esperienza che molti hanno sviluppato fino a pochi mesi fa. Ecco perché è importante arrivare preparati per saper cogliere nel segno quando ne abbiamo l’opportunità. Ricordiamoci sempre che non abbiamo una seconda chance per fare un’ottima prima impressione: il cervello umano funziona per ancore e comparazioni.

Essere in sintonia col nostro interlocutore è fondamentale, ma farlo in una video call diventa ancora più complesso perché manchiamo di molti elementi di contesto e non abbiamo a disposizione l’intero corpo per comunicare. In più, ci troviamo brutalmente di fronte all’interlocutore, nella sua stanza, senza possibilità di introdurci gradualmente nell’ambiente.

Come anticipare questo diffuso e naturale disagio verso le video call? Proprio in questi giorni sto confezionando un corso pensato per questa esigenza, nel frattempo “spoilero” alcuni neuro tips:

  • impiega il power posing; prima di entrare in call, mantieni una postura dominante, ossia che ti faccia allargare nello spazio (braccia e mani aperte e verso l’alto, gambe non accavallate, mento alzato)
  • sfrutta il canale uditivo; l’udito, fra tutti i sensi, è quello maggiormente in grado di modificare il nostro umore – ascoltando musica energica (ma che ci piace) ci sentiremo più sicuri di noi stessi e maggiormente a nostro agio attraverso il rilascio di happy chemicals
  • scegli un abito che ti faccia sentire bene ma che al contempo comunichi professionalità; il tuo mindset sarà quello giusto.

Quali altri elementi giocano a nostro sfavore durante le video call? Le webcam non riproducono fedelmente l’interlocutore, che spesso è sgranato, scattoso, in penombra e ripreso spietatamente da un’angolazione poco naturale. Il nostro cervello fatica a cogliere correttamente i segnali non verbali per costruire un ponte empatico. Ecco quindi cosa fare:

  • se possibile, tieni la visualizzazione a mezzo busto; una serie di ricerche hanno dimostrato come questa inquadratura velocizzi la reazione dei neuroni specchio rispetto al primo piano. Naturalmente, questo non deve andare a discapito della visualizzazione delle espressioni facciali. Se abbiamo a disposizione solo una piccola area sullo schermo, meglio lasciare solo il volto ed introdurre le mani nell’inquadratura per guidare la conversazione
  • tieni la camera nella parte alta dello schermo mentre parli; i tuoi interlocutori percepiscono quasi tutti gli errori di sguardo verso l’alto o laterali, ma tollerano errori di sguardo verso il basso vicini a 10◦
  • impara a cogliere microespressioni di rifiuto sul volto altrui gestendole opportunamente (cercare di capirne l’origine attraverso domande “ad imbuto” e a seconda del caso: recuperare la situazione oppure spostare la conversazione su argomenti neutro/ positivi o stimolare un argomento a piacere).

Per lavoro ti occupi principalmente di fare formazione ai dipartimenti sales ed HR di diverse aziende. Qual è il progetto di cui vai più fiera?

Ogni progetto è a se stante: persone diverse, aziende differenti, potenzialità e criticità singolari. Difficile quindi sceglierne uno. Sicuramente i progetti più complessi danno molta soddisfazione nel vedere come i partecipanti crescono nel tempo e il compiacimento evidente nei feedback ricevuti ne è parte integrante. In questi casi rientrano soprattutto i progetti che coinvolgono i team di lavoro, dove si interviene sulla gestione del cambiamento, le modalità di rapportarsi con l’altro e di gestione delle proprie emozioni. Quando è necessario mettere mano anche agli aspetti organizzativi o altri elementi che hanno un forte impatto sull’ambiente di lavoro, ho la fortuna di appoggiarmi ad altri professionisti in ambiti complementari al mio. In questo modo, grazie al lavoro di squadra coi colleghi, si riesce a garantire risultati positivi anche in contesti complessi.

Potrei comunque provare a rispondere sotto un altro profilo: i progetti che mi coinvolgono maggiormente a livello emotivo sono quelli in cui c’è una condivisione di valori col cliente. La sintonia, in questo caso, è davvero profonda e questo facilita ancor più il raggiungimento degli obiettivi.

Pensi che, una volta sconfitto il coronavirus, le regole della comunicazione one-to-one in presenza saranno le stesse di prima? Come è evoluto lo studio della neuroscienza e della psicologia in questo periodo?

Sulla base di studi su precedenti catastrofi circa il 10 per cento delle persone colpite da eventi traumatici sviluppa disturbi post-traumatici da stress, depressione e altri disturbi psichiatrici. Fare proiezioni dei futuri comportamenti umani in questo specifico contesto è però difficile perché non abbiamo mai vissuto in passato una situazione paragonabile a questa pandemia. Abbiamo fatto un primo lockdown ma molti di noi, chiusi al sicuro nelle nostre case per qualche settimana, sono presto tornati ad una pseudo-normalità durante i mesi estivi. Differenti saranno gli effetti di questa seconda ondata, molto più lunga, che potrebbero plasmare alcuni nostri comportamenti automatici (io stessa mi sono resa conto di abituarmi gradualmente a non dare più la mano durante i saluti, ad esempio) e modificare letteralmente alcune aree cerebrali. Ce ne dimenticheremo? Dipende da quanto profonde e prolungate nel tempo saranno stress, ansia e depressione che, ricordiamoci, in sono in grado di portare ad infiammazione organica e disregolazione omeostatica dell’organismo, indebolendo il sistema immunitario e favorendo l’insorgere di malattie.

Molti scienziati sono infatti concordi sui danni che il distanziamento sociale crea al nostro cervello: lo stesso Goleman nei suoi libri parla di come una forte rete sociale aiuti a recuperare più velocemente da malattie e infortuni. Per contro, solitudine, isolamento sociale e il vivere da soli inducono un aumento della mortalità di circa il 30%. L’isolamento prolungato può produrre inoltre depressione, problemi nell’elaborazione delle informazioni, difficoltà di presa delle decisioni, deficit attentivi e di memoria.

Come mantenere la nostra resilienza dunque? Scegliamo di stare bene, allenandoci a focalizzare la nostra attenzione su ciò che ci rilassa per rafforzarci mentalmente, emotivamente e fisicamente. Ecco quindi i miei neuro tips:

  • Immagina scenari positivi anche attraverso tecniche di visualizzazione, favorendo l’attività dell’emisfero cerebrale sinistro (coinvolto nelle emozioni positive)
  • Cogli i lati positivi del presente e sii grato per ciò che hai, anche piccoli dettagli
  • Ridi! Ridere rappresenta un esercizio di rilassamento molto efficace in quanto allontana le tensioni del diaframma. Perciò, una buona dose di risate allontana nervosismo, paure e pianti attraverso il rilascio di happy chemicals
  • Se conosci la mindfulness, praticala con costanza ogni giorno
  • Coltiva gli affetti, che contribuiscono in particolare al rilascio di ossitocina, una altro ormone che media benessere nel nostro corpo e funge da antinfiammatorio. In mancanza di contatto fisico, vanno bene anche interazioni virtuali come le video call ?

Quali sono i progetti per il futuro?

Ho sempre immaginato la mia attività come un collettivo di persone che condividono passione e valori. Oggi questo obiettivo si sta lentamente concretizzando grazie all’arrivo di un primo collaboratore molto in gamba, Pietro Fanton. Insieme, stiamo lavorando per dare la possibilità a nuovi professionisti di entrare a far parte di questo mondo e contribuire ad ambienti di lavoro più piacevoli e performanti grazie al benessere delle persone. A breve sveleremo anche il nome della società ?

Il 2021 sarà per noi un anno di consolidamento e crescita, grazie alla collaborazione con alcuni clienti davvero in gamba e altri obiettivi importanti (un’altra Laurea Magistrale, di cui parlavo prima, ma anche la stesura di un libro per il quale sono stata contattata e l’inserimento di una terza figura). Abbiamo predisposto un piano strategico che ci guiderà nelle azioni, ma come sempre saremo pronti ad adattarci al mercato.

Paride Rossi