Intervista a Pablo Trincia: “Prediligo i podcast per fare inchiesta”

Il grande pubblico conosce Pablo Trincia per essere stato per anni un inviato de Le Iene e per aver collaborato con le trasmissioni Servizio pubblico e Announo su La 7, aver condotto sul Nove, LUPI – Limited Access Area una trasmissione che presenta reportage di vari giornalisti e con Valentina Petrini il programma Cacciatori. Di recente ha collaborato con la redazione di “Chi l’ha visto”.
Non solo televisione, però. Pablo Trincia è anche uno scrittore e un amante dei podcast che sono diventati il centro della sua vita professionale.
Alla 56esima edizione del Premio Estense è stato premiato per il libro “Veleno – Una storia vera” che è anche uno dei podcast seriali più scaricato negli ultimi anni.
Alla terza giornata del Catania Book Festival ha dialogato con il Direttore Simone Dei Pieri sul mondo delle inchieste raccontando aneddoti legati alla sua vita professionale e a “Veleno”.


Pablo Trincia a lei l’onore di aprire la terza giornata del Catania Book Festival, primo festival del libro catanese. Com’è trovarsi qui?
La Sicilia mi è sempre piaciuta tanto. È una delle mie regioni preferite, quindi ci vengo sempre molto volentieri.

Nell’incontro ha parlato di inchieste e di tutto ciò che ha una correlazione con le stesse. A livello di narrazione quanto è importante trovare il giusto compromesso tra l’oggetto del racconto e il mezzo da utilizzare per farlo?
Dipende da cosa uno sa fare. Io ho fatto per anni video. Ho toccato tutti i mezzi: la carta stampata, il video, l’audio. A me piace molto l’audio. Il podcast è la forma narrativa e giornalistica che prediligo perché ha tutta una serie di vantaggi. Non hai problemi di spazio: puoi raccontare senza limiti e non ci sono problemi di budget. È un’ottima via di mezzo. Ormai si ascolta con il telefono.

A proposito di podcast, non trova paradossale che in un periodo in cui si prediligono social come Tik Tok e Instagram a prevalenza video, i podcast stanno ritagliandosi un proprio ruolo tanto quanto la radio?
La narrazione orale è la più antica che esista. Ce l’abbiamo nel DNA. È la prima cosa che ascoltiamo quando siamo bambini. Ci raccontiamo un sacco di storie noi quando siamo a cena, con gli amici, al telefono. La narrazione orale fa parte della nostra vita 24h.
Oggi il fatto che si possa ascoltare sempre con un cellulare e delle cuffie ci permette di riempire la giornata o i tempi vuoti tra una cosa e l’altra. Quindi non mi stupisce. Ascoltare un podcast è come ascoltare qualcuno che ti sta raccontando una storia. Succede tutti i giorni.

Nell’ottobre 2017 ha realizzato “Veleno” la sua prima audio inchiesta a puntate in podcast che racconta il caso dei diavoli della Bassa modenese, un fatto di cronaca accaduto tra il 1997 e il 1998, al quale nel 2019 è seguito il libro “Veleno – Una storia vera”, edito da Einaudi. Perché ha deciso di raccontare il caso con un podcast?
Perché mi ero innamorato del mezzo. L’ho conosciuto nel 2015 quando è uscito “Serial”, il primo grande podcast americano. Ho pensato che volevo fare la stessa cosa ossia il primo podcast seriale, ma italiano. Ho trovato questa storia per caso, con una banale ricerca su Google. All’improvviso è saltata questa storia incredibile.


Qual è l’inchiesta che più ha inciso sulle sue scelte professionali e che è stata determinante per continuare a raccontare fatti di cronaca?
Credo sia la storia di “Veleno”. Mi ha condizionato moltissimo. L’ho seguita per anni. La sto continuando a seguire anche dopo aver fatto i podcast e aver scritto un libro. È la storia che è stata la linea di demarcazione nella mia vita professionale.

Il giornalismo d’inchiesta ha i suoi contro: il pericolo di trovarsi sottoscacco di minacce e ricatti e anche la possibilità di minare all’attività giudiziaria. Quali sono le regole che si dà quando affronta un’inchiesta?
Non mi tocca minimamente. Ognuno fa il suo lavoro nel suo campo. Siamo tutti indipendenti. Io non devo niente a nessuno e nessuno deve niente a me. Le regole che mi do dipendono dalla storia. Se ho certezza di quello che racconto sulla base delle mie indagini, vado direttamente a saperne di più.
In altri casi, cerco sempre di essere rispettoso, delicato, di entrare in punta di piedi e di essere giusto senza esagerare raccontando la verità per quello che è.

Distanziamento sociale ma vicinanza culturale. Qual è il suo libro sul comodino?
Sto leggendo “Green zone” di Rajiv Chandrasekaran ma perché sto lavorando ad un podcast seriale che parla di Iraq. Non sono un grande lettore, però, ma un grande ascoltatore. Ascolto tantissimi podcast.

Quale podcast sta ascoltando adesso?

Adesso sto ascoltando un post bellissimo “The Road tonight eleven” che racconta gli anni precedenti all’undici settembre. Mi piacciono i podcast di crime e le interviste one to one.

Quali sono i progetti futuri?
Continuare a fare podcast. Continuare a crescere nel mercato dell’audio e a raccontare storie approfondendo e prendendomi il tempo e dandolo a chi mi vuole seguire.

Sandy Sciuto