Intervista a Matteo Bruno: una vita ad amare documentari e un secondo per gridare “ciack, si gira!”

Matteo Bruno, conosciuto dal web con il nome di Cane Secco, apre il suo canale su YouTube nel 2007 all’età di 16 anni.
Appassionato di videomaking fin da piccolo, trova in YouTube l’occasione per sperimentare ed esplorare il mondo del video riuscendo a coinvolgere un gran numero di utenti, divenendo una delle figure di riferimento sul web per il settore del video.
Nel 2011 è uno dei creatori della web series evento ”Freaks! The Series”, e dal 2014 è tra i fondatori della Slim Dogs Production, società di produzione specializzata nella creazione di contenuti digitali.
Oggi Matteo Bruno si è lasciato importunare da noi di buon grado e ha avuto la voglia di rispondere a qualche quesito che ci ponevamo da tempo sulla sua persona. Curiosi?


Prima domanda secchissima: il tuo film preferito qual è? Raccontaci come ha fatto a rubarti il cuore!

Non è un film famoso per chissà quale regista, produzione o attori, però è grande parte della mia esistenza: il “Gigante di ferro”. E’ l’unico film in grado di farmi rimanere bambino. D’altronde è sogno di tutti i più piccoli (almeno il mio sicuramente) poter avere un gigante di ferro con cui poter giocare. Ho da poco appeso nella mia nuova casa la locandina di questo film che serve a ricordarmi di rimanere sempre un po’ bambino.

Quanto difficile è riportare e quindi riprodurre le immagini che ti crei in testa nel mondo reale? Riescono sempre come le avevi ideate?

Forse questa è una delle cose più strane del trasformare, quella che è la tua passione, in un lavoro. All’inizio, raccontare quello che è dentro la tua testa attraverso le immagini, non è detto che sia così semplice ed immediato. Il grande classico di chi inizia questo lavoro, è che in mente hai tutta un’immagine (tuoi colori, tuoi viaggi ed un personale contenuto), ma poi, realizzandola, diventa diversa. Quando, successivamente, tutto questo inizia a diventare veramente il tuo mestiere, impari a elaborare il tuo lavoro in immagini identiche a quelle che hai nella testa. Per quello che mi riguarda, è una cosa che tutt’ora sta succedendo, anche se è da dieci anni che faccio questo lavoro, e sono sicuro la strada sarà ancora lunga.

Forse non tutti si rendono conto di quanto lavoro ci sia dietro un cortometraggio: raccontacelo, riportandoci passo per passo gioie e dolori!

Il cortometraggio è una cosa strana: è come un film ma molto breve, il che lo porta a dover essere bellissimo e di impatto in poco tempo. In più, dietro la ripresa, esiste tutta la struttura che normalmente si vedrebbe in un film. Io, in realtà, più che essere appassionato di cortometraggi o avere il sogno di realizzare film, sono un amante dei documentari, sia da vedere che da girare. Ciò che mi appassiona così tanto è provare a raccontare, da un mio punto di vista, una storia reale, che non passi attraverso una sceneggiatura o un filtro di qualcuno che ne scriva da zero. A mio avviso però, i cortometraggi sono importantissimi all’inizio per chi si affaccia a questo mondo, proprio perché aiutano a capire come funziona il meccanismo del set, cosa voglia dire collaborare con altre persone e produrre qualcosa di bello tutti insieme.

Cane Secco e Slim Dogs: com’è nato questo progetto e dove vi ritroviamo dopo tutti questi anni?

Il progetto di fare video su YouTube con il nome di “Cane Secco” è nato 13 anni fa, quando ancora frequentavo il liceo. Visto che da sempre la mia passione era quella di girare video, mi mettevo a produrli senza però sapere come poterli mostrare ai miei amici. A quel punto ho scoperto di YouTube, una piattaforma dove si potevano pubblicare i propri video e condividerli tramite dei link (esattamente come oggi). Così ho iniziato a caricare i miei filmati. Negli anni è diventato un pilastro fondamentale per il mio lavoro, di cui mi servo ancora oggi per comunicare con tutte le persone che mi seguono.

Slim Dogs” è, invece, un progetto derivato più dall’aspetto lavorativo legato ai video. Sono un video maker da quando andavo al liceo e ad un certo punto mi sono accorto di essere arrivato a saturazione. All’epoca avevo troppi lavori per poterli fare da solo, ma soprattutto mi mancava il concetto di brainstorming. A quel punto mi sono deciso a creare un gruppo di lavoro che negli anni è cresciuto tantissimo. Siamo partiti in due, adesso siamo molti di più e tutto questo è bellissimo, soprattutto perché nel tempo siamo diventati una famiglia.

Se dovessi scegliere di collaborare con un solo regista, per un tuo prossimo progetto, chi sceglieresti?

Se potessi riesumare qualcuno dal passato, sarei molto curioso di vedere se da una collaborazione con Kubrick, possa nascere qualcosa di positivo o se, invece, questa opportunità possa solo essere un pretesto per picchiarlo. In particolare, se lo stare con lui sul set, mi possa provocare una voglia irrefrenabile di sparargli in faccia (cosa molto probabile) o meno. Una violenza però che va letta in maniera molto positiva. Sono affascinato da questo personaggio, che ha una sorta di “mania” al perfezionismo in tutti i suoi film. Oggi, potremmo identificare come un valido discepolo David Fincher, nei cui film tutto deve essere inquadrato dalla giusta angolazione e tutto deve trovarsi al posto giusto.

Un altro regista che stimo molto a livello di impatto visivo è Francesco Lettieri: riconoscerei un suo videoclip a colpo d’occhio.

A tuo parere, la realtà che normalmente vediamo sugli schermi, corrisponde sempre a verità o sono solo immagini fugaci di mondi immaginari?

Partiamo dal presupposto che, secondo me, tutto ciò che passa attraverso un obiettivo è comunque diverso dalla realtà. Per intenderci: per vedere il mondo reale si guarda fuori dalla finestra; già, se la stessa cosa la si inquadra con una macchina da presa, diventa filtrata. Sulla stessa macchina puoi addirittura decidere che obiettivo montarci sopra. La scelta di quest’ultimo, infatti, porta a focalizzarsi e stare attenti su determinate cose piuttosto che su altre.

Questa, per esempio, è una delle cose che mi affascina tantissimo del documentario, il quale è sempre borderline tra un “ti racconto la verità pura” e il “ti faccio vedere con i miei occhi”. In realtà, già solo il fatto che sia presente un regista dietro, fa intuire come l’immagine sia filtrata dalla sensibilità di quest’ultimo. In conclusione, ciò che viene raccontato attraverso lo schermo non è mai la verità assoluta, ma piuttosto un punto di vista sulla realtà.

Matteo Bruno riesce ancora a guardare film per divertirti o tende ad osservare più le inquadrature di scena che non la narrazione in sé, di ogni film che guarda?

Effettivamente è una malattia che piano piano ti entra dentro, ti scava e non ti abbandona più (ironicamente parlando). Per esempio, ho da poco visto Mindhunter di Fincher su Netflix: una serie che mi ha mandato completamente fuori di testa. Ne sono così sicuro perché c’è una cura del dettaglio delle inquadrature e un uso delle ottiche che è da folli geniali. Per esempio, in una scena con un dialogo tra tre persone, sono riuscito a contare ben 24 inquadrature diverse. Purtroppo ormai non riesco più a guardare niente senza collegarlo a ciò che faccio come lavoro. Però, se rivedo il tutto una seconda volta, sono in grado di distaccarmi completamente e tornare a godermelo come si deve: non da video maker ma finalmente come utente.

Progetti prossimi futuri dove ti vedranno diretto?

Spero verso i documentari: è una cosa su cui sto e stiamo lavorando da un pò e, un passettino alla volta, ci stiamo arrivando. Sono contentissimo soprattutto perché è un periodo in cui Netflix, Amazon Prime e Sky stanno investendo tantissimo in questo format. Io incrocio le dita e spero davvero tanto di riuscirci.

Alessia Cavallaro