Intervista a JeBel: “La mia musica è bisogno di essere ascoltato”

Di musica nuova non ne abbiamo mai abbastanza. È il momento di conoscere meglio l’universo di JeBel, nome d’arte di Gabriele Baglio. Cantautore classe ’97 che ha esordito con il singolo Come fai lo scorso 8 aprile, pezzo che ha all’attivo più di 26k streaming su Spotify, ed ha continuato a sorprenderci, poi, ad inizio estate con la sua Vienna. Accompagnato dalla label Pioggia Rossa Dischi, vive questo momento della sua carriera passando da una città all’altra per studio, lavoro ma soprattutto tanta musica.

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Non posso che iniziare questa intervista chiedendoti un po’ di background. In particolar modo il passaggio dal piccolo Gabriele che cantava in cameretta o inventava canzoni in piazza con gli amici a JeBel presente, oggi, con due pezzi che stanno facendo grandi numeri sulle piattaforme musicali. La tua passione come nasce e come si sviluppa nel tempo?

“La passione per la musica è nata in realtà più o meno contestualmente alla passione per la scrittura. In maniera sempre più chiara nel mio percorso di crescita mi sono reso conto che la scrittura è stata fondamentalmente la matrice di tutto. Ancora prima della musica, a me piaceva un sacco scrivere. Quando ero piccolissimo scrivevo racconti, poesie, poi è arriva la passione per la musica.

In realtà, viene da un’influenza molto vicina a me perché mio padre era un cantautore e quando ero molto piccolo, già all’età di cinque anni, ricordo che capitava che lui tornasse prima da lavoro – per molto tempo lui ha lavorato fuori e io lo vedevo spesso il fine settimana – ma quando capitava che avesse un po’ più di tempo ci chiudevamo in un salotto. Lui prendeva la sua chitarra acustica, una Marina bellissima che adesso mi ha passato come testimone che io tengo gelosissimamente, e mentre lui suonava io canticchiavo e scrivevo i miei testi.

Posso dire, col senno di poi, che la musica è stata una sorta di mezzo con cui manifestare il mio bisogno di scrivere.

La musica è diventata il mio strumento, il mio canale per dare una forma concreta a quello che scrivevo.  Non mi bastava solo scrivere prosa o roba in rima, ma mi piaceva l’idea di dare un corpo reale a quello che scrivevo. Il connubio spontaneo di queste due passioni è la sintesi del mio cantautorato”.

Ricordiamo, tra l’altro, che tu sei uno studente. Nonostante la tua emergente carriera musicale hai deciso di proseguire il percorso universitario. Questione di principio per portare a termine ciò che hai cominciato o punti ad altro? Magari ad unire un giorno i due percorsi.

“Non punto ad unire i due percorsi. Anzi, una delle robe che mi ha sempre convinto poco è l’idea di far comunicare troppo la mia vita artistica e quella reale, quella che possiamo definire ‘con i piedi per terra’. Se devo essere sincero, sì continuo a studiare, lavoro anche, però, per me è sempre stato un piano B. Da un lato, l’università la porto avanti perché non mi piace l’idea di lasciare le cose incompiute. L’ho fatto un sacco di volte nella mia vita e questa non è una di quelle cose che voglio lasciarmi dietro. Continuo per una mia necessità di avere un materasso sotto il trapezio.

La vita dell’artista è una vita appesa ad un filo sottilissimo, è un percorso non solo difficilissimo, lungo, complicato ed incerto ma anche instabile.

Tu puoi raggiungere la vetta e dopo pochissimo cadere di nuovo senza accorgertene. Onestamente ho sempre fatto in modo di avere una rete di sicurezza sotto, non tanto per paura, ma perché essendo molto ambizioso e pretenzioso nei confronti di me stesso, io so che non sopporterei l’idea di trovarmi domani a tirare le somme, decidere chiudere con la musica e non sapere cosa fare. Nel mio passato ho vissuto condizioni difficili sotto il punto di vista economico e so quanto sia frustante e non voglio riviverlo sulla mia pelle in prima persona. L’università per me è dunque quel voler fare di tutto per evitare che questo accada, il binario secondario su cui spostarmi che comunque mi piaccia e che mi dia una finestra di vita quanto meno soddisfacente”.

La radio, il teatro, la musica. Il mondo dello spettacolo ti appartiene a 360°, ma diciamo che sei emerso in quanto cantante solista in un momento storico un po’ delicato per tutti. Dove hai trovato il coraggio di lanciarti in quest’avventura con l’etichetta genovese Pioggia Rossa Dischi?

“È stato un insieme di varie cose. JeBel in quanto progetto è nato in un periodo complicato, pieno Covid, e sappiamo perfettamente quanto abbia intaccato, tra le altre cose, il settore dell’arte e dello spettacolo. Tuttavia, il progetto mette radici molto prima, cioè, io in fin dei conti faccio musica da sempre. Ho avuto diversi progetti, per un periodo della mia vita, infatti, ho fatto rap per circa cinque sei anni. Ho fatto la gavetta nel mondo dell’hip hop, underground, ho aperto concerti, ho fatto palchi. Subito dopo ho avuto un progetto con una band che non è durato tantissimo perché ci siamo tutti spostati per studio o lavoro.

Per questo JeBel è nato sì con la proposta di Pioggia Rossa Dischi, quando ci siamo incontrati, conosciuti ed innamorati, ma esisteva nella mia testa e un po’ nel pratico già da prima.

Io venivo da un periodo subito successivo al primo lockdown in cui, come penso moltissime persone, avevo toccato il fondo, vedevo tutto nero. Mi ero fatto tanta terra bruciata attorno, ma l’unica cosa che mi era rimasta era la musica. JeBel è quindi una rinascita per me, nato da un periodo in cui la musica l’avevo accantonata. Prima della quarantena, infatti, avevo deciso di metterla da parte perché non stavo raggiungendo gli obiettivi che mi ero prefissato. Poi per una serie di cose, nella sfortuna – il covid – la fortuna mi ha colpito. I periodi di malessere sono per me sempre periodi in cui tiro le somme e reagisco. Spesso ho proprio bisogno di stare male, perché questo mi porta una reazione, quindi mi porta a muovermi. Così, ho riaperto il cassetto in cui avevo chiuso il sogno musicale e ho ritrovato la musica e da lì è nato JeBel, i pezzi nuovi, quelli che ho mandato a Pioggia, i pezzi che loro hanno ascoltato prima di decidere di firmare il contratto con me, e i due pezzi che sono già usciti”.

I due brani che sino ad oggi abbiamo avuto modo di ascoltare sono – in ordine di uscita – Come fai e Vienna. Essendo tu un cantautore, c’è la tua esperienza di vita dietro entrambi i pezzi. Addirittura su Vienna dichiari che “è uno di quei pezzi che scrivi quando sei consapevole di star cantando sotto una doccia di malessere“. Ti chiedo, quindi, come fai a racchiudere nella tua musica le emozioni di un momento vissuto, di un ricordo intimo a cui ti aggrappi e renderlo, poi, così pubblico in musica. Credo che sia sempre interessante per chi ci legge e per chi ascolta le tue canzoni approfondire anche il processo creativo che vi è dietro.

“Come faccio a prendere qualcosa di tanto personale e renderlo pubblico? Tutto frutto del mio egocentrismo. Per me l’estro artistico nasce dal bisogno di attenzione. Io sento la necessità di essere ascoltato, che la gente senta quello che dico, sento e penso. Questo credo sia una forma di egocentrismo: è un voler stare al centro dell’attenzione, volersi sentire speciale, anche per soli due minuti e mezzo di canzone. Sapere che la gente sta ascoltando me, dà attenzione a quello che sto raccontando e che in fin dei conti ho vissuto. È un volersi sentire meritevole di attenzione.

Nel pratico, il mio processo creativo nasce quasi sempre dalla parte musicale.

Nel mio iter creativo quotidiano ho fissato due tipologie di processi: uno che coinvolge Giovanni Valenti, il mio braccio destro, che mi accompagna da tanto tempo. Ancora prima di JeBel, siamo amici stretti da una vita ed è il mio arrangiatore, chitarrista, produttore, tutto quello che c’è di musicale nei miei pezzi sicuramente è passato almeno in parte dalle mani di Nanni. L’altro, invece, è un processo che parte da me, più in solitaria, però in entrambi i casi il pezzo nasce sempre prima dalla musica. Costruisco le parole sopra la parte musicale, tendenzialmente, le parole mi vengono una volta che ho ben chiaro il mood, le emozioni, l’atmosfera che mi suggerisce la strumentale.

Un cambio di rotta rispetto al piccolo me, ma questo  perché per me è sempre stato tanto importante l’armonia tra le parole e la melodia attorno a queste. Ci sono dei pezzi di brano in cui una parola detta in un determinato momento dell’armonia sta meglio rispetto ad un altro momento. Questa cosa la avverti solo ascoltando le parole sulle musica”.

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Parliamo un po’ di generi musicali. Spazi da sonorità pop e urban in liriche autobiografiche al mondo R&B… ma ti piace essere racchiuso in un genere musicale o miri a sperimentare sempre di più? Se sì, le prossime uscite ci stupiranno?

“I generi che al momento si utilizzano per definirmi mi piacciono molto, ma non riesco ad identificarmi in un genere specifico. Addirittura all’inizio quando dovevo categorizzare Come fai in una piattaforma di distribuzione musicale è stato difficilissimo. Per me in primis è sempre stato difficile definirmi in un solo genere, e la mia storia lo racconta. Sono passat0 dal cantautorato puro – chitarra e voce – alla parentesi pop, rap, contaminazione hip hop.

Tendo sempre a fare robe diverse in momenti diversi della mia vita.

Quindi, preferisco la prospettiva di sperimentare tanto, ed effettivamente i pezzi che usciranno in seguito, questa cosa la riveleranno. Per adesso i due pezzi sono per certi versi diversi, ma anche simili: sonorità pop, ballabili, radiofonici, r&b… affini insomma. Molti pezzi che arriveranno sono altre robe, ad esempio uno che sarà super ‘zarro’ prodotto da Rachid, il mio manager, eppure mi piace l’idea di cambiare e andare verso generi inesplorati”.

Da Catania a Roma, passando per Genova, Milano e chissà quale altra città… come gestisci gli spostamenti, sono per te un ulteriore input creativo? E a proposito di giri per l’Italia, che rapporto hai, invece, con le origini?

“Gestisco male gli spostamenti, è un casino enorme. Ultimamente faccio davvero avanti e indietro tra le quattro città. A parte la stanchezza, però, ho sempre amato viaggiare. Mi ha sempre dato qualcosa l’idea di spostarmi tanto soprattutto per quanto riguarda l’ispirazione. Le occasioni di viaggio, quando mi sposto, nei mezzi, sono dei momenti in cui magari non scrivo, ma la mia mente sta interiorizzando dei concetti che poi sicuramente utilizzerò. Sono degli hotspot importanti i momenti di viaggio.

Questa cosa si rifà alla mia volontà sin da quando sono ragazzino di andarmene dalla mia città. Non ho mai voluto fare l’ipocrita su questo tema. Rispetto molto chi crede davvero nel concetto di legame con la propria terra di origine, ma al momento non fa parte di me. È lontano dalla mia filosofia, e chi mi conosce lo sa. Nel corso degli anni non ho mai stretto un legame reale con la terra in cui sono nato. Per questo motivo non è un qualcosa che porto nella mia musica. Non lo faccio perché non lo sento, sarebbe incoerente.

Potrei definirmi come “un senza radici”, una condizione che non mi dispiace perché mi fa sentire più libero.

Per esempio, non ho mai sentito realmente la sensazione di casa, questo mi aiuta a sentirmi spesso a casa in contesti che creo io. Sono un po’ cittadino del mondo. Ogni cosa, ovviamente, ha il suo rovescio della medaglia, il non sentirmi a casa in nessun luogo porta anche ad avere sconforto, fanno parte di quel bagaglio di malessere che porti addosso ma che fa comunque comodo anche quando devi scrivere”.

Vorrei approfondire con te, giovane ragazzo che studia nell’ambito della comunicazione e marketing, l’argomento dei social. Di sicuro sono per molti un punto di partenza e terreno fertile in cui far crescere il proprio orto step by step. Quanto sono importanti per te e che ruolo hanno avuto sino ad oggi per la tua musica? Dato che ti vediamo molto attivo e interessato anche ai pensieri di chi ti segue. Magari ecco possono essere un’ulteriore fonte di ispirazione.

“Ho sempre vissuto il mondo dei social un po’ combattuto. Da un lato ho spesso dei momenti in cui vorrei solo fare musica e basta. La realtà è che il social è un lato importante della figura dell’artista, banalmente, perché fa proprio parte dell’artista contemporaneo. Anche perché l’interazione con il pubblico è cambiata tanto, soprattutto nel settore musica. È molto complicato ad oggi interfacciarsi con il pubblico senza avere una piattaforma social su cui riversare l’altro lato della tua vita. La gente sente tanto il bisogno di compartecipare all’arte e c’è tanta voglia da parte del pubblico di sentirsi vicino all’artista che segue. Questo ti porta ad essere in un certo senso quasi obbligato ad essere attivo sui social se vuoi fare interessare le persone a te, per far seguire la tua musica.

A me non viene complicatissimo per i motivi che ho spiegato sopra, il mio egocentrismo non mi fa pesare l’essere presente sui social. Ho chiaramente i mie momenti no, ma questi sono legati a momenti della mia giornata in cui non mi piaccio per niente. La mia bassa autostima mi porta a trascurare i social perché vorrei farmi vedere solo quando mi piaccio e questo capita rare volte. A volte lo fai lo stesso se è un periodo di uscite, di annunci, è giusto mantenere l’attenzione. In ogni modo io ritengo che gli artisti non dovrebbero sentirsi obbligati ad essere sempre presenti in un determinato modo sui social per poter arrivare da qualche parte con la musica. Però contemporaneamente dall’altro lato è vero anche che le esigenze di una gran parte di pubblico sono cambiate ed è giusto anche che tu dia al pubblico tanto quando lui dà a te”.

Cos’è che non ti piace, invece, dell’ambiente musicale che ti circonda?

“Non mi piace la tendenza che sta prendendo sempre più piede di sfidare un po’ troppo i limiti. La voglia di hype, attenzione, che ripeto comprendo, ma non mi piace il fatto che adesso molto facilmente il prezzo da pagare per questa voglia stia diventando sempre più caro. E si stiano vendendo sempre più facilmente delle cose che dovrebbero essere più limitate. Non parlo di etica, perché è molto relativa, però, a volte parlo di legalità. Quando una persona per dare credibilità al suo personaggio artistico, per raccogliere consensi arriva con naturalezza a commettere gesti – sui social ad esempio cyberbullismo – o violenza fisica, minacce, body shaming, a me non piace. Se sei, poi, una persona a cui non appartengono valori quali ad esempio la body positivity, perché parlarne nelle tue canzoni se poi sui social dimostri – con poca furbizia – ben altro? Farsi portavoce di certi valori solo per consenso, ecco cos’è orribile per me. Mi dà fastidio che queste cose passino in sordina, la gente se accorge ma poi passa. C’è poca attenzione, anzi si dà molta più importanza alla plastica con cui si confeziona il tutto tralasciando completamente tutto il contenuto della confezione. Capisco quanto conti l’immagine, ma onestamente ad oggi non comprendo come certi personaggi, certe scelte vengano non condannate o sottovalutate”.

Che bello poterti chiedere, infine, quali sono i prossimi eventi in programma, live e soprattutto quando il prossimo pezzo da aggiungere alle nostre playlist?

“Prossimo pezzo? Non abbiamo una data ma conto che a fine estate uscirà qualcosa, nel frattempo divertitevi ancora con Vienna e Come fai, che oltretutto stanno ricevendo dei risultati bellissimi e non me l’aspettavo. Per le prossime uscite, quindi, probabilmente intorno a settembre. Invece, per i live l’appuntamento principale è il 26 luglio al Balena Festival sul palco dell’Arena del Mare a Genova, sarò in apertura ai Pinguini Tattici Nucleari. L’evento è sold out, però, magari si può ancora provare a trovare dei biglietti disponibili. Ci sono altre date in cantiere che dovremmo annunciare a breve. Per esempio venerdì 15 luglio sarò a Roma all’Impact Hub, e il giorno dopo, sabato 16 luglio a Bologna, al Covo“.

E tu quanto sei gasato?

“Un botto. Il 26 sarà una bellissima data, 5000 biglietti venduti, palco figata, e poi apertura l’apertura ai Pinguini non è una cosa da poco, sono davvero felice. Una bella prova, anche perché sarà la prima data full band. Non sarò in acustico, faremo uno show figo e poi ho tanta voglia di suonare. Da un sacco di tempo non si calcano come si deve i palchi anche se ho ripreso il rapporto con il pubblico, ancora non ne ho per niente abbastanza”.

Ultimissima: Cosa vorrebbe dire JeBel a Gabriele ad oggi?

“Alzati”.

Giulia Grasso