Crediti: Catania Book Festival

Intervista a Alessandro Cecchi Paone: “Covid segreto è il mio nuovo libro”

Di Marcello Mazzari e Sandy Sciuto

L’onore e l’onere di aprire la prima edizione del Catania Book Festival, il primo festival del libro catanese, sono stati dati ad Alessandro Cecchi Paone.

Il noto giornalista, conduttore televisivo, divulgatore scientifico, saggista e accademico italiano ha inaugurato l’inizio del Festival e in seguito, nella cornice dell’Istituto Ardizzone Gioeni di Catania, ha discusso con il Direttore del Festival Simone Dei Pieri di storia, social media e covid, intrattenendo i presenti tra riflessioni e domande su cosa è stato e su cosa ci aspetterà.

A lei è stato dato l’onore di aprire il Catania Book Festival. Quanto è fondamentale riportare al centro di una città la cultura e i libri?

La domanda è bellissima perché quando diciamo centro effettivamente siamo nel cuore di Via Etnea. È molto importante perché stanno chiudendo tutte le librerie e quindi creare, anche se per qualche giorno, un luogo fisico dove trovare dei libri, parlare di libri o conoscere chi li scrive e chi ama leggerli è diventata quasi una benemerenza di tipo sociale.

Già questo indica perché il festival ha tutto il mio appoggio sin da quando mi fu proposto prima del lockdown. E poi perché gli organizzatori, essendo giovani, hanno capito che bisogna non solo inserire nuovi argomenti, che di solito non fanno parte della programmazione di festival editoriali, ma anche di nuovi protagonisti.

A proposito di cultura e divulgazione, al Catania Book Festival è stato protagonista dell’incontro “La Macchina del Tempo è elettrica? Storia e divulgazione ai tempi dei social media”. La fruizione dei social media può oggi essere una risorsa o una minaccia per apprendere?

Innanzitutto è un dato di fatto e chi pensa di poter scegliere commette un grandissimo errore. Come se qualcuno dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg avesse deciso di continuare a non leggere e a non scrivere. Non si tratta di scegliere, ma siamo nel cuore di una rivoluzione già molto avanzata che ha cambiato non solo la tecnica della diffusione della comunicazione, ma della sua stessa concezione e manifestazione.

Le neuroscienze hanno dimostrato come i nativi digitali, oltre a non vedere più la televisione generalista, hanno processi cognitivi cerebrali completamente diversi da chi è più grande, ma addirittura attivano aree del cervello che prima rimanevano non utilizzate. Cambia proprio il cervello.

Quali sono le soluzioni per rendere ottimale l’uso dei social non solo per divertimento?

Secondo me succede da sé perché i social non saranno più un’alternativa alla televisione e alla radio, ma come insegno ai miei studenti in varie università, la legge della comunicazione è la convergenza per cui tutto converge nel digitale e tutto sarà digitale.

Quale ruolo oggi viene dato al senso del culto della memoria e all’importanza della storia anche alla luce dello stato di emergenza che stiamo vivendo?

Molto poco perché esiste nel cambiamento antropologico culturale in atto il culto del presente e dell’immanenza. Mi rifiuto di dare giudizi. Sono uno scienziato della comunicazione quindi prendo atto, studio e cerco di capire. Le nuove generazioni vivono nell’assoluta quotidianità.

Il passato è nelle mani delle vecchie generazioni che lo celebrano secondo me nel peggiore dei modi e cioè nel rimpianto, nella nostalgia e nella revisione falsata perché questo approccio lo danneggia e non lo rispetta per quello che effettivamente è stato.

Quello che resta da capire e che più mi interessa è la concezione di futuro. In Italia, in particolare, non si pensa al futuro in termini astratti né in termini concreti. Non è attrezzato per il futuro perché non ha neppure la banda larga a differenza di tutto il mondo. Questa assenza di futuro mi preoccupa di più.

E’ spesso ospite dei vari salotti televisivi: da Barbara D’Urso a Lilli Gruber. Come gestisce le critiche degli haters che le additano di fare trash?

Non li leggo nemmeno. Non è una scelta andare o non andare. Se oggi uno vuol fare televisione, non ha alternative nel senso che negli ultimi anni, come avevo previsto, editori e direttori di tutte le televisioni hanno totalmente cancellato i programmi di approfondimento per cui per esprimere il proprio parere, per fornire informazioni e per difendere posizioni e valori o si va lì o si rinunzia.

Se esistesse un’alternativa, io continuerei a fare “La macchina del tempo”, “Appuntamento con la storia” e tanti altri colleghi continuerebbero a fare programmi d’inchiesta e di approfondimento negli altri settori. Oggi tutto è soltanto talk show: rapido, spesso contraddittorio nel senso che lo si cerca ma per arrivare allo scontro e fanno tutti lo stesso programma.

Dirai: lo critichi, perché ci vai? Perché è il mio lavoro, ho delle cose da dire e ho dei valori da difendere. Non sono io che scelgo perché se potessi farlo, su dieci canali che abbiamo uno lo dedicherei a delle cose un po’ più solide, ma nessuno ha protestato per questa deriva e non posso certo raddrizzare le cose da solo. Finchè ci sarà la possibilità vado e faccio il mio mestiere in maniera diversa perché è l’unico modo che mi è concesso.

Parlando di divulgazione e di social, quale deve essere il ruolo dell’istruzione anche alla luce della recente notizia relativa a Google che farà partire dei corsi di laurea della durata di sei mesi?

Sono un professore da quindici anni. Questo mi permette di dire che è  un’esperienza meravigliosa. Se si fa come si dovrebbe, non solo si insegna ma si apprende tantissimo dagli allievi.

La mia disponibilità nei confronti del mondo digitale nasce proprio dalla mia capacità di ascolto e di assorbimento della vita delle nuove generazioni e del modo di essere delle nuove generazioni.

Proprio per questo vedo i difetti e i ritardi, la grande rivoluzione in atto ha dato questo primo segnale della proposta di Google che secondo me è l’inizio per un nuovo modo di insegnare e di apprendere.

Il mondo digitale richiede una formazione continua, quindi non ha senso mettersi lì con un corso di laurea di cinque anni perché talmente è e sarà veloce il cambiamento delle conoscenze che sono soprattutto scientifiche e tecnologiche.

Quando sento tantissimi diciottenni, probabilmente condizionati dai genitori, dirmi che si iscrivono in Giurisprudenza io mi sento morire perché non faranno nulla nella loro vita. A meno che non si metteranno a studiare diritto del web o tutela della proprietà intellettuale su internet. Se non si adatta il piano di studi alle nuove esigenze, non ha senso.

C’è un nuovo modo di insegnare e di apprendere, ma soprattutto non esiste più la fine di un percorso di studi perché tutti dobbiamo continuamente aggiornarci e dobbiamo farlo per tutta la vita.

Quali sono i prossimi progetti in agenda?

Oltre la presenza quotidiana sui vari canali proprio per cercare di fare il divulgatore medico scientifico, visto quello che stiamo attraversando, ho scritto un libro dal titolo “Covid segreto – Quello che non sapete sulla pandemia” che esce tra una settimana per l’edizione del Fatto Quotidiano così arriva in edicola, in libreria e su internet. Ho scelto come co – autore il Vice Ministro della salute Sileri perché non è un uomo politico, ma un grande medico che ha studiato in America e in Inghilterra e insegna come professore associato Chirurgia generale al “San Raffaele di Milano. quindi Era il partner più giusto per provare a chiarire cosa è successo e cosa succederà.

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