Informazione e comunicazione: storia di una difficile convivenza

Di Erminia Lorito, Giulia Testa e Marco Salvadego per Social Up!

In un mondo in cui la comunicazione è considerata uno dei bisogni primari dell’uomo, una sorta di necessità vitale per trasferire, alimentare e scambiare informazioni o messaggi di vario tipo, ci si è resi conto di conseguenza che il suo approdo all’interno delle società democratiche e contemporanee ha fatto sì che ne diventasse quasi l’essenza, creando così una sorta di legame inscindibile con l’intera collettività. Ne deriva perciò che la comunicazione e l’informazione sono estremamente connesse tra loro, ma la questione non è così semplice e vi spieghiamo come mai.

Comunicare

Innanzitutto occorre precisare che c’è differenza tra informare e comunicare. Se partiamo dal presupposto che l’informazione è un servizio che risponde al bisogno del pubblico di conoscere ed è prodotta in base a un criterio di razionalità, e che la comunicazione serve invece a trasmettere messaggi, a negoziare una visione della realtà a cui è poi possibile associare un significato soggettivo, capite bene che immaginare che possa esserci un’ equivalenza tra le due cose risulta difficile. Se consideriamo poi che l’informazione teoricamente è fatta da giornalisti, la comunicazione può essere fatta da chiunque, dalle aziende per valorizzare la propria attività mediante la pubblicità e persino dai politici che, attraverso le loro belle parole, cercando di fare il proprio lavoro e ottenendo un risultato simile a quello che un incantatore professionista raggiunge su di un serpente a sonagli. Per rendere il tutto più semplice, pensate un po’ a due treni che, seppur viaggiando parallelamente, sono destinati a non incontrarsi mai ma, se questo dovesse accadere, si rischierebbe di assistere ad una vera e propria collisione o onda d’urto, o come volete chiamarla, che indurrebbe a confondere le due attività e a far sì che entrambe perdano la loro credibilità generando il problema dell’obiettività del giornalismo che, da anni, si cerca di combattere seppur con scarsi risultati.

Giornalisti a lavoro

Ma al giorno d’oggi è effettivamente possibile ricercare l’obiettività nel giornalismo? Come si fa a descrivere la realtà così come si presenta e non come vorresti che fosse? Questo implicherebbe in un certo senso che i giornalisti si rassegnino a divenire semplici strumenti delle fonti e meri destinatari passivi delle notizie. Proviamo a ragionare sugli ultimi avvenimenti che hanno interessato l’opinione pubblica, partiamo dalla fine per andare un po’ a ritroso quindi il terremoto che ha colpito il centro Italia, la strage di Nizza, lo scontro dei due treni in Puglia. Alla luce dei fatti è emerso un atteggiamento partecipativo al dolore da parte dell’intero mondo dell’informazione. Se per puro caso si fosse trattato del giorno in cui la nazionale di calcio avesse vinto la partita di turno, i giornali avrebbero riportato i fatti con lo stesso calore dei tifosi che leggono le pagine sportive. Ad ogni modo tutto sarebbe più semplice se il giornalista partisse concentrandosi sul proprio senso di responsabilità e cercasse di capire per chi effettivamente sta svolgendo il proprio lavoro, starete pensando quasi tutti.

NoHate_03

Ebbene il giornalista o chi si occupa di informazione nel momento in cui si trova a dover comunicare notizie alla collettività sarà inevitabilmente vittima della sua stessa formazione, delle sue credenze, della sua visione del mondo. L’imparzialità assoluta risulta quasi un miraggio. Questo però non impedisce al giornalista di decidere, nel comunicare l’informazione, se dare alla collettività che ha di fronte quello che essa stessa vuole (la visione di cultura che quella determinata società richiede a causa delle sue credenze e dei suoi costumi), oppure seguire una visione critica dei fatti esponendo la propria opinione, selezionando tra i fatti e tra i possibili modi di comunicare quelli che secondo la propria sensibilità “sono più utili” alla collettività (naturalmente sempre seguendo un modello il più imparziale possibile). Ed ecco che subentra il legame tra cultura e informazione. Ultimamente stiamo assistendo al proliferare di una informazione più attenta a quello che la gente vuole sentirsi dire, rispetto a quello che ha bisogno di sentirsi dire. Dimostrazioni di questo tipo sono dati dal giornalismo che fomenta l’hate speech, spesso a sfondo razziale o sessista che, in base a interpretazioni dettate dal pregiudizio, danno in pasto alla popolazione ciò che vuole.

Internet influence

Ma non è finita qui. Che ne è dell’influenza di Internet e dei Social? Immaginiamo il mondo dell’informazione come l’oceano. Al giorno d’oggi sfugge ad ogni controllo, valica ogni mezzo di comunicazione, travolge e affoga chi non sa nuotarci dentro; le correnti di opinioni e cronaca arrivano da ogni parte, si scontrano o si amalgamano per crearne una più grossa. Trovare quello di cui si ha bisogno equivale a lanciare un amo in acqua e cercare di pescare fuori la notizia giusta, più pertinente o accurata. Ci sono, ovviamente, pesci che possono essere trovati solo in determinate zone o a determinate profondità. Così, la premessa per ottenere la risposta ricercata è sapere chi o cosa interrogare, ovvero sapere da che fonte attingere. Una volta che si entra nell’area interessata, l’ignaro curioso non è più il pescatore, ma il pesce. Da questo punto in poi, deve stare attento a che esca abboccare: qualsiasi di queste lo porterà fuori dall’acqua, ma alcune lo squarceranno nella risalita o ne perderanno la presa, mentre bisogna ricercare quell’esca che lo faccia inizialmente dimenare per la sorpresa e poi cedere sul colpo, soddisfatto del responso. Questa fantasiosa metafora naturalistica delinea cosa sta succedendo in un mondo sovraccaricato di informazioni.

Testate giornali

La rivoluzione è iniziata quando, per una serie di motivi contingenti, quasi ogni essere umano occidentale è stato dotato di fotocamera e internet nello stesso dispositivo tascabile. Nessuno deve più rincorrere una notizia, è questa ad essere l’inseguitrice. Non è infatti difficile notare quanto tutto ciò sia un’arma a doppio taglio: tutti sono fruitori, tutti sono autori e tutto può essere detto.

La sfida della società dei mass media non è più esaminare le questioni nel modo migliore (perché sembra che anche un non professionista possa farlo, ormai), ma porle nel modo più accattivante secondo il target che si vuole colpire, ovvero scegliere l’esca giusta. Questa procedura parte dalla creazione di titoli, i quali spesso omettono passaggi logici e pare dicano tutt’altro, in una tendenza all’estremizzazione, in modo da convincere il lettore ad aprire l’articolo. Anche questo è un risultato della tecnologia, dove fisicamente il titolo precede la pagina dell’articolo (da aprirsi in nuova scheda ad un click) e si impigrisce il pubblico a esprimere la propria opinione o farsene una solo leggendo una riga in grassetto. Funziona molto bene con le notizie di gossip, dove il contenuto vero muore a discapito del lampo scandalistico. La sfida numero due, quindi, grava sul lettore, che deve dimostrare di avere abilità nel discernere per prima cosa la verità dalla menzogna, e in secondo luogo ciò che palesemente è lì per far notizia e la notizia vera e propria.

Dietro gli articoli di un giornale c’è un essere umano che sa giocare con le parole e declinare il linguaggio in base a quali tasti dolenti toccare: anche questo fatto merita consapevolezza, e cioè che una frase può essere d’impatto, ma non sempre vera. L’avvento del web e la sua disponibilità ha fatto crescere in modo esponenziale la competizione tra testate giornalistiche (ora anche online) in cui ognuna cerca di lanciare l’esca migliore. Il fruitore deve stare attento a non afferrare quella avvelenata.