Rappresentato l’8 marzo al Teatro Abc di Catania, per la stagione teatrale del Teatro Brancati, “Il casellante” è l’adattamento teatrale dell’omonimo romanzo di Andrea Camilleri, trasposizione realizzata dallo scrittore siciliano, assieme al regista Giuseppe Dipasquale.
Ambientata in Sicilia negli anni 40′, durante il periodo fascista, l’opera racconta la vita del giovane Nino (Mario Incudine), provetto suonatore di mandolino e casellante della linea ferroviaria che collega Vigata a Castelvetrano. Trasferitosi con la moglie Minica (Valeria Contadino), in una casa vicina al casello, pur essendo stato esentato dalla guerra dopo aver perso due dita in un incidente sul lavoro, (il che lo ha portato appunto a ricoprire il ruolo di casellante) Nino non è affatto lontano dal conflitto. Il casello, infatti, è bersaglio continuo degli attacchi aerei, tanto che i soldati hanno cominciato a costruire un bunker attorno alla linea ferroviaria per poter contrastare la minaccia. Al pericolo di incursioni contro la ferrovia si aggiunge presto il timore per i soldati, che spesso, anche durante l’assenza di Nino, quando questi bada al casello, bussano alla porta di Minica per avere acqua e cibo. Una situazione sgradevole, soprattutto per il rischio cui va incontro la donna, spesso sola in casa.
Attraverso uno stile teatrale composito che unisce un musical siciliano d’intrattenimento al dramma a tinte forti il regista Dipasquale riproduce sulla scena i personaggi di Camilleri, i quali si esprimono nel peculiare linguaggio creato dallo scrittore siciliano. Se nel primo atto prevale la commedia e si raccontano attraverso brani musicali cantati e suonati dal vivo dagli attori (con mandolino, fisarmonica e chitarra), gli svaghi, le aspirazioni e le dinamiche di paese di cui il protagonista Nino e sua moglie fanno parte; nel secondo tempo la vicenda assume connotati ben diversi di violenza, orrore e dramma. Il registro cambia radicalmente.
La vita tutto sommato spensierata di Nino, fatta di canzoni, serenate e di sogni di paternità, verrà soffocata, infatti, dal caos della guerra, nel quale anche i più insospettabili possono macchiarsi di crimini atroci. Così ne “Il casellante” i ruoli vengono spesso sovvertiti: la mafia diventa quasi un rifugio contro l’indifferenza delle istituzioni e i pericoli maggiori non vengono dai bombardamenti o dai soldati, ma dalla gente del luogo. Alla crudeltà si risponde con altra crudeltà, fino al paradosso per cui sono proprio la guerra e la morte da essa provocata a dare a Minica e Nino un ultima speranza inattesa, quando la follia e la disperazione sembravano averli del tutto avvinti.
Attraverso musica dal vivo con bei brani, eseguiti da Mario Incudine (Nino) e Giampaolo Romania (compare di Nino), e una scenografia che in un unico ambiente ricrea i principali luoghi del paese (il casello, il barbiere, la casa di Nino) la regia descrive ad episodi la vita del casellante e di sua moglie, sullo sfondo di una Sicilia fascista, intollerante a qualsiasi forma espressiva diversa da quella di regime, perfino alla musica. E’ l’attore Moni Ovadia a fare da raccordo narrativo dei singoli episodi: egli oltre ad essere voce narrante, infatti, interpreta molti personaggi, tra cui la mammana del paese e il cavaliere fascista locale, che legano tra loro le singole vicende di Nino. La parte più intensa dello spettacolo è quella finale, in cui il trauma della perdita e dell’infertilità di Minica viene rappresentato attraverso l’efficace e suggestiva isteria simbolica del diventare albero.