Il guardiano invisibile: un serial killer nell’estremo nord della Spagna

Non mancano spunti interessanti  nel nuovo film in esclusiva Netflix “Il guardiano invisibile” del regista spagnolo Fernando Gonzales Molina, tratto dall’omonimo romanzo di Dolores Redondo.

Attraverso un thriller-poliziesco, in cui non mancano suggestioni horror, viene raccontata la serrata caccia ad uno spietato serial killer, che rapisce giovani ragazzine, appena entrate nell’età adolescenziale, i cui cadaveri vengono ritrovati nei boschi al ridosso dell’autostrada. Il complesso rituale messo in piedi dall’omicida prevede che le vittime, dopo essere state strangolate con una corda, siano pulite, denudate e pettinate, per poi essere posizionate a ridosso di ruscelli, nelle profondità dei boschi. Un dolce tipico della regione (siamo nel all’estremo nord della Spagna, al confine tra i Paesi Baschi e la Navarra) viene ritrovato puntualmente vicino ai loro corpi.

L’aspetto del serial killer è sconosciuto, così  come la motivazione che lo spinge ad uccidere con sempre maggior frequenza, alimentando il terrore delle famiglie in tutta la regione, preoccupate per la sicurezza delle proprie figlie. Esclusa la motivazione sessuale –  nessuna delle vittime riporta violenza carnale di alcun tipo – il crimine sembra piuttosto legato a qualche rito di purificazione… Data la rilevanza della minaccia, il caso viene affidato ad Amaia Salazar, ex FBI, e attuale capo della squadra  Omicidi della Policía Foral de Navarra. La donna, di grande intuito e professionalità, è costretta, per proseguire le indagini, a ritornare nel suo paese d’orgine, Elizondo, luogo in cui sono state ritrovate le ultime vittime del serial killer. E’ proprio in questo paesino a ridosso dei boschi che Amaia ha vissuto la sua terribile infanzia. L’indagine la porterà a rievocare i traumi del passato e ad affrontare una volta per tutte i suoi demoni interiori. Assieme ad essi dovrà scoprire l’identità dello sfuggente assassino, che non smette di uccidere e agisce indisturbato nell’ombra. In molti lo hanno soprannominato Basajaun, nome di una creatura mitologica della tradizione basca, per la sua capacità  di dileguarsi  all’interno dei boschi senza lasciare traccia. E’ davvero di un essere umano? O si tratta del “Guardiano Invisibile”dei boschi come nella leggenda?

La prima cosa che colpisce del film di Molina sono senz’altro le ambientazioni. La pioggia incessante della regione basca in cui è ambientata la vicenda, rappresenta fin da subito uno scenario da incubo per la detective, così come i boschi labirintici in cui si consumano i delitti del serial killer. A tutto questo si aggiungono gli intrighi del paese di Elizondo, che tracciano un quadro di promiscuità e depravazione, le superstizioni del luogo, le memorie sofferte della protagonista che emergono con prepotenza, nonostante la donna sia sempre stata convinta di poterle controllare e cancellare.

L’atmosfera noir è resa in modo convincente dal regista, che con abilità costruisce un reticolo di tensione attorno alla protagonista, ben interpretata da Marta Etrura. Interessante anche l’aria “stregonesca” che si respira nei luoghi cupi e piovosi in cui si svolge l’indagine, incarnata anche da alcuni personaggi come la zia di Amaia, una donna molto legata alle credenze magiche della sua terra. La trama, abbastanza ben strutturata nella prima parte, in cui si svolgono le investigazioni per delimitare il campo delle indagini, non manca di qualche ingenuità nel finale: soprattutto qualche punto poco chiaro o discutibile. Il deus ex machina sovrannaturale, che permette la svolta decisiva del caso non è ad esempio credibilissimo e poteva essere meglio realizzato. Si tratta di elementi che comunque non sono in grado, da soli,  di invalidare il film che mantiene fino al termine, buoni livelli di suspance.

Durante la visione della pellicola viene  in mente il confronto con un altro poliziesco spagnolo, molto riuscito: “La isla minima” di Rodrigez. Anche questo è un noir, più torbido, violento e claustrofobico del “Guardiano invisibile”, oltre che visivamente e concettualmente più potente e incisivo. Ambientati entrambi in zone isolate della Spagna (il primo a sud, lungo il Guadalquivir, il secondo nell’estremo nord, nelle regione basche), denunciano senza dubbio la promiscuità e la chiusura di queste piccole comunità, che diventano presto soffocanti e sono teatro di violenze aberranti, commesse soprattutto contro giovani ragazze, che in ambedue i film, sono le vittime preferite degli spietati assassini a cui si da la caccia. Anche per Amaia, come per le vittime del “mostro” di “La isla Minima” non è mai veramente possibile lasciare il paese d’origine o dimenticarlo. Le radici sembrano affossare, più che fortificare, imprigionare, più che essere di sostegno. Comune ai due film poi la componente magica, fatta di presagi e visioni, che assillano i protagonisti, giocando con le loro paure e i loro inconfessabili demoni.

Francesco Bellia