Non ricordo esattamente quale fu la mia primissima trousse. Ricordo che, a un certo punto non meglio identificato della mia vita da bambina, ne spuntò una in casa. Non ricordo se la chiesi io, se me la regalarono né quando. Ricordo che ero piccola, potevo ancora contare i miei anni sulla punta delle dita di una mano, e in casa mi si materializzò la trousse. Quella plasticosa, con il retro rosa e la copertina di plastica trasparente, i gloss rosa, rossi e arancioni cementificati nelle rispettive cia
ldine, gli ombretti improponibili (di solito viola, blu e verdi) e glitterati e i due rossettini (uno chiaro e uno più scuro) impilati l’uno sull’altro, l’unico pennellino (sempre rosa).
Quando ero bambina, non amavo truccarmi. In realtà, non amavo nulla che fosse rosa, glitterato o anche vagamente femminile. Preferivo i Biker Mice a Sailor Moon e Action Man alle Barbie.
No, sul serio, perché preferire un eroe con lo smoking che combatte lanciando rose ai nemici a un topo mutante palestrato e tatuato che guida una Harley Davidson e si chiama Pistone?
Non ricordo bene quando iniziai a truccarmi.
Ero troppo grande per continuare a leggere il giornalino di Barbie (sì, lo so che poche righe fa ho detto che schifavo tutto ciò che avesse a che vedere con la bambola e il suo universo rosa, ma il giornalino era una specie di fumetto e io adoravo i fumetti. Poi c’erano sempre in mezzo storie con animali e quindi ne andavo matta); troppo piccola per il Cioè. Ricordo che ero in edicola con mamma (nell’epoca pre-internet, trovare uno svago per trascorrere i pomeriggi era d’obbligo), ricordo che cercavo una via di mezzo tra Barbie e Cioè, un ibrido tra il mondo dei piccoli che mi stavo lasciando alle spalle e quello dei grandi che mi accingevo a conoscere.
Trovai una rivista, I Segreti di Sabrina, ispirata alla serie tv Sabrina, Vita da Strega, che nemmeno guardavo. Mi attirava il fatto che, col giornale, davano in omaggio dei trucchi, uno a settimana.
Comprai la rivista e iniziai a sfogliarla che ero ancora in auto con mamma. Non ricordo quale fosse il trucco in omaggio. Penso un gloss.
Nella rivista c’erano i tipici product placement camuffati da test della personalità (cosa molto anni ’90, inizio 2000), curiosità sui personaggi della serie, oroscopo e una primordiale forma di pictorial (tutorial spiegati con immagini e foto illustrative) in cui veniva spiegato come utilizzare il prodotto in omaggio, come realizzare trucchi semplici e come realizzare in casa prodotti per la cura del corpo (maschere, creme, scrub e cose così). È stato questo il mio primo approccio “serio” al mondo del make up. Le settimane passavano e la mia collezione cresceva, tra rossetti, ombretti, smalti, glitter per il corpo e cose simili.
Ogni tanto, mi truccavo per andare a scuola. Sì, lo so che ero piccolina, lo so che non si fa eccetera, ma mi divertiva un mondo farlo. Non c’era malizia, non c’era narcisismo. Per me era come disegnare e portare in giro, nel posto più visibile, la mia opera. Mi piaceva cambiare un po’, mi piaceva che le mie compagne mi ammirassero, mi piaceva che mi chiedessero come avessi realizzato questa o quella sfumatura.
A quell’età -frequentavo ancora le elementari- ero vittima di bullismo. I miei compagni mi prendevano in giro perché ero la più bassa della classe, perché avevo i capelli lunghissimi e rossastri. In realtà, la mia unica colpa era quella di essere la saputella della classe. Mi davano nomignoli crudeli, le bambine mi isolavano, i bambini mi picchiavano. Non era raro per me tornare a casa con un graffio, una gomma da masticare nei capelli o un occhio pesto. È così che ho imparato a usare i correttori. Mettermi un burrocacao colorato, un mascara trasparente o un ombretto rosa per me diventò più di un gioco innocente. Per me era diventato come indossare una maschera che mi rendeva invincibile, come quella dei supereroi che tanto amavo (e amo ancora). Mi sentivo più forte e libera, e allora anche le prese in giro, anche gli sfottò e le cattiverie dei compagni facevano meno male.
Sopraggiunta l’adolescenza, riposi nei cassetti tutti i trucchi. Decisi che avrei smesso per sempre, che non mi sarei più truccata, che tutti avrebbero dovuto avere a che fare con la mia “vera” faccia. Quella coi brufoli, quella con le occhiaie e le imperfezioni. Col senno di poi, posso affermare con sicurezza di aver scelto il periodo peggiore per smettere di truccarmi, dati gli sbalzi ormonali tipici dell’età che mi portarono una leggera acne della quale mi vergognavo da morire. Però ero io. E davvero non capivo, non concepivo il continuo ripassarsi cipria, blush e rossetti delle mie compagne di liceo. Davvero, a cosa serve essere belle e opache mentre si segue algebra?
Poi, un giorno come tanti, uno dei primi giorni di connessione ADSL stabile, inciampai in uno dei tanti video tutorial che allora stavano iniziando a diffondersi. Era Cliomakeup, la prima guru italiana ad aver avuto successo con questo tipo dei video. Mi si riaccese la scintilla. Recuperai dei vecchi trucchi di mia madre, presumibilmente scaduti da qualche lustro. Con mezzi di fortuna, provai a riprodurre il trucco in video e il risultato mi piacque talmente tanto che, piano piano, ricominciai a truccarmi. Dapprima in casa, struccandomi subito dopo, poi portando ancora una volta le mie opere fuori. Iniziai a risparmiare per comprare trucchi nuovi, nuovi colori, nuovi pennelli.
Riproducevo quello che vedevo nei tutorial, creavo opere mie (spesso discutibili). Il momento in cui mi preparavo per uscire, il momento in cui mi prendevo la mia oretta per truccarmi prima di darmi in pasto al mondo, diventò il mio momento preferito della giornata. Talvolta porto la mia passione a livelli più estremi, grazie al face painting, col quale posso trasformarmi in qualsiasi cosa.
Non più una maschera, non più una barriera. Un modo di esprimere chi sono, un modo di esaltare quel che di bello e buono ho. Un modo per ricordare a me stessa che posso essere seducente, professionale, fantasiosa o glamour grazie a un fondotinta, due ombretti e un velo di rossetto. Essere diversa ogni giorno, ma rimanere sempre Io. Tornare a casa, struccarmi e riemergere tra le macchie di trucco, con le mie occhiaie e tutto il resto. Struccarmi e sapere che, per chi amo, per chi mi ama, per me, io sono bella, sempre.