Nel catalogo delle novità del mese di maggio targato Netflix, gli amanti dei contenuti dramma-thriller non avranno potuto fare a meno di notare l’interessantissimo Dérapages (qui in Italia si chiama Lavoro a mano armata), la miniserie francese tratta dal romanzo Cadres Noirs di Pierre Lemaitre.
Già dalla locandina, è impossibile fare a meno di riconoscere un grande protagonista: parliamo chiaramente di Éric Cantona, ex calciatore, dirigente sportivo, ma soprattutto personaggio iconico degli anni ’90 e dei primi anni del 2000 per la sua carriera da protagonista nel Manchester United (oltre che nel campionato francese e in nazionale) e per essere stato uno degli uomini immagine della Nike per diverso tempo. Infatti, com’è ormai noto ai più – soprattutto ai “calciofili” -, la stella francese, una volta appese le scarpette al chiodo, è subito entrato a far parte del mondo dello spettacolo e nello specifico del cinema (su tutti, viene ricordato maggiormente per il film autobiografico Il mio amico Eric, diretto da Ken Loach).
Dopo diversi film quindi, questa volta lo troviamo interprete nel “piccolo schermo” di una serie tv. In Depages, infatti, King Eric (questo è il “sobrio” soprannome che il campione marsigliese si è guadagnato per le sue gesta in campo e non solo) prende i panni di Alain Delambre, un uomo di mezza età che, dopo una carriera di successo da manager di una grande azienda, si ritrova di colpo senza lavoro, sprofondando in un drammatico abisso di depressione. Divisa in 6 episodi, e disponibile in Italia sulla piattaforma di streaming dal 15 maggio (originariamente commissionato dal network francese Arte), la serie diretta del Ziad Doueiri – allievo di Tarantino e apprezzato nel 2017 per L’insulto – ruota proprio attorno a questa tematica, ossia la situazione di precarietà lavorativa che ogni uomo o donna della nostra epoca vive ormai quoatidianamente.
Partendo da questo plot, il racconto sviluppa poi una trama a tinte pulp che porterà il protagonista ad essere disposto a tutto pur di trovare un nuovo impiego. Delambre infatti, già dal primo episodio viene presentato come un uomo depresso che si trova a vivere questa situazione da ormai sei anni. Inizialmente quindi, accetta lavori umilianti e malpagati pur di tirare avanti senza dover rinunciare alla sua casa e ad una vita felice. Tuttavia, un giorno, mentre lavora in fabbrica, viene preso a calci da un superiore per essersi accovacciato a pulirsi gli occhiali, reagendo a sua volta rifilando un pugno all’uomo e mettendosi nella situazione di un quasi scontato licenziamento. Questa terribile umiliazione lo porta ben presto ad uno sconvolgimento: non vuole più accettare passivamente il suo destino ma prendere in mano la situazione. E allora, quando un datore di lavoro accetta di valutare seriamente la sua candidatura per un ruolo che gli interessa, Alain comincia a vivere una vera e propria ossessione: quella di entrare a tutti i costi nella multinazionale Exxya, l’azienda aeronautica che ha bisogno di un manager con la competenza di Alain per ratificare un piano di licenziamento in una delle sue fabbriche.
Questo nuovo progetto lo porterà ad allontanarsi rapidamente dalla moglie Nicole (Suzanne Clément) e dalle figlie ormai grandi, a coltivare l’amicizia con l’homeless Charles (Gustave Kervern) e a fare qualunque cosa per accedere a quella posizione, anche attività immorali e illegali e un attegiamento da avido calcolatore. Sì, perchè il “piccolo dettaglio” che non va sottovalutato è che per selezionare il nuovo dirigente, la Exxya del potente Alexandre Dorfmann (Alex Lutz) ricorrerà ad un metodo non esattamente ortodosso: organizzare un gioco di ruolo nel quale i candidati manager dovranno sostanzialmente sequestrare alcuni dipendenti e metterli in una situazione di assoluto pericolo per testare di quali di essi si ci potrà fidare o meno. Una “simulazione di rapimento” che secondo l’etica dell’azienda servirà a capire chi può essere il funzionario più spietato e adatto quindi ad operare nei mesi successivi dei licenziamenti di massa che potranno salvare la multinazionale in crisi.
Tormentato dal pensiero di poter perdere quest’ultima grande chance per rimettere in sesto la sua vita, Alain si ritroverà a prestarsi a situazioni poco chiare, che causeranno la perplessità di Nicole e di chi gli sta intorno. Ben presto però, come detto, l’uomo sarà disposto a tutto, ed qui che la serie trasforma la tematica della disoccupazione per raccontare anche una storia di violenza sociale. L’ambiente quindi è il principale responsabile della metamorfosi di Alain, un uomo normale che non avrebbe chiesto altro che continuare a svolgere il suo lavoro fino alla pensione. Di fronte al trauma però, nonostante abbia provato ad adattarsi, si rende conto che i metodi passivi offerti dalla società non possono funzionare in un mondo così feroce e che non ha più alcun rispetto per nessuno, soprattutto per le persone oneste e quindi “più deboli”.
Nonostante la goffagine, l’irascibilità e allo stesso tempo una fastidiosa arroganza, Cantona non perde un grammo del fascino dannato che aveva col pallone tra i piedi e il colletto alzato della maglia del Manchester United, che guidò a vincere quattro campionati inglesi (dal ’92 al ’97) prima di ritirarsi a soli trent’anni da leggenda dei Red Devils. Al contrario, a tratti sembra quasi che la leggenda francese stia in qualche modo interpretando se stesso: il contesto è diverso, ma la voglia ribellione dai canoni della società è quella di sempre. Pur nella sua grandezza, infatti The King da calciatore è stato un personaggio controverso: i comportamenti spesso poco professionali, le risse (culminate con l’episodio di Selhurst Park del 25 gennaio 1995, quando colpì con un calcio al volto un tifoso del Crystal Palace che lo aveva apostrofato con frasi xenofobe) e le dichiarazioni da “spaccone” disseminate nel corso degli anni, sono fra gli aspetti che suo malgrado vengono maggiormente ricordati della sua carriera. Chi lo conosce, sa che in campo è stato il classico “genio ribelle”, quello dal grande talento abbinato ad un’assoluta sregolatezza nell’esprimerlo. E anche oggi che fa l’attore, questo carattere viene inevitabilmente a galla, soprattutto con un personaggio così, dove Le Roi è riuscito a calarsi perfettamente: un uomo intelligente che, uscito fuori sè, lotta ferocemente contro tutto e tutti per riprendersi ciò che secondo lui gli spetta. Aldilà della trama della serie, anche questo tema è senza alcun dubbio uno degli aspetti più intriganti che il prodotto ci offre.
All’ottima performance dell’attore 54enne (che fra l’altro ha compiuto gli anni proprio l’altro ieri: auguri!) vanno aggiunte poi le interessanti prove della sopracitata Suzanne Clément, nel ruolo della moglie, e di Alice de Lencquesaing, che interpreta Lucie Delambre, figlia di Alain e avvocato in erba che avrà un ruolo chiave nel proseguio della storia. Finalmente ci siamo trovati di fronte ad uno di quei casi in cui la trasposizione di un libro a serie tv è risultata essere un esperimento vincente. Inoltre, questo prodotto assolutamente godibile – quanto meno a livello di intrattenimento ma anche per il forte “lato sociale” del quale abbiamo trattato – è l’ennesima conferma del notevole lavoro che il cinema francese sta facendo in concomitanza, sulla falsa riga di Italia, Spagna e Inghilterra, con Netflix (leggasi le ottime serie Marianne, Osmosis e Marseille).
Insomma, anche fuori dal rettangolo verde, Eric Cantona ha dimostrato di essere ancora un vero Re!