Le grandi scoperte archeologiche nei secoli hanno permesso all’uomo di conoscere culture e usanze dei propri antenati. Meraviglie ritrovate e tesori nascosti rinvenute a “galla” grazie al lavoro minuzioso di storici e archeologi da tutte le parti del mondo. In particolar modo sin dai tempi delle scoperte delle prime catacombe, sono sempre state le modalità di sepoltura o tombe ritrovate ad attirare l’attenzione. Continua ad essere così anche oggi, ed è, infatti, la notizia del ritrovamento di migliaia di tombe in Sudan disposte come le stelle nella galassia che ha spinto gli studiosi a saperne di più.
Nello Stato arabo-africano della Repubblica del Sudan, precisamente vicino alla collina di Jebel Maman, una necropoli “stellare”
La curiosità dell’uomo non ha confini, ed è proprio in essa che si nasconde il nucleo del sapere. Il mondo, tra l’altro, continua a riservare qualche cosa di nuovo ad esploratori e ricercatori. I loro metodi di studio e di ricerca, però, variano a seconda del contesto e del tipo di materiale da esaminare.
Quando nel Sudan sono state scoperte più di 10.000 tombe posizionate come se fossero davvero delle stelle nella galassia, ci si è interessati subito a scoprirne anche le modalità. Infatti, per la prima volta l’ambito archeologico ha preso in prestito un sistema solitamente appartenente all’astrofisica.
Il primo step è comunque rimasto lo stesso: un lavoro sul campo che ha richiesto diversi anni presso la regione collinare di Kassala, in Sudan
La zona in questione è relativamente raggiungibile, ciò significa la posizione difficile ha limitato il tipico lavoro sul campo archeologico. Motivo per il quale, studiosi internazionali hanno pensato bene di rilevare la presenza di tombe sul territorio seguendo altri metodi.
Gli archeologi hanno sfruttato per tale motivo – si legge da Vice.com – strumenti cosmologici e tecnologie di rilevamento a distanza. Sono state per l’appunto, le immagini satellitare ad identificare l’enorme quantità di qubbas – tombe a cupola tipicamente islamiche – presenti nella zona. Un numero di gran lunga superiore a ciò che si pensava di trovare in un terreno di 4.000 chilometri quadrati.
La sorpresa numerica delle tombe rinvenute nel Sudan ha dovuto competere con un’altra scoperta: la loro disposizione fuori dal comune
Nello studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE vengono spiegati la logica e criteri di studio della posizione delle migliaia di qubbas. In primo luogo, data la scarsa presenza di dati archeologici dovuta alla difficoltà della zona geografica, le numerose tombe sono state studiate mediante modelli statistici.
Secondariamente, viene sottolineato nello studio l’utilizzo del Neyman-Scott cluster process. Un modello utilizzato per studiare la distribuzione delle stelle nella galassia, e che invece, questa volta è servito per capire il perché di una formazione simile nella necropoli sudanese.
Tra l’altro, i reperti storici ritrovati sembrano appartenere a diverse epoche della storia antica africana. Infatti, oltre alle tipiche qubbas ci sono anche tombe in pietra tipicamente preistoriche. Ciò ha permesso, grazie al nuovo metodo di ricerca archeologico, di constatare – come riportato da Focus – come le tombe più recenti si trovassero attorno a quelle più antiche. Quest’ultime determinano, appunto, la sacralità del luogo.
Pare che le dinamiche della loro distribuzione dipendano mano a mano che ci si allontana dal centro del raggruppamento, sia da legami familiari o di importanza, che da condizioni ambientali: territorio o materiale utilizzato per il tumulo funebre.
Come dichiarato da Stefano Costanzo – geoarcheologo che ha contribuito alla scoperta nel Sudan – si tratta di “una struttura a sottocluster che non è immediatamente identificabile a occhio nudo, ma che con buona probabilità si è formata secondo dinamiche sociali proprie dei gruppi umani del territorio”.
Il tutto è frutto di un lavoro davvero di squadra che ha unito le conoscenze e competenze provenienti da diversi studiosi. Italiani delle Università di Napoli “L’Orientale” e della Statale di Milano, nonché gli inglesi dell’Università di Newcastle (UK). Essi anche a distanza hanno collaborato con la National Corporation for Antiquities and Museum del Sudan per capire le ragioni di una disposizione simile.
La svolta decisiva della ricerca nella zona sudanese non si ferma qui.
Lo studio, pubblicato a luglio 2021, vuole adesso approfondire le dinamiche relazionali tra gli ammassi di tombe raccolte nel territorio. Ciò significa, che molto probabilmente le tombe raggruppate vicine potrebbero appartenere alla medesima famiglia, e così tutt’attorno.
“Il metodo permette di definire se esistano input insondabili, potenzialmente socio-culturali, nella distribuzione sul territorio delle evidenze archeologiche”, ha spiegato Costanzo.
Al contempo, il loro apporto all’archeologica è stato di fondamentale importanza.
Utilizzando, dunque, un metodo di analisi tipicamente astrofisico ne hanno scoperto le potenzialità in ambito archeologico. Si tratta, allora, sicuramente di un punto d’inizio per altre scoperte in zone ancora più nascoste del globo. Le quali, non saranno più scartate a priori a causa dell’impossibilità di attuare uno studio sul campo.
Esplorare il mondo, la sua storia e i suoi segreti più remoti, sarà ora un lavoro multidisciplinare, è ovvio, ma sempre più possibile.