Le vessazioni nell’era digitale: il Cyberbullismo

“La tecnologia renderà grande l’uomo!”. “Attraverso il progresso tecnologico le condizioni di vita umane miglioreranno!”. “La tecnologia introdurrà nuovi metodi comunicativi che diventeranno assolutamente indispensabili, quasi vitali!”. Quante volte capita di sentire affermazioni di questo tipo? Basta prendere in mano un qualsiasi manuale di storia per essere portati a credere che invenzioni tecnologiche come la ruota, il carro, l’aratro, le dighe e i sistemi di irrigazione abbiano permesso l’evolversi della specie umana fino ai tempi moderni, con successo.

Negli ultimi decenni però, il mondo ha dovuto far fronte ad un nuovo sviluppo tecnologico: quello digitale. Prima il telefono, poi la televisione, fino ai telefoni cellulari e ai computer con connessione internet. Questi sono tutti mezzi che oggi vengono riconosciuti come le “armi” con cui si è “combattuta” la rivoluzione digitale, ma come si sa, ogni rivoluzione ha anche dei lati negativi. Il diffondersi della rete nelle case di tutti noi, ha dato il via al crearsi di piattaforme dette “social”, che hanno raggruppato milioni e milioni di persone da tutte le parti del mondo. Esse possono chattare, condividere foto, dire dove di trovano in un determinato momento della giornata, commentare post ecc. Fin qui tutto regolare, pare proprio che la tecnologia abbia “fatto grande l’uomo”, permettendogli di sviluppare al massimo le sue capacità di interazione con altri individui, anche con i più lontani. Ma esiste un lato di tutta questa faccenda, che troppo spesso viene dimenticato: si tratta del Cyberbullismo.

La situazione ai tempi del digitale

In passato, le scuole e le famiglie di ragazzi per lo più adolescenti, si trovavano a dover affrontare atteggiamenti aggressivi di alcuni alunni, i così detti “capetti”, verso altri con caratteri meno inclini alla violenza. Solitamente gli episodi venivano riconosciuti in tempi abbastanza brevi, in quanto la vittima poteva riportare sul corpo lividi o altri segni fisici indici di percosse o altri atti violenti. Oggi la situazione è diventata più complicata: spesso la violenza non è fisica, ma psicologica: prese in giro, commenti pungenti, offese pesanti arrecate anche con linguaggio volgare.

I danni risultano essere anche più gravi: per curare una ferita ad un ginocchio basta un cerotto, per curare una ferita psicologica servono anni di terapia, e spesso il trauma non riesce ad essere completamente “eliminato”. Terreno fertile per il proliferare di atteggiamenti di bullismo, sono proprio quegli strumenti che vantano il successo di “aver fatto grande l’uomo”: telefoni cellulari, computer e piattaforme social. Prendiamo il caso di Facebook: ogni utente ha un profilo che può gestire a suo piacimento, su cui può caricare e condividere materiale di diverso tipo _foto, video, musica_ e che gli permette di commentare il proprio e l’altrui materiale condiviso. Allo stesso modo, un altro utente, se “amico”, può commentare gli elementi presenti sulla bacheca di qualcun altro. Inoltre un individuo non può accedere ai dati e al materiale di un altro utente _ a meno che non ci siano particolari impostazioni di privacy, come ad esempio un profilo pubblico _ senza che una richiesta di amicizia venga precedentemente accettata. Solitamente,individui appartenenti ad uno stesso gruppo, ad esempio scolastico, tendono ad essere “amici” tra di loro, e quindi ad avere la possibilità di condividere e commentare reciprocamente i materiali presenti sulla piattaforma. “Un bel mezzo per scambiarsi idee”, verrebbe da dire, ma purtroppo non sempre è così: premettendo che il 47% delle vittime di bullismo non denunciano il fatto, ci troviamo a poter ragionare sul restante 53% che si articola in questo modo:

Il 16% di persone che dichiarano di essere vittime di bullismo, subiscono atti persecutori attraverso internet e telefoni cellulari. Ma cosa rende particolarmente pericoloso questo tipo di bullismo rispetto a quello “tradizionale”?

Innanzitutto, non sempre i genitori hanno Facebook, oppure se possiedono un account, non è sempre detto che siano “amici” dei propri figli: questo vuol dire che non possono accedere vedere i contenuti del loro profilo, e quindi accorgersi e poi intervenire per fermare la situazione a dir poco stressante vissuta dal ragazzo. Quello che sconvolge, è ciò che troppo spesso accade quando gli atti di bullismo si ripetono continuamente in un lasso di tempo prolungato. Secondo i dati diffusi dal convegno “Cyberbullismo e rischio devianza” tenutosi nel 2013 per volere del ministero dell’ Istruzione, il 78% dei ragazzi che hanno commesso suicidio all’interno di un gruppo di individui preso in considerazione per la ricerca sociale, sono stati vittime di bullismo o cyberbullismo, mentre un 17% solo di cyberbullismo. Per quanto riguarda questo ultimo caso però, si è puntualizzato che esistevano altri fattori non tralasciabili quali la malattia mentale o disturbi di personalità.

Ciò che spontaneamente viene da chiedersi è come mai la vittima non denunci. Quello che bisogna tenere in considerazione come elemento primario è la fascia di età in cui la vittima si colloca: l’adolescenza. Periodo che convenzionalmente va dai 13 ai 18 anni, è da tutti riconosciuto come quel momento estremamente delicato in cui la personalità di un individuo viene forgiata dall’esperienza che fa del mondo che lo circonda. Ma se l’adolescente è circondato da un ambiente negativo, in cui si sente ripetere che non vale niente, che è un perdente o peggio, come può crescere in serenità, e capire chi è e cosa fare nella vita? Per non parlare del fatto che, proprio in quanto la personalità si sta forgiando, l’individuo ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo, per avere, almeno momentaneamente, una identità; purtroppo spesso non viene accettato, con risultati per lui devastanti. 

Riconoscendo il problema reale che porta il nome di Cyberbullismo, Facebook si è unito al progetto ELIOS: Energia olimpica contro il Cyberbullismo, dando il suo appoggio per veicolare messaggi di campioni olimpionici per favorire il corretto uso della piattaforma social e del web in generale.

In conclusione credo si possa affermare che il problema sta nel come si usa uno strumento: le diverse piattaforme social sono piene di potenzialità per divertirsi, veicolare messaggi positivi ecc. Impariamo ad usarle nel modo corretto.

Nausicaa Borsetti