Cose Duci – La Sicilia da mangiare

La Sicilia ha un patrimonio culturale dal valore inestimabile. Un mix di culture che si sono susseguite nel corso della storia, che hanno esportato la loro essenza andando a formare un unicum rappresentato dalla Sicilianità. La tradizione culinaria siciliana è forse uno dei tesori che ogni isolano custodisce con più amore ed oggi abbiamo deciso di raccontarvi parte di questa tradizione insieme a Marco Granata, uno dei soci di “Cose Duci”. Investire in Sicilia in questo momento non è sicuramente facile, eppure fortunatamente c’è chi come Marco ed i suoi amici riesce ancora a portare avanti il “Made in Sicily”.

Marco Granata

Come è nata Cose Duci?

Innanzitutto grazie per il tempo che ci state dedicando. Cose Duci nasce dalle infinite chiacchiere di 3 ragazzi (i 3 soci) sulla necessità di fare conoscere ai non siciliani la storia di questa terra lontano dai luoghi comuni di “siciliani, pizza e mafia” e così via. La Sicilia è una terra con una storia  millenaria ed il miglior modo di promuovere l’immagine di una terra e la sua cultura è attraverso gli odori ed i sapori. Per questo e grazie ad un contatto in America che ci ha spronati, abbiamo dato vita a “Cose Duci – Sicilian  Goodness”. Considera che uno dei tre soci ha una pasticceria ma io e l’altro socio, sebbene lavoriamo a stretto contatto con le imprese, non conoscevamo ciò che ruota attorno alla produzione di prodotti dolciari.

Il “prodotto di qualità” non crede sia un termine inflazionato? Molti giocano su queste parole ormai diventate un luogocomune. Ci spiega come si fa a creare un prodotto di qualità?

È sicuramente un termine inflazionato per chi ne fa un uso scorretto. Purtroppo ci sono tante realtà che spacciano un prodotto per ciò che non è e spesso hanno buon gioco perché all’estero non conoscendolo non capiscono la differenza. Ma come dicevano i nostri nonni il cavallo di razza si vede nella lunga distanza e la qualità, la vera qualità di un prodotto, nel lungo periodo viene apprezzata. Mi vengono in mente tante aziende siciliane e non solo, gestite da miei coetanei che hanno scommesso nel vero prodotto di qualità. È una scommessa perché il vero prodotto di qualità fa lievitare il costo finale delle tue referenze. Immagina un’azienda dolciaria che vende un prodotto a base di “pistacchio di Bronte” a basso costo, cosa avrà messo mai negli ingredienti? Ci sono stati momenti l’anno scorso che essendo anno di scarica dell’albero, il pistacchio lo vendevano a 40€ al kg.

Per quanto riguarda Cose Duci, non posso dire di avere la ricetta del prodotto di qualità ma so con sicurezza che la qualità viene data sicuramente dall’eccellenza della materia prima ma anche dalla “mano” del pasticcere che sa utilizzare le vecchie ricette senza alterazioni alcuna con un occhio al presente. Ad esempio la nostra linea di croccanti è senza glutine.

Un aspetto importante che non riguarda la qualità del prodotto ma è altrettanto importante è come lo presenti, ovvero il packaging. Se hai un buon prodotto ma non hai una “confezione” accattivante nessuno lo attenzionerà. Per questo con la nostra agenzia di comunicazione, Sciroccolab, prima di trovare la quadratura del cerchio con le confezioni abbiamo impiegato quasi un anno. Tutto deve essere curato nei minimi dettagli. Il consumatore finale, specialmente oggi, è attento e le sue papille gustative devono essere stimolate prima con la fantasia (il rimando visivo che ti da la confezione) e poi con il gusto.

La Sicilia è un territorio davvero difficile dal punto di vista economico, come mai avete deciso di inserirvi in questo mercato, piuttosto che investire all’estero?

Senza dubbio non è facile lavorare in Sicilia. Ogni giorno che passa i giornali non fanno altro che ricordarcelo: burocrazia, mancanza di infrastrutture e più in generale la mancanza di “Stato” in tutte le sue forme. Ma i giovani di oggi, come noi siamo, hanno voglia di riscattare questa terra e di scommettersi per lei. Conosco tanti giovani imprenditori non solo nelle città come Catania ma anche nei paesi come Ribera che si alzano la mattina per risollevare questa terra. Lo portiamo nel nostro Dna, pensa ai Malavoglia, ai nostri contadini mai domi e sempre pronti a lottare.

Cosa ne pensa del brand “Made in Sicily”? Avrà effettivamente futuro?

In un certo senso ritorniamo alla domanda di prima. Il brand “Made in Sicily” tira senza dubbio. L’unico problema è che se non si mettono in campo azioni serie e sul lungo periodo per la valorizzazione imploderà dentro se stesso. Faccio un esempio concreto, la Regione con la scusa dell’Expo ha creato una struttura SprintSicilia che ha lavorato per organizzare incontri b2b con buyers esteri. Alcuni incontri sono stati molto interessanti e vi abbiamo preso parte anche noi. Ma pensi che una cosa del genere non poteva essere pensata ed organizzata anni fa? Finiti gli incontri, cosa resterà di questa struttura? La Regione, le Istituzione e le Associazioni di Categoria come assistono le imprese nel promuoverle all’estero? La pianificazione doveva essere fatta anni fa. Anche se è tardi non vuol dire che ancora non possa essere fatta. Le imprese non devono essere assistite solamente dando la possibilità di incontrare potenziali buyers, per questo esiste l’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE). Le imprese hanno bisogno di cultura imprenditoriale, hanno bisogno di accesso al credito e di un esperto che conosca le normative alimentari e gli aspetti fiscali degli altri paesi. Le piccole imprese che non riescono da sole a raggiungere un mercato estero perché i costi sono proibitivi hanno bisogno di qualcuno super partes che gli faccia fare squadra non soltanto sbarcando in quel mercato tosto che nell’altro ma immaginando come promuovere i loro prodotti e come svilupparsi in quel mercato. Queste tematiche sono soprattutto sentite dai giovani imprenditori. Solo così il brand Sicilia avrà futuro.

Da dove proviene la maggiore domanda e secondo lei perché?

La maggiore domanda, come rilevano le indagini di mercato in questo momento viene dalla Russia e dai paesi dell’Europa del Nord (non UE), dalla Polonia e dai paesi asiatici. L’America e la Germania mantengono i loro consumi con una crescita proporzionalmente più bassa rispetto a questi paesi.  Senza dubbio, per l’Asia vale il principio che la crescita economica ha generato una classe benestante disposta a viaggiare in Europa ed attenta a tutto quello che è viene dal Bel Paese. L’aumento dell’export per la Russia, in costante aumento nel 2014, sta crollando a causa delle folli politiche europee di embargo contro Putin. Va da sé che si stanno sviluppando interessanti prospettive anche negli Emirati Arabi. Il perché è strettamente connesso all’emergere di una fascia di popolazione che ha la capacità di spendere. Nei paesi dell’Europa del Nord che non aderiscono all’Unione Europea lo stato garantisce alti livelli di assistenza e di istruzione e la crisi non ha colpito duramente come da noi. Il ceto medio ha, quindi, la cultura e la disponibilità per apprezzare prodotti genuini e di qualità quali quelli tipici della Sicilia.


Fuori dalla Sicilia, si veda Milano, ci sono diverse attività che presentano la scritta “Cannolo Siciliano” ad esempio, un prodotto di scarsa qualità che spesso scredita il consumatore, come crede si possa fare fronte a questo problema che potrebbe a lungo andare danneggiare l’immagine delle prelibatezze siciliane?

L’unico modo per evitarlo è creare un marchio a tutela (magari gestito dalla Camera di Commercio) che imponga a coloro che vogliono usare il rimando al prodotto siciliano la stretta osservanza di norme precise sia da un punto di obbligo di utilizzo di ingredienti e ricette che  nel rispetto delle normative sanitarie ma anche di normativa sul lavoro. Pensa a quanto è stato fatto per definire chiaramente la differenza tra parmigiano e parmesan.

La Sicilia ha una tradizione culinaria non indifferente, quanto e come viene rispettata nella produzione dei prodotti di Cose Duci?

Non mi piace l’autoesaltazione, se vuoi saperlo gustati i nostri prodotti e lo scoprirai da solo.

 

redazione