Containment: epidemia senza fine

Nella città di Atlanta, in Georgia, scoppia un’improvvisa epidemia e dieci chilometri della città vengono messi in quarantena. La serie segue le storie e la lotta per la sopravvivenza di alcune tra le quattromila persone rimaste bloccate all’interno della zona delimitata.
Lex Carnahan (David Gyasi) è un ufficiale della Polizia di Atlanta che cerca di mantenere la pace tra le strade della città in quarantena, rimanendo però all’esterno della zona chiusa. Il suo compito è reso ancora più difficile dalla presenza, all’interno dei quartieri in isolamento, della sua fidanzata Jana (Christina Moses), e del suo migliore amico nonché collega Jake (Chris Wood). Altri personaggi tenuti in quarantena sono: la diciassettenne Teresa (Hanna Mangan Lawrence), incinta di otto mesi e separata dal suo ragazzo che vive al di là dell’area delimitata; Katie Frank (Kristen Gutoskie), un’insegnante elementare rimasta intrappolata con suo figlio e l’intera classe di studenti; il Dott. Victor Cannerts (George Young), ricercatore presso un centro per la prevenzione e il controllo delle malattie, responsabile della quarantena e alle prese con la ricerca di una cura. Al di fuori dell’area sottoposta a quarantena, si muove anche l’ambigua Sabine Lommers (Claudia Black): la donna cerca di aiutare il Governo a contenere la diffusione del virus, anche grazie alla collaborazione di Lex Carnahan.

La recensione

Attirati dalla tematica dell’epidemia, a noi molto cara, abbiamo voluto dare una possibilità a questa serie che, secondo noi, ha tanti punti di forza ma non manca di punti deboli. Andiamo ad analizzarla più nello specifico.

La regia è molto valida, gli avvenimenti della storia sono proposti con un buon ritmo e i salti temporali risultano lineari, non confondono lo spettatore, il quale segue chiaramente lo svolgimento della trama. La sceneggiatura è di buona qualità: nonostante il soggetto proposto rientri in schemi classici dell’horror (un’epidemia mortale altamente contagiosa), lo sviluppo è interessante, vuoi per il ritmo, vuoi per la commistione di generi diversi tra loro (giallo, film d’orrore e dramma sentimentale). I dialoghi a volte risultano un po’ troppo ricercati e poco spontanei, ma gli attori riescono comunque a mitigare con delle interpretazioni adeguate. Chris Wood (Jake Riley) e Trevor St. John eccellenti, espressivi e perfettamente calati nella parte; a seguire, un bravissimo David Gyasi (meno espressivo a causa pure del ruolo recitato, ovvero il maggiore Lex Carnahan) e una giovane ma talentuosa Hanna Mangan-Lawrence (Teresa). Il restante cast è nella media, tuttavia non siamo rimasti colpita né da Claudia Black (Sabine Lommers) né da Kristen Gutoskie ed è un peccato, soprattutto per quest’ultima che, con una maggiore espressività, avrebbe potuto dar più risalto a scene già di per sé devastanti. Doppiaggio anch’esso buono.
Bella la fotografia, curata e abbastanza realistica, ottimi i pochi effetti speciali (molto splatter, c’è da dire) utilizzati. Costumi azzeccati e differenziati per ogni singolo personaggio: lo spettatore, con un solo colpo d’occhio, riesce già a inquadrare i diversi protagonisti, l’estrazione sociale, i ruoli a loro riservati. Colonna sonora di pregio, che dà la giusta drammaticità ed enfasi agli avvenimenti narrati.

È un’altra delle serie TV che abbiamo amato: ci ha dapprima incuriositi, poi catturati e infine commossi (e tenendo conto del nostro cuore di ghiaccio non è poca cosa). Siamo entrati in sintonia coi personaggi (soprattutto con Leo, il giornalista, e Lex, con le sue rinunce a causa di un troppo radicato senso del dovere) e li abbiamo sentiti vivi, vicini.
C’è un “ma”, penserete… sì, in effetti c’è. Nell’ultimo episodio sono presenti delle situazioni che ci sono sembrate un po’ troppo rapide: se fossero state introdotte nella penultima puntata, la serie, a nostro avviso, ne avrebbe giovato a livello temporale e gli eventi si sarebbero potuti approfondire con maggior chiarezza. Inoltre, la pecca più grande di Containment è questa: è stata ideata come miniserie, per poi essere ampliata in tredici episodi (nulla da dire, fin qui), se non che in alcuni passaggi risulta un po’ lenta, quasi lo sviluppatore avesse cercato di diluirla per “farla durare”. Il guaio è che, oltre a ciò, la serie non termina ed è chiaro l’intento di voler produrre una seconda stagione che, purtroppo, non è mai stata (e non penso verrà mai) realizzata. Quindi il finale è fin troppo aperto, restano dei dubbi che lo spettatore non riuscirà mai a dipanare e circostanze senza un epilogo ben chiaro.
Peccato, davvero. Aveva tutte le carte in regola per essere un vero gioiellino. Se, però, siete pronti ad affrontare “una fine che non è una fine”, non possiamo che consigliarvelo… e suggerirvi di tenere i fazzoletti a portata di mano.

Citazione

«Sai cosa succede agli eroi? Muoiono, Jake.» (Meese)

redazione