Secondo una ricerca inedita, realizzata per creare un ponte tra uffici stampa e giornalisti, il 70,8% dei media ritiene fondamentale il ruolo del PR nonostante la loro impreparazione. Gli errori più comuni sono l’invio massivo di mail, i recall e soprattutto le comunicazioni fuori target. A dover essere ripensato è l’intero lavoro di comunicatore, riuscendo a entrare nella mentalità dei media.
Il mondo della comunicazione, in particolare per PR e uffici stampa, è sempre più difficile da approcciare.
Se da un lato le testate giornalistiche ufficiali sono circa 3500 secondo il Centro di Documentazione Giornalistica, il numero dei comunicatori è molto superiore.
Si stima che i professionisti delle public relations in Italia siano quasi 21mila, tra autonomi o interni alle imprese, con un’età media che non supera i 34 anni di età nel 53,1% dei casi.
Un lavoro giovane e dinamico ma anche pieno di insidie, errori diffusi e cattive abitudini che l’hanno reso negli anni poco gradito ai giornalisti.
Spesso per mancanza di ascolto e preparazione tecnica.
È quanto emerge da una ricerca inedita realizzata da Valentina Brini e Simone Trebbi, esperti di comunicazione aziendale e fondatori del progetto Le Royale PR.
Tramite la rubrica social “PRova a scrivermi”, presentata durante un corso deontologico dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, hanno raccolto le testimonianze di oltre cento tra le principali firme del giornalismo italiano indagando sulle loro esperienze e necessità specifiche.
“L’obiettivo del nostro progetto – spiegano Trebbi e Brini – è creare un ponte tra i professionisti di pubbliche relazioni e i giornalisti, due figure di estrema importanza nell’attuale panorama informativo. La necessità di dover comunicare ha creato nei PR una concezione distorta sul ruolo del giornalismo: che è, e sempre rimarrà, quello di riportare notizie, analizzarle e creare approfondimenti di impatto e interesse comuni”.
Sorprendentemente, nonostante tutti gli intervistati abbiano segnalato la scarsa preparazione di chi si rivolge ai media, i giornalisti ritengono i PR utili nel 29,2% dei casi e addirittura fondamentali secondo il 70,8% del campione interpellato.
“In un’epoca di fake news e post-verità, ulteriormente aggravata dai rischi futuri dell’intelligenza artificiale, questo risultato dimostra come a essere superato non sia il ruolo delle public relations, quanto piuttosto la modalità con cui vengono svolte”, commentano i fondatori del progetto Le Royale PR, che hanno chiesto ai professionisti di carta stampata, testate online, radiofoniche e televisive quali siano gli errori più comuni riscontrati.
Si va dall’eccesso di autoreferenzialità e anglicismi (rispettivamente 3% e 6%) per arrivare alle tre problematiche principali: l’invio in massa di mail (12%), i recall o follow-up (27,2%) e, per più della metà dei giornalisti, comunicazioni fuori target che denotano una scarsa conoscenza del lavoro dei media.
Il futuro delle PR, secondo gli esperti, è nella personalizzazione estrema della comunicazione.
Un cambio di mentalità, dati alla mano, reso necessario anche dalla mole di contatti quotidiani ricevuti.
Dalle risposte alla rubrica “PRova a scrivermi” emerge come solo un terzo dei singoli giornalisti riceva meno di cento mail al giorno, un numero comunque considerevole, mentre il 20,8% sfiora le 200, il 16,7% si assesta tra le 200 e le 500 e ben il 29,5% riceve oltre 500 comunicazioni al giorno.
Riguardo alle modalità migliori con cui contattare i media, tutti i giornalisti intervistati sono stati concordi nel suggerire queste pratiche ai PR: inviare comunicazioni in linea con la tematica, proporre notizie, mettere al bando l’autoreferenzialità e i recall, soprattutto se telefonici.
“Il futuro delle PR risiede nella personalizzazione estrema della comunicazione, cosa che presuppone una conoscenza del giornalista, della testata per cui lavora, delle sue esigenze specifiche e, non ultima, l’abilità di saper cucire ogni notizia su misura. Un lavoro certamente non facile, ma indispensabile e che richiede grande professionalità: una qualità che, secondo l’esperienza di tutti giornalisti, è spesso mancata. Anche in quest’ottica, per favorire una transizione che riabiliti il ruolo importante delle public relations, abbiamo in previsione la fondazione di una PR Academy dove il dialogo reciproco tra giornalisti e professionisti della comunicazione sarà più stretto che mai. Crediamo fermamente – concludono Valentina Brini e Simone Trebbi – che queste due realtà possano e debbano supportarsi a vicenda, mettendo al centro la notizia e collaborando negli interessi del lettore. Il nuovo modo di fare PR deve partire proprio da questa consapevolezza: i giornalisti raccontano notizie e storie di portata collettiva, e occorre quindi trovare una sintesi efficace tra le esigenze aziendali e quelle dei media, ponendosi in un’ottica di supporto come fonte autorevole”.