Il cervello schizofrenico prova a curarsi da sé

Chissà se Eugen Bleuler avrebbe immaginato quali nuove ed incredibili scoperte negli anni sarebbero state fatte sui disturbi schizofrenici, patologie da lui caratterizzate per la prima volta. Soprattutto, chissà se ha anche solo sospettato i segreti nascosti dal cervello dei suoi pazienti, come un’eccezionale capacità di riparazione al centro degli attuali studi.

La schizofrenia è una malattia psichiatrica che colpisce un individuo su 100.  Pur essendo multifattoriale, e quindi non propriamente ereditaria, i geni associati a questa malattia sono più di 100. Per quanto identificata essenzialmente come un disturbo psichiatrico, la schizofrenia presenta particolari caratteristiche neurologiche che, seppure non importanti a livello macroscopico, sono alla base delle disfunzioni cognitive associate alla malattia. Sembra che vi sia una leggera riduzione del volume del cervello, in particolare nelle regioni della corteccia frontale e dei lobi temporali, che è associabile al comportamento paranoide e sociopatico dei pazienti schizofrenici, nonostante si tratti di una perdita inferiore a quella presente nei pazienti Alzheimer. A cambiare, tuttavia, non è semplicemente la struttura cerebrale, che pure presenta piccole differenze in circa il 50% dei casi, ma anche la chimica: negli stati psicotici acuti ad essere alterati sono i neurotrasmettitori, gli ormoni che portano il giusto messaggio da un neurone all’altro, in particolare la dopamina.

Nonostante si tratti di un quadro clinico ormai chiaro, così come chiara è la sua associazione alla patologia, non si è ancora stati in grado di comprendere se questi cambiamenti siano dovuti ad anomalie nello sviluppo del cervello o, più semplicemente, siano conseguenza del progredire della malattia. Nuovi risultati dal London Health Sciences Centre, tuttavia, suggeriscono che per quanto grave sia il danno, il cervello di un paziente schizofrenico, opportunamente stimolato, sia in grado di farvi fronte e provare a ripararlo. Un’indicazione in questo senso viene anche dall’osservazione secondo cui i danni maggiori siano presenti nelle prime fasi della malattia. Al contrario, pazienti malati da molto tempo tendono a recuperare parte del tessuto cerebrale perso, ad avere un cervello più simile ad un cervello sano. Il cervello schizofrenico, dunque, possiede una capacità intrinseca di rigenerarsi almeno in parte, sebbene non sia chiaro quanto correttamente.

Questa informazione, racchiusa nella rivista scientifica Psychology Medicine, pone le basi per lo sviluppo di un nuovo tipo di approccio alla cura della schizofrenia più incentrato sull’aspetto neurologico che su quello prettamente psichiatrico. Le terapie sviluppate sino ad ora, infatti, sono sempre state incentrate maggiormente sulla riduzione dei sintomi ed il miglioramento della vita dei pazienti, non senza effetti collaterali anche gravi. La nuova scoperta sposta l’attenzione su di un nuovo fronte: sfruttare la capacità di autoriparazione e rimodellamento del cervello per colmare i deficit cognitivi associati alla malattia.

Come al solito in questi casi, tuttavia, bisogna essere cauti. Sebbene sappiamo ora che il cervello di un paziente schizofrenico è dinamico, e quindi in vari stati della malattia risponde agli stimoli riarrangiandosi, non sappiamo ancora se questo fenomeno sia alla base stessa di alcuni sintomi, oltre che una possibilità di riparazione. Un’altrettanto recente scoperta, questa volta targata Istituto Italiano di Tecnologia (ITT), ci mostra come proprio l’alterazione di un gene associato alla plasticità sinaptica, la capacità appunto dei neuroni di riarrangiare le proprie connessioni, sia associata ad una distribuzione della dopamina nelle varie zone del cervello in modo analogo a quanto accade nei pazienti schizofrenici.

In ogni caso, agire sulla capacità di rimodellamento del cervello si mostra ora come una strada promettente da percorrere che, anche se lunga e tortuosa, offre una qualche speranza per il futuro dei pazienti schizofrenici.

Silvia D'Amico