Da Artemisia Gentileschi a Alanis Morissette: quando il talento combatte gli abusi

Mai come in questi mesi abbiamo assistito ad un così vasto exploit di donne del mondo dello spettacolo che hanno mosso denunce o accuse mediatiche di molestie e violenze sessuali verso potenti produttori cinematografici o registi o persino direttore di gallerie d’arte. Sembra che un momento di consapevolezza e sicurezza femminile si sia diffuso nell’intero star system, auspicando che contagi qualsiasi ambito lavorativo e sociale.

In merito all’avvicinarsi della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, fissata il 25 novembre, desideriamo spostare la nostra attenzione sugli esempi positivi di quelle donne che nonostante siano state abusate psicologicamente o sessualmente, sono riuscite a risollevarsi grazie al potere dell’arte e delle loro passioni. Esempi come quelli che illustreremo, servono per veicolare il messaggio che talvolta elaborare creativamente certi eventi emotivamente drammatici, può aiutare a combattere l’ansia e risolvere conflitti interni.

Negli anni, sono tante le cantantiattrici e artiste di fama internazionali che non si sono limitate ai racconti durante le interviste, ma hanno utilizzato le loro brutte esperienze come fonte di ispirazione per i testi delle loro canzoni oppure per scrivere romanzi autobiografici.

Una tra queste è la cantautrice canadese Alanis Morissette che in un’intervista al britannico Daily Mirror nel 2008 affermò: “Sono stata vittima di uno stupro, quando ero adolescente. E adesso sto scrivendo un libro che racconti la storia della mia vita. Esporrà con tutti i particolari alcune delle cose che ho vissuto, gli abusi che ho sofferto, mi aiuterà a liberarmi dai sensi di colpa”.           

A differenza di quello che si potrebbe pensare, anche quando i soldi, la fama e gli anni trascorsi sembrano aver scolorito i ricordi, in realtà non è così. “Vi dirò una cosa— afferma la cantante— uno stupro vi cambia l’esistenza per sempre”.

Nelle sue canzoni poi, Tori Amos, famosa voce del rock americano, rimanda in maniera quasi ossessiva la violenza carnale subita nel 1985, come a voler urlare la sua rabbia e contemporaneamente esorcizzare il suo dolore.

Ma tra le tante testimonianze contemporanee, non possiamo omettere la storia della pittrice Artemisia Gentileschi, risalente addirittura al ‘600. Figlia del pittore Orazio Gentileschi e appartenente alla Scuola di Caravaggio, è stata la prima donna membro dell’Accademia fiorentina delle arti del disegno.

Essendo una donna, all’epoca non era permesso studiare da apprendista in una bottega, quindi le insegnerá tutto il padre, per poi affidarla ad un suo collaboratore, Agostino Tassi, perchè l’aiuti ad affinare la tecnica. Un giorno del 1611 però succede il dramma. Tassi, trovandosi a casa della giovane per le consuete lezioni, si approfitta di Artemisia, usandole violenza.

Successivamente lo stupratore propone un matrimonio riparatore, in realtà mai avvenuto, quindi Orazio sporge querela a Papa Paolo V, dando inizio alla vicenda processuale. In tribunale, la vittima dovette dimostrare la sua buona reputazione tramite un confronto con l’accusato e le testimonianze dei suoi cari. Il tutto seguito da un esame ginecologico per verificare l’effettiva perdita della verginità. Probabilmente il processo si concluse con il pagamento di una somma di denaro da parte del Tasi alla giovane.

Il suo dipinto “Giuditta che decapita Oloferne”, ha molto di autobiografico. I volti dei due protagonisti rappresentano Artemisia ed il suo aggressore, nonché gli schizzi di sangue sul lenzuolo rievocano chiaramente la violenza. Successivamente nonostante la sua fulgida carriera e il matrimonio riparatore con un amico del padre, la reputazione morale di Artemisia sarà macchiata per sempre.

 

Alice Spoto