Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice: il teatro come metafora di una vita in coppia

Se l’apparenza inganna e l’abito non fa il monaco, nel meccanismo magico dello spettacolo dove l’unica verità è la finzione, che cos’è un attore?

LUI: “Chi ha la sublime facoltà di mostrare se stesso nella vita di un altro”.

LEI: “È un animale da palcoscenico, una creatura sfaccettata che va oltre il suo talento per mostrare le sue debolezze e fragilità”.Attratti dalla chimica dell’amore e uniti dalla comune condivisione del loro mestiere, avanti così per quarant’anni fino alla morte dell’uomo avvenuta nel 2006.

LUI era Aroldo Tieri, calabrese di Corigliano Calabro classe 1917 tignoso, corretto,  sicuro, ma anche pigro solitario e riservato. Un attore per tutte le stagioni si definiva: un uomo vivace dallo sguardo intelligente e dalla notevole energia scenica che attraverso la sua mimica esprimeva un ghigno particolare.

LEI è Giuliana Lojodice nata a Bari nel 1940, a suo tempo bellissima coi suoi grandi occhi azzurri che spiccavano sulla carnagione eburnea. Sulla scena, il più delle volte, appariva dolce, remissiva e malleabile, in verità era invece una donna mondana, trasgressiva e molto volitiva.

INSIEME hanno rappresentato un eccellente esempio di cosa vuol dire essere una coppia teatrale a tutti gli effetti: “significa, affermava in un’intervista prima di ritirarsi l’ancora gradevole attrice pugliese, una simbiosi perfetta pur nella differenza del carattere. Ci piaceva lavorare nella nostra casa non grande, ma accogliente. In stanze diverse a leggere e studiare e poi uniti per confrontarci”.  Nel comune itinerario dello spettacolo provenivano da strade diverse e dopo essersi professionalmente sfiorati, resero consistente il loro legame come le pietre del teatro greco di Siracusa dove s’incontrarono nel 1966 in occasione della rappresentazione di “Antigone”: LUI Creonte, LEI Ismene.

AROLDO aveva cominciato con tanto cinema disseminando nell’arco di quasi trenta anni ben 126 film a cominciare dal primo datato 1939: ”Mille chilometri al minuto” di Mario Mattoli. Partecipò attivamente poi alla grande stagione della commedia all’italiana, facendosi dirigere da autori come Steno, Mario Soldati, Mario Monicelli, Pietro Germi, Sergio Corbucci e Lucio Fulci. Tuttavia, quasi sempre viene ricordato soprattutto per essere stato una delle migliori spalle di Totò in tantissimi film dell’indimenticabile attore napoletano, tra cui i classici: Totò cerca casa; Totò cerca moglie; Totò sceicco; Totò e i re di Roma; Letto a tre piazze; Chi si ferma è perduto, ma anche di Franco e Ciccio in titoli come: Il giorno più corto, I due mafiosi; Due mafiosi nel Far West; 002 Agenti Segretissimi. Si congedò dal cinema nel 1967 con un ruolo marginale nella commedia di Steno: “Rita la Feldmarescialla”. A chiudere il variopinto ventaglio di una filmografia varia e divertente nella quale non fu quasi mai protagonista ma “adeguato interprete di un personaggio”, come soleva dire lui che detestava di tutto cuore il termine spalla. In tutto quel periodo con indubbia professionalità seppe alternare al set gli studi televisivi cominciando la sua febbrile attività con” La Bisbetica domata” del 1954; passando per la quadrilogia di Francis Durridge: La sciarpa; Paura per Janet; Melissa e Giocando a golf una mattina e chiudendo in bellezza con” Il signore e la signora Barbablù”. Fu così che il prode Aroldo Tieri al pari di un ambizioso cavaliere errante in cerca di notorietà, infilò una dopo l’altra tutta una serie di vittorie con impeccabili e sobrie prestazioni frutto della sua indiscutibile combattività artistica. A completare il suo già ricco profilo professionale, ecco la conduzione assieme alla Masiero e Lionello di Canzonissima edizione 1960/61 e nello stesso anno si produsse in una magnifica incursione nella prosa radiofonica con la suggestiva rappresentazione del “Misantropo” di Molière.

GIULIANA, invece ebbe scarso feeling col grande schermo: soltanto alcune particine che però le diedero il pregio di partecipare a film di assoluta qualità: la cameriera di casa Steiner della “Dolce vita”; l’annoiata Titina moglie del transfuga Manfredi in “Riusciranno i nostri eroi…”, fino ai più recenti personaggi come la direttrice in “La vita è bella “del 1997; poi quello della suora di “Fuori dal mondo” del 1999 e infine il ruolo di Caledonia, la madre di Aldo in “Il ricco, il povero e il maggiordomo “anno 2014. Inizialmente si sentiva invece molto più valorizzata e a suo agio come attrice televisiva. E i fatti le diedero ampiamente ragione quando apparve nel ruolo di un’umile operaia dalla semplice bellezza, vittima predestinata del bieco arrivista sociale Warner Bentivegna in “Una tragedia americana” del 1962, regia dell’ottimo Anton Giulio Majano. Fu un trionfo inaspettato che oltre allo straordinario successo di pubblico aggiunse un sacrosanto plebiscito di critica rimbalzando oltre i confini nazionali anche perché si rifaceva al film” Un posto al sole” tratto da romanzo di Theodore Dreiser, magistralmente interpretato da Elizabeth Taylor e Montgomery Clift. Seguirono a cascata, a riprova delle sue innate capacità e della prestigiosa qualità della scuola di prosa italiana, altri indimenticabili sceneggiati televisivi in cui la bravissima Giuliana diede ancora una volta bella prova di sé: Peppino Girella; Oblomov; Il conte di Montecristo; Sheridan squadra omicidi e Giocando a golf una mattina, dove a fianco di Luigi Vannucchi, si distingueva il solito Aroldo. Anche lei nel 1964 volle provare l’ebbrezza della conduzione televisiva del festival di Sanremo affiancando nella splendida vetrina della città dei fiori, il presentatore dei presentatori ossia il navigato Mike Bongiorno.

LORO due assieme nel 1965 misero in piedi un sodalizio artistico, che anticipava di un anno quello sentimentale, per formare una delle coppie più longeve e più affiatate del teatro italiano, via via affinando le rispettive qualità interpretative, nonché le scelte sempre più sofisticate del repertorio. Fra tanti testi eterogenei, da Shakespeare a Salacrou, da Ugo Betti a André Roussin, da Bernard Shaw a Feydeau, come impeccabili interpreti, ambedue raggiunsero significativi vertici teatrali con Un marito, intenso inedito di Italo Svevo, (regia di Gianfranco de Bosio); Il Misantropo di Moliere (regia di Luigi Squarzina); Marionette che passione di Rosso di San Secondo (regia di Giancarlo Sepe) e con alcune riuscite chicche teatrali.

Aroldo Tieri, che sosteneva di sentirsi a suo agio solo in scena, accolse con malcelata soddisfazione nel 1984 il Premio Armando Curcio per la sua messa in scena del suddetto dramma di Svevo e rimase sul palcoscenico fino al 1999, anno in cui si ritirò dopo aver recitato neL’amante” di Marguerite Duras.

Giuliana Lojodice, alla soglia dei 78 anni, ancora oggi affida le sue memorie al vento del ricordo perché l’età ha le sue ragioni che la ragione non vuole ascoltare.

Sessanta anni di una brillante carriera, lieta parentesi di una vita vissuta a vedere i sorci verdi per via del suo precedente matrimonio, sfilano ininterrottamente attraverso i tanti personaggi frequentati, da Luchino Visconti ad Aroldo Tieri, esiste un sottile ma logico filo comune che in toto lei stessa condivide: l’integrità morale. “Ecco la mia decisione di smettere pur di non sottostare a certi meccanismi. Certo, alla mia età, uno dice, è normale. Ma non è così, a recitare si va avanti anche tutta la vita. Ma io non ho più voglia perché tutto quello che c’è intorno al teatro puzza di intrallazzi, interessi politici e non, e chi non vuole entrare a far parte di certe correnti è un pesce fuor d’acqua… E io non ci voglio partecipare a questo circo”.

Sarebbe triste inquinare un passato vissuto accanto ai vari Stoppa, Morelli, Valli, Proclemer, Albertazzi, Falk, il fior fiore degli attori che hanno fatto la storia del palcoscenico.  E se dovesse scegliere tra le sue qualità non ha dubbi:” Né l’intelligenza, né la determinazione, bensì Il dubbio. Ho amato molto James Joyce perché è l’artista del dubbio. Il dubbio che ti costringe a ragionare, a non prenderti sul serio e che ti stimola a cambiare”. Chapeau, cara signora e ci conforta assai aver assistito ad alcuni di questi meravigliosi spettacoli seppure in televisione che quando non era ancora la sottile lastra luminosa gracchiante e sovraccarica di effetti speciali, era una semplice scatola magica su cui scorrevano le immagini dei tanti personaggi che come lei raccontavano la storia del mondo letterario fino ad allora conosciuto.

Vincenzo Filippo Bumbica