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Adriana Asti e la ricerca del teatro perduto

La sua figura minuta appesantita dagli anni non è più fluida e coinvolge una gestualità mai stata elegante, eppure risulta lo stesso una forte presenza scenica che comincia dallo sguardo profondo dei grandi occhi neri in cui sembra racchiusa tutta un’infanzia, continua ascoltando il risuono di una voce ferma e dal tono calmo e infine si conclude nello spontaneo manifestarsi di una recitazione sciolta e convincente.

Ammiccante, ironica e un poco contenuta nel suo sfrenato esibizionismo, ormai quasi ottantasettenne, Adriana Asti è sempre in cerca del teatro perduto, immagina di continuo nuovi paesaggi e così ogni tanto viene fuori l’instabilità congenita di quella bambina fin troppo allegra che diventata donna ha vissuto le inquietudini del suo tempo prima di affrontare la complessità della società odierna dall’alto di una vetusta maturità chiamata esperienza. Incapace di contenere i tanti ricordi accumulati in ben 66 anni passati sul palcoscenico o davanti a una macchina da presa, l’attrice milanese riepiloga sé stessa attraverso la riesumazione di alcuni dei suoi personaggi teatrali e cinematografici nello spettacolo” Memorie di Adriana”, scritto apposta per lei da Andrée Ruth Shammah, dove si sdoppia per affidare al suo alter ego il compito di aprire uno squarcio per mostrare uno spaccato del mondo dello spettacolo italiano di cui è stata applaudita protagonista anche alla luce delle sue assidue e formative frequentazioni: Pasolini, Bertolucci, Visconti, Bolognini, Patroni Griffi, De Sica, Buñuel, così come Alberto Moravia, Cesare Musatti, Susan Sontag, Tinto Brass, Franca Valeri, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, in un elenco assortito delle più varie presenze che rischia di diventare fin troppo lungo.


Imprevedibile e presuntuosa va a ruota libera pronta a tutto pur di piacere: non riesce a resistere nel mostrarsi irriverente e trasgressiva, snocciola alcuni suoi cavalli di battaglia a conferma della sua attraente bravura: è sempre una brava attrice, ma non la più brava e non si è mai sentita particolarmente bella. Questa recita al Parenti di Milano risale allo scorso settembre e qui Adriana Asti mette il punto sulla sua storia recente, mentre il suo passato si racconta da solo poiché scorre parallelo alla vita culturale italiana del secondo Novecento.
Nata a Milano il 30 aprile del 1931, dopo una giovinezza così irrequieta e movimentata al punto da ricorrere a uno psichiatra, debutta in teatro nel 1951 ottenendo un significativo successo personale nella commedia “Il crogiuolo” diretta da quel Luchino Visconti che sarà ancora guida presente nel corso della sua carriera. L’anno dopo, ben inserita nell’entourage teatrale del Piccolo Teatro catechizzata alla bisogna dall’incomparabile Giorgio Strehler si aggrega alla compagnia di Lilla Brignone, Alberto Lupo, Romolo Valli, Tino Buazzelli e Tino Carraro per recitare in “Elisabetta d’Inghilterra”. Un’esperienza da trattenere il fiato accanto a quei mostri sacri propedeutica per le successive perfomances di alto livello tra cui si segnalano Questa sera si recita a soggetto” (1962) di e con Vittorio Gassman eccellente regista del successivo “Mito e Libertà”. Si continua con “Le bonnes” (1980) assieme a Manuela Kustermann e via di seguito:” Santa Giovanna” (1984); “Giorni felici” (1985, poi replicato nel 2010); “La locandiera” (1986); “Tre uomini per Amalia” (1988) e “Ferdinando” (2000). Anche se forse la sua più grande interpretazione rimane quella di “Alcool” da lei scritto che le fa ottenere i Premi Siae e Duse.


Durante questo esaltante e affascinante percorso paradossalmente, perché la recitazione davanti alla cinepresa è quanto di più diverso esista da quella di fronte al grande pubblico di un teatro, Adriana incastra al palcoscenico le sempre più frequenti sue apparizioni cinematografiche che diventano, poco a poco, presenze a scadenza fissa sui set in veste di protagonista se non assoluta, quantomeno incisiva.  Il suo esordio avviene nel 1956 in un film di Leopoldo Trieste: “Città di notte”, poi un piccolo ruolo nel capolavoro di Visconti “Rocco e i suoi fratelli” ed ecco l’incontro fatale con Pier Paolo Pasolini che, oltre a includerla nella desolante realtà di una peripatetica nel film “Accattone”, la proietta in una nuova dimensione artistica culturale che orbita attorno all’intellettuale bolognese dove conosce il suo futuro marito Bernardo Bertolucci. È infatti dopo il film di Franco Brusati: “Il disordine” (1962), il geniale cineasta parmigiano la inserisce come protagonista femminile di “Prima della rivoluzione” (1964), grazie alla quale riuscirà a ottenere una candidatura al Nastro d’Argento come miglior attrice protagonista.

A questo film segue: “Capriccio all’italiana”, una pellicola a episodi firmata dai grandi nomi del cinema italiano quali Steno, Bolognini, Monicelli e dove la Asti appare nel poetico episodio diretto da Pasolini: Dove sono le nuvole. Perennemente sospesa tra il serio e il faceto passa disinvolta dall’ intricato turbinio sentimentale di “Metti una sera a cena” (1969) al brillante: “Anche se volessi lavorare che faccio? di Vittorio Caprioli; dal fosco dramma esistenziale di “Ludwig”, sempre col raffinato regista meneghino, a tutta una serie di pellicole a sfondo erotico, ruolo che deve esserle rimasto appiccicato dopo che tanti registi hanno visto in lei un’interprete grandiosa e travolgente di questo tipo di pellicole. Ecco in rapida sequenza: Più tardi Claire; Homo Eroticus; Le notti peccaminose di Pietro l’Aretino; La schiava io ce l’ho e tu no; Chi dice donna dice donna; Paolo il caldo e Maschio latino cercasi assieme a tanti altri titoli dello stesso genere. Per non smentirsi continua a dondolarsi nell’altalena dell’alto e basso profilo e gira nel 1973 diretta da Vittorio De Sica:” Una breve vacanza” con il quale vince il Nastro d’Argento come migliore attrice protagonista e subito dopo “Il fantasma della libertà” di Luis Bunuel  anche qui premiata con un David di Donatello.

Giunge a metà di quegli anni settanta per niente trafelata e ristabilisce il sodalizio artistico con Bolognini interpretando” Per le antiche scale” con Marcello Mastroianni; incidendo anche come attrice non protagonista in “L’eredità Ferramonti” e caratterizzando la spietata crudeltà della saponatrice di Correggio in “Gran bollito”. Si trova a meraviglia con Tinto Brass esibendosi nelle scandalose nudità di “Io Caligola” a fianco di Peter O’Toole e al contempo spicca con Alida Valli nel cast di “Un cuore semplice” diretta dal marito Giorgio Ferrara sposato nel 1980 una volta divorziata da Bertolucci.


Proprio da quell’anno dirada le sue apparizioni stante la crisi del cinema italiano, tuttavia recita per l’emergente regista Carlo Mazzacurati in “Il prete bello”, appare ben affiatata con Franca Valeri in” Tosca e altre due”; si ritrova benissimo nei panni della matriarca Adriana di “La meglio gioventù “di Marco Tullio Giordana e sempre col medesimo autore chiude la sua sontuosa e bizzarra parentesi cinematografica con l’esemplare ritratto di donna di “Quando sei nata non puoi più nasconderti”, prova provata della sua grande ecletticità.
Questa sua incomparabile e indiscutibile qualità peraltro confermata dalle intense partecipazioni a sceneggiati televisivi quali: Partita a quattro 1954; Il cuore e il mondo 1958; George Washington ha dormito qui 1959 e La fiera della vanità; si manifesta nella instancabile attività radiofonica, si miscela alla voglia di mettersi in gioco come conduttrice nel talk show” Sotto il divano” e si aggiunge alla intensa professionalità come doppiatrice delle attrici italiane più in voga.
In qualunque dimensione si possa collocare Adriana Asti si porta addosso assieme a una travolgente originalità, la  stessa carica ironica molto milanese che la riveste come un pregiato abito da sera perché c’è stoffa e stoffa.

Vincenzo Filippo Bumbica