Il racconto del santo Graal è solo una leggenda? Secondo questa leggenda, il Graal sarebbe la coppa con la quale Cristo avrebbe celebrato l’Ultima Cena. Giuseppe d’Arimatea, invece, avrebbe raccolto con il Graal il sangue di Cristo crocifisso. Ma di questa coppa, una delle reliquie più importanti della cristianità (l’altra è ovviamente il legno della Croce) nemmeno l’ombra. Sparita nel nulla. E cosa può alimentare una leggenda se non la sparizione dell’oggetto stesso, a maggior ragione se di così gran pregio?
La tradizione del Santo Graal risale alle prime fasi dell’Età Medievale: alle crociate. E’ da qui che è partito tutto: le crociate nascono come dei “pellegrinaggi armati” che puntavano alla conquista della Terra Santa, allora in mano agli infedeli Turchi, una popolazione che arrivava dall’Oriente e che costituì un imponente esercito che occupava i territori che andavano dal Mediterraneo dell’Est alla Persia.
E’ Jacopo da Varazze, un frate predicatore, uno dei primi a diffondere la leggenda del santo Graal: nella sua raccolta di vite di santi, meglio nota come Legenda aurea, Jacopo racconta che nel corso della prima crociata un contingente genovese avrebbe ritrovato il santo calice. Questo oggetto avrebbe preso il nome di “Santo Catino”. Ed esiste tutt’ora! Peccato che sia stato ritenuto un falso in epoca recente: la storia del “Santo Catino” si mischia alla leggenda anche per le rocambolesche sorti che ha subito. Il “Santo Catino” sarebbe stato portato a Genova dopo la presa della città di Cesarea in Terrasanta dal condottiero Guglielmo Embrìaco Testadimaglio. Una volta portato a Genova, sia il governatore francese Jean Le Meingre sia la Serenissima tentarono di rubarlo; sotto Napoleone venne portato a Parigi, ma poi restituito a Genova rotto, senza nemmeno tutti i pezzi. Dal 2016 è a Firenze per il restauro, ma l’ipotesi che sia stato effettivamente il Graal crolla come un castello di carte: infatti è stato datato fra IX e il X secolo e sembrerebbe essere un manufatto islamico di cristallo.
Ma il contributo maggiore ad eternare la leggenda del Graal lo ha dato uno scrittore francese antico, Chretien de Troyes, che scrisse il famoso “Conte du Graal” (letteralmente: “Il racconto del Graal”). E’ la prima volta che la leggenda del Graal viene messa per iscritto da qualche autore. Il romanzo è il capolavoro della letteratura cavalleresca medievale (non a caso la critica riconosce univocamente Chretien come il più grande poeta medievale, secondo solo a Dante). Il romanzo parla di Perceval, un ragazzo rozzo che, venuto a contatto con il mondo della cavalleria, vuole diventare cavaliere di Re Artù. Le modalità attraverso le quali Perceval diventa cavaliere non sono consuete: non è nemmeno Re Artù a investirlo della carica, ma un suo sottoposto. Perceval è fervente scopritore di questo mondo dal quale la madre lo voleva tenere lontano, avendo perso il marito e gli altri due figli in battaglia. Perceval continua le sue avventure fino a quando non va nella dimora del “Re Pescatore”, un sovrano ferito alle anche al quale è preclusa ogni possibilità di movimento, salvo la pesca che è il suo unico diletto. Entrato nella sala da pranzo, Perceval assiste alla preparazione di un lauto banchetto e ad una processione in cui compaiono due oggetti quasi magici per la loro natura: una lancia che sanguina e un grosso cratere.
Sulla sorte di questi oggetti non ci è detto nient’altro: sappiamo soltanto che Perceval avrebbe dovuto chiedere cosa questi fossero e a chi fossero riservati, ma non lo ha fatto e da questa omissione ne nasceranno gravi conseguenze. Le vicende di Perceval si intrecceranno con quelle di Messer Galvano, nipote di Re Artù anche lui prode cavaliere di nobile schiatta. Ma il romanzo è incompiuto. Ci piace pensare proprio che è stata la sua incompiutezza a renderlo così famoso: non sapendo come si conclude il romanzo, ci sono stati molti continuatori che hanno dato libero sfogo alla loro creatività.
In effetti, per quanto banale possa sembrare, la coincidenza con la lancia e la coppa e le vicende della morte di Cristo sulla croce sono immediate. La lancia sarebbe quella che trafisse il costato di Gesù e il Graal la coppa che ne raccolse il sangue. Ma con molta probabilità Chretien non voleva approdare a tutto ciò: le leggende predominanti, l’epoca in cui il “Conte du Graal” venne scritto – siamo infatti nel pieno dell’epoca delle crociate -, gli oggetti della processione e la solennità della processione al palazzo del Re Pescatore certamente spingono verso l’ovvia (e perché no: anche più stimolante) interpretazione. Gli studiosi tuttavia sembrano essere concordi su opinioni totalmente differenti, come quella che vorrebbe Chretien anticipatore delle teorie politiche di Dante: la lancia sta all’imperatore come la coppa al papa, in sostanza.
Ultimo dei grandi fomentatori della leggenda del Graal è Dan Brown con “Il codice Da Vinci”: Dan Brown si inserisce perfettamente nell’alveo più esoterico della tradizionale leggenda ed è egli stesso a recuperare le paraetimologie dall’antico francese come quella che vorrebbe “Santo Graal” derivato da “Sang Real” (ovvero: “Sangue reale”). Interpretazione, questa, leggibile in due direzioni: tanto vale per “il sangue di Cristo” quanto per la “discendenza” di Cristo. Nel libro infatti Dan Brown suppone che Cristo abbia sposato Maria Maddalena che si sarebbe spostata in Provenza col figlio dando origine alla dinastia dei Merovingi, i primi sovrani del regno franco. A suffragare la leggenda dello sbarco in Provenza della Maddalena è ancora una volta Jacopo da Varazze. Secondo altri, il “Sang Real” sarebbe quello conservato nella Sacra Sindone di Torino.
Solo Perceval, attraverso la penna del poeta francese Chretien, poteva sapere cosa sarebbe successo se avesse trovato la lancia e il Graal. Solo Chretien avrebbe potuto dirci quali fossero le sue reali intenzioni e quali significati avrebbe dovuto assumere il “suo” Graal. Sta di fatto che la leggenda del Santo Graal è tanto più suggestiva quanto più oscura e rielaborata.