Stop alle gerarchie familiari: automatico il doppio cognome ai figli

La Corte Costituzionale, in un comunicato del 27 aprile 2022 (in attesa della pubblicazione della sentenza che sarà depositata nelle prossime settimane), ha affermato l’illegittimità di quelle norme “che non consento ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della padre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori”.
Orbene, c’è da sottolineare che, testuali parole, “la Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre”.
Del figlio. Giusto per sottolinearlo ancora una volta. La nuova regola è che il figlio assume (per automatismo) entrambi i cognomi dei genitori, salvo che quest’ultimi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due (che quindi potrebbe anche essere esclusivamente il nome della madre).

La svolta

E’ la fine dell’automatismo a sancire, una volta per tutte, la svolta dell’era gerarchica e patriarcale dalla quale (con non poca fatica) le nuove generazioni (inclusa la mia) stanno provando ad uscire. Perché c’è poco da far finta di nulla. Quello del cognome del padre – che nell’antichità era il legame che serviva per diventare eredi di terre e possedimenti (vorrei che i filo-maschilisti qui tacciano, invece di sostenere che anche le madri muoiono e anche da esse i figli ereditano. Vorrei ricordare che, un tempo, quando venivano “divise” le eredità ai figli maschi toccavano le terre redditizie, alle femmine invece quelle meno produttive) – è stato il legame con la paternità che, da sempre, ci ha accompagnato nella nostra vita. Un elemento personale che diceva al Mondo di chi siamo figli.

E la madre?

Se “mater sempre certa est, pater numquam” (la madre è sempre certa, il padre mai) c’è da dire che del padre (che certo non è) abbiamo preso il cognome. Questa locuzione latina, che si ritrova nel libri di diritto, a me ha fatto sempre piuttosto sorridere.

Perché delle madri invece, che certe sono e che per 9 mesi ci hanno tenuto in pancia e (con non poche fatiche) partorito, sono rimaste un nome di battesimo. Dei nostri padri che in alcuni casi non abbiamo conosciuto, o semplicemente – se così si può dire – non ci hanno cresciuto (dopo aver però riconosciuto la loro paternità) abbiamo però il cognome, perché è il cognome (per molti) è un testimone che, generazione dopo generazione, viene passato per essere tenuto in vita.

Ogni volta che mi sento dire “il cognome è l’unica cosa che un padre dà un figlio” mi vengono i brividi. C’è da dire che, negli ultimi giorni, questa frase me la sono sentita ripetere molto spesso, anche in conseguenza della sentenza dei vari discorsi da bar che hanno seguito proprio la sentenza della Corte di Cassazione sul doppio cognome.

Un po’ come se, gli uomini, si sentissero discriminati dalla natura che (non so bene per quale sorbido gioco del destino) ha deciso che proprio le donne dovevano fare figli. Fosse per me, cari uomini (che con un pochino di raffreddore siete pronti a chiamare il 118 per essere ricoverati in ospedale), io vi darei il ciclo mestruale ogni 28 giorni e anche il parto.

Ve li darei, con tutta me stessa, e so che lo farebbero molte donne. Vi darei i pup test dal ginecologo, l’ecografia interna, i tamponi vaginali. Vi darei gli assorbenti interni d’agosto, al mare, con il caldo, la sabbia e i bagni poco igienici degli stabilimenti balneari.
Ve li darei per farvi capire che ad un figlio (oltre ad un corredo genetico) non si dà solo un cognome (o meglio una stirpe che deve proseguire). Si dà l’educazione, e non solo. Il ruolo genitoriale è molto più ampio rispetto al concetto di un cognome e chiunque faccia parte di un nucleo famigliare è garantito dai soggetti adulti che decidono di fare il loro ruolo di genitore (o che dovrebbero farlo, ma questo è un altro discorso).

La vera svolta non sta nella possibilità di dare il doppio cognome ai figli (che, se entrambi i genitori erano d’accordo, si poteva già fare), ma lo stop ad un’automatismo patriarcale. E’ la possibilità di scegliere la vera svolta.

Sharon Santarelli