Il tema della doppia personalità è sempre stato di suggestivo interesse per la letteratura ed il cinema. Shyamalan, regista di origine indiane, esperto nel thriller e nell’horror soprannaturale, famoso soprattutto per il “Sesto senso”, “Signs” e “The village”, decide di rilanciare sul tema, ponendo una sfida a se stesso e al pubblico: girare un film in cui il protagonista è “scisso” (split) in ben 23 personalità differenti. L’incipit coinvolgente della pellicola è il rapimento di tre adolescenti, di ritorno da una festa, compiuto da uno sconosciuto. Dopo averle stordite col cloroformio, l’uomo le porta nella sua abitazione, rinchiudendole in una stanza. Ben presto le ragazze si rendono conto che il rapitore soffre di gravi disturbi di personalità.
Una di loro, Casey (Anya Taylor Joy), sembra comprendere meglio delle altre le contorte dinamiche celebrali dell’individuo; a tratti, entra perfino in una certa sintonia con la sua sofferenza. Alcune delle personalità sono buone, ma altre lo sono meno. Due di loro in particolare, il signor Dennis e la signorina Patricia, sono convinte che le ragazze debbano essere le vittime sacrificali di un mostro che definiscono “La bestia”.Come si puo’ evincere Shaylaman sfrutta a pieno le dinamiche del thriller ad alta tensione e a tinte forti. Per buona parte del film il regista tramortisce lo spettatore, imbrigliandolo nella contorta psicologia dell’uomo, che viene svelata gradualmente.
L’”impresa” attoriale, che poteva anche dimostrarsi un flop, è affidata a James McAvoy (la parte era stata originariamente pensata per Joaquin Phoenix). L’attore scozzese, qui rasato a zero, non delude le aspettative, anzi si puo’ dire che rappresenti il cardine di tutto il film. E’ una maschera al servizio del regista. Gli basta entrare ed uscire da una porta per cambiare voce, postura, atteggiamento, linguaggio, espressività, movimenti, carattere e perfino “connotati”, al punto che in alcuni momenti lo spettatore si dimentica che si tratti dello stesso attore. Un’interpretazione di alto livello: di gran lunga sopra le righe, senza essere però mai caricaturale. La forza del film è proprio la capacità del regista di rendere credibile l’alternarsi di personalità diverse nello stesso individuo, mostrando allo stesso tempo il suo dolore e la sua “vulnerabilità” in questi momenti. Quando avvengono le “trasformazioni”, infatti, ogni personalità è allo scuro di quello che in sua assenza hanno fatto le precedenti.
Attraverso vere e proprie amnesie, l’uomo è “posseduto” da un’orda di individui che ogni volta hanno caratteristiche fisiche e mentali differenti: si va dalla personalità istrionica di un artista che lavora nella moda, a quella di un bambino, di una donna, fino a quella del germofobico Dennis, cinico e calcolatore. Ognuno di loro cerca di diventare il capo dell’orda. Non manca chi addirittura si finge qualcun altro pur di non far trapelare il delitto che si sta compiendo.
Con un gioco a specchi il cineasta sfrutta fino all’ultima goccia il potenziale di McAvoy per costruire un personaggio memorabile e conturbante per la sua umanità-mostruosità, le sue debolezze e la sua follia; ma nel farlo, nella parte finale del film, commette due errori che impediscono a Split di essere un’opera del tutto riuscita. Il primo è di simpatizzare troppo per il protagonista scisso, il secondo è di non perseguire fino il fondo la via del thriller, ma di farla evolvere in un altro genere, amato dal regista, che è l’horror soprannaturale. Nella parte conclusiva,infatti, la pellicola deraglia improvvisamente dal suo binario. Shaylaman porta fino alle sue estreme conseguenze l’idea che chi soffre di un disturbo di personalità possa auto convincersi a tal punto di essere un altro, da diventarlo realmente, modificando se stesso anche dal punto di vista fisico e chimico.
Una tale idea, per quanto suggestiva introduce un elemento per così dire soprannaturale, in un film che fino a quel momento era stato improntato sull’intreccio psicologico. Inoltre il regista la attua in modo poco convincente per lo spettatore, facendo scadere il film in una dinamica horror, semplicistica rispetto al promettente quadro che aveva prima costruito. L’eccessiva “simpatia” che egli prova per il protagonista, inoltre, rende, infine, impunito quest’ultimo, quasi giustificandolo per le sue azioni: è un ottica inaccettabile per lo spettatore che si spiega solo sulla base del confermato sequel. Le ultime notizie, infatti, parlano di uno Slpit 2 , in cui addirittura il protagonista del primo film dovrà vedersela con David Dunn (Bruce Willis), l’uomo indistruttibile di “Unbreakable”,film del 2000 sempre diretto da Shaylaman.
Così l’idea del cineasta è quella di recuperare un suo vecchio progetto (dal finale aperto) e di unirlo al nuovo, facendo scontrare il Predestinato con l’Uomo-orda per creare una sorta di multiverso in versione “shaylamaniana”.
Un film di supereroi, quindi; ma questo progetto sebbene ambizioso e interessante rende “Slpit” un film meramente strumentale, sminuendolo di gran lunga rispetto a quello che sarebbe potuto essere se si fosse seguita la via della storia autoconclusiva. La sceneggiatura ne risente nel finale e muta di personalità, stavolta, forzatamente.
La sensazione di fondo è che da Slpit 2, potrebbe uscirne un’opera pasticciata Non resta che attendere il prossimo film per scoprirlo. Nell’attesa sembra che il 2017 sarà l’anno di un’altra opera sul disturbo dissociativo di personalità: si tratta di “The Crowded room” con Leonardo di Caprio, sulla vera storia di Billy Milligan, un criminale scisso in 24 personalità differenti (da cui lo stesso Shaylaman ha preso ispirazione per Split).
Per chi ama il connubio tra doppia personalità e thriller, infine, consigliamo 4 titoli: “Schegge di paura” di Gregory Hoblit, con uno straordinario e “doppio” Edward Norton, qui al suo esordio al cinema (che gli valse un golden globe) ; “Nascosto nel buio” con Robert De Niro e Dakota Flemming e poi 2 classici intramontabili di Hitchcock, “Psyco” e “Marnie”.