Come spiegare ai bambini cosa sta accadendo tra ISIS ed il resto del mondo?

E’ ormai da un po’ che il Califfato è entrato nelle nostre vite, si è imposto prepotentemente con video di gente decapitata, con minacce nei confronti dell’Occidente, dei suoi valori ed infine con le stragi di Charlie Hebdo, di Parigi ed ora quelle di Bruxelles.
Eh no, non stiamo dimenticando tutte quelle che continuano nei paesi arabi, negli Stati Uniti o in Africa, ma stiamo citando per comodità solo quelle più vicine a noi. Quelle che immancabilmente ci hanno colpito di più, perché modificano il nostro vivere quotidiano, le nostre priorità e le nostre paure. Non stiamo scegliendo morti di serie A e quelli di serie B, ogni attacco è ugualmente deprecabile.

Ci sono delle altre vittime, vittime di ingenuità, di fanciullezza. I nostri bambini che giorno dopo giorno vedono i nostri volti più grigi, le nostre accortezze aumentare ed il nostro timore nel prendere la metro, piuttosto che camminare a piedi. Quei bambini che si vedono interrompere i cartoni animati dell’ora di pranzo, per un servizio speciale del TG che annuncia un nuovo attacco e l’aumentare del numero delle vittime. I bambini non sanno, non capiscono, ma percepiscono la nostra paura che inevitabilmente diventa anche loro.

La generazione dei ragazzi cresciuti negli anni ’90 ha memoria dell’attacco alle torri gemelle, un momento difficile della storia moderna che difficilmente i genitori di allora riuscivano a spiegare, perché totalmente impreparati ad un evento del genere; un momento che poi avrebbe cambiato il modo di vivere di ognuno di noi.

Per darvi un’esaustiva risposta circa l’atteggiamento e le risposte da dare ai nostri figli ci siamo consultati con voci più autorevoli che potessero spiegarci il giusto approccio e ci è stato quindi spiegato come fosse opportuno avere atteggiamenti e risposte diverse  per ogni fascia d’età, divise a loro volta in tre fasce d’età: quella che arriva fino ai 5 anni, quella dai 6 ai 10 anni e quella dagli 11 ai 13. “Per i più piccoli sarebbe necessario evitare qualunque contatto con questo tipo di notizie – spiega Giovanna Capello, psicologa infantile e responsabile della sezione Infanzia e Adolescenza del CSTCS di Genova – purtroppo spesso i genitori non riescono, a volte ne parlano o guardano i telegiornali davanti ai loro bambini pensando che essendo molto piccoli non possano capire ma non è così”.

Sarebbe auspicabile quindi che ai giovani di età inferiore ai sei anni, fosse impedito di vedere quelle immagini violente trasmesse in televisione. Qualora questo non fosse stato preventivamente assicurato, allora sarebbe comunque opportuno spiegare qualcosa al bambino e come afferma la dottoressa Cappello, sarebbe corretto dire frasi del tipo: “Nel mondo ci sono i buoni e i cattivi ma poi i buoni fanno in modo di organizzarsi e siccome i cattivi sono molti meno, i buoni faranno di tutto per avere la meglio, per punirli e metterli in prigione”.

L’altra categoria, quella che va dai sei fino ai dieci anni va informata, ma soprattutto protetta, quindi è giusto che un genitore si rivolga a questi dando delle semplici spiegazioni, senza entrare troppo nel dettaglio e senza enfatizzare: “Deve capire cosa sta succedendo, non gli si possono nascondere le cose terribili che stanno accadendo (le sentirà comunque a scuola o le vedrà in tv o su internet), e allo stesso tempo andrà rassicurato, in particolare sul fatto che gli adulti stanno pensando al problema e che stanno cercando di risolvere la questione”. Gli si deve poi spiegare una cosa molto complessa: “Non parliamo di guerra in senso classico, un concetto che i bambini imparano prestissimo, ma di terrorismo”.

Quello che si può dire loro è: “Il terrorismo è ad opera di pochi che hanno deciso di destabilizzare il mondo, colpendolo a caso, buttando le bombe. Siccome sono pochissime quelle persone che sono dentro alle organizzazioni terroristiche, le organizzazioni del mondo – e cioè gli Stati, le Nazioni, i presidenti, la Polizia, le autorità – si stanno organizzando per fermarli”. E’ importante sapere che “quanto più un bambino è piccolo tanto più bisogna dirgli in maniera chiara che il male verrà sconfitto prima o poi. I bambini giocano alla guerra, il loro desiderio è quello di vincere, quindi possono comprendere questi concetti”.

Quando si arriva all’inizio della pubertà le cose cambiano, perché i bambini non credono più nel potere assoluto e indiscutibile degli adulti, mettono in discussione l’onnipotenza dei genitori. “In questa età i bambini hanno bisogno di sentirsi dire la verità: che le cose sono gravi e che l’unico modo per contrastare la tragedia del terrorismo e la brutalità di questo tipo di guerra è quello di informarsi”. Con l’adolescente si può prendere la cartina geografica, degli articoli di giornale o altri testi di approfondimento e spiegare nel modo più chiaro possibile cosa sta accadendo, anche chiedendo aiuto alla scuola. “Con gli adolescenti bisogna stare attenti a evitare la costruzione del nemico – continua la dottoressa Capello – anche perché la società è sempre più multiculturale e il ragazzo islamico è in molti casi il loro compagno di banco. Quindi occorre spiegare molto bene, fuori dalle ideologie, cosa sta accadendo. I pre-adolescenti hanno bisogno di capire meglio e di formulare un proprio pensiero su ciò che accade, il meno stereotipato possibile”.

E’ in definitiva importante accettare che il bambino possa piangere, che possa soffrire per le morti di queste persone o che decida di prendersi dei momenti di silenzio. E’ necessario che un genitore faccia sentire la propria presenza e che cerchi di non trasmettere la propria insofferenza e paura al minore, che potrebbe rimanere scosso da questa reazione, capendo che qualcuno possa, in un momento o nell’altro, distruggere la propria famiglia.

redazione