Social house: nasce il nuovo trend in espansione

Si scrive social house, si legge edilizia residenziale sociale ed è un trend che è emerso con sempre più prepotenza nel mercato immobiliare degli ultimi anni. Qui di seguito proveremo a capire meglio, allora, di cosa si parla davvero quando si parla di social housing, qual è lo stato dell’arte in Italia e quali sono vantaggi e sfide di una soluzione abitativa come questa. 

Volendo semplificare molto, una social house è un immobile a uso abitativo affittato a prezzi calmierati rispetto a quelli di mercato. Nelle città e nelle aree metropolitane soprattutto, infatti, complice l’aumento esponenziale di domanda di affitto, si è creata una sorta di emergenza abitativa nuova: ci sono soggetti (come operai, lavoratori essenziali, dipendenti ma, anche, studenti fuorisede, giovani coppie e nuclei familiari piuttosto numerosi) che hanno un reddito tale da essere esclusi dalle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio popolare ma, allo stesso tempo, troppo basso per poter sostenere il normale prezzo di mercato di un immobile in affitto. Per venire incontro alle loro esigenze, e riconoscendo che il diritto alla casa sia uno dei diritti fondamentali da garantire all’individuo, le istituzioni hanno provato a incentivare il social housing appunto, ossia l’applicazione di affitti agevolati per certi tipi di immobili e a certe condizioni. 

Social housing in Italia: a che punto siamo e quali sono le principali sfide

La prima cosa che viene spontaneo da chiedersi a questo punto è, così, se il social house in Italia sia regolato per legge e in che modo. Un riferimento normativo c’è ed è quello del Decreto Legge 112/08 che, all’articolo 11, parla esplicitamente di Piano Casa e sottolinea come alle unità abitative spetti il compito, non di secondaria importanza, di ridurre il disagio abitativo e aumentare la coesione sociale. Come principi generali come questi siano stati poi implementati nei fatti richiede un’analisi a sé. Non ci sono standard effettivi a cui Regioni, Comuni e altri enti pubblici possano far riferimento quando si tratta di calmierare gli affitti, soprattutto se rivolti a categorie economicamente fragili – e la crisi economica che ci prepariamo ad affrontare nei prossimi mesi potrebbe senza dubbio allargare la platea di soggetti da considerare tali – e in via del tutto generica si considera, per esempio, un buon affitto, un affitto a prezzi sociali, quello che non superi, al mese, tra il 25 e il 30% delle entrate del soggetto o del nucleo famigliare. Più accordo c’è, almeno in Italia, sul tipo di contratti a cui applicare condizioni da social housing: la priorità va agli affitti di lungo termine o permanenti, come quelli per cui siano stati sottoscritti accordi di locazione residenziale del tipo 4+4. Il risultato di questa confusione è comunque che, stando a dati come gli ultimi disponibili dello “State of Housing 2019”, appena il 4% degli italiani ha accesso ad affitti calmierati e solo nei maggiori centri della penisola ci sono piani o, più spesso, esperimenti di social housing: Milano e Bologna ma, anche, Firenze Scandicci segnano il passo in questo senso. 

Eppure in vestire in edilizia residenziale sociale avrebbe esternalità positive non solo per i singoli affittuari: semplificando molto, per ricavare alloggi sociali vengono spesso ristrutturati infatti immobili pubblici fatiscenti e questo contribuisce al miglioramento urbanistico e, non meno importante, all’efficientamento energetico delle città. 

redazione